Indignazione

17 / 12 / 2010

Martedì mattina mi sono svegliato con uno strano senso di angoscia, per qualche minuto ho pensato anche di non andare; ho deciso però di aspettare, di pensarci su, del resto avevo ancora molte ore per decidere.

Mi sono infilato sotto la doccia e la mente è volata immediatamente a Genova, al giorno della mia partenza per quella città.

Ognuno di noi ha stampato in testa il giorno della Sua partenza Per Genova.

C'erano quasi dieci anni in meno, una rabbia ed una voglia di andare forse ancora più forti rispetto ad oggi, e non c'era traccia di quell'angoscia mista ad un pizzico di preoccupazione.

Il mio stato d'animo era, allora, stretto parente di quella sensazione di invulnerabilità ed invincibilità tipica dei vent'anni; chissà.

Sotto il getto d'acqua che spingeva forte contro la mia fronte ho deciso: non posso rimanere a casa, non posso non andare.

Forse ho pensato a Genova perché qualche sera prima uno sconosciuto incontrato in un pub del centro di Bologna, diceva a me e a una mia amica di non andare, che qualcosa di grosso sarebbe successo, che secondo lui era “troppo pericoloso”.

Ed è anche questo uno dei motivi per cui ho deciso di andare.

Nel 2001, quando correvo spaesato per le strade di Genova, decisi, fresco di maturità, di non perdonare mai alla sinistra storica di questo paese l'aver deciso di restare a casa a parlare di buoni e cattivi, mentre la parte migliore di questo paese lottava a mani nude contro agenti scelti, reduci da missioni di guerra.

Avevo la ferma convinzione che a Roma avrei trovato decine di migliaia di studenti ancora “puri, cosi mi piace chiamarli.

Decine di migliaia di studenti che, dopo aver condotto delle avvincenti battaglie contro il Decreto Gelmini, credevano fermamente di poter partecipare ad una delle più belle e grandi feste laiche degli ultimi decenni: la giornata, solenne, che avrebbe forse decretato la fine dell'era Berlusconi nel nostro Paese.

Chi rispetto ai giovani studenti ha qualche anno di più, aveva il forte presentimento che cosi non sarebbe andata, che il signor B. alla fine l'avrebbe spuntata, anche stavolta, con i soliti e consolidati metodi.

Il corteo aveva già tentato una forma di assedio al Parlamento con il sistema geniale, comunicativo, composto, del Book Block, quando all'improvviso è arrivata la notizia della fiducia.

In quel momento niente di particolare, solo qualche battuta scambiata con chi era al mio fianco; ho avuto il piacere di azzardare una previsione sulla fine della giornata con un nostro amico poeta, uno che anni fa scriveva e cantava: in alto la mia banda di fronte a tanta merda...strofa che mi sono ritrovato a canticchiare ore dopo, tra me e me, sull'autobus del ritorno...

Da quel momento ho cominciato a scrutare le facce del corteo, tutte, una ad una: c'era indignazione, c'era rabbia, c'era tanta insofferenza.

Questo movimento, (che chiamiamo movimento, ma sono tutte quelle facce messe insieme) ha in questo straordinario autunno, occupato binari, porti, rettorati, monumenti; ha organizzato assemblee, momenti di confronto, ambiti di approfondimento.

Credeva che bloccare una riforma devastante per il futuro dell'istruzione e della ricerca, fosse possibile, ma ancora di più necessario.

Il 14 dicembre a Roma pensava una cosa ancora più semplice.

Le decine di migliaia di giovani e di studenti accorsi nella capitale, ritenevano cosa normale che un governo arrivato a questo stato di degradazione politica, umana e morale andasse a casa.

Speravano che la pratica dell'acquisto compulsivo di qualsiasi elemento utile alla sopravvivenza, caratteristica ormai endemica del governo Berlusconi, non trionfasse anche lì, in quel momento.

Comprano tutto, qualsiasi cosa serva; anche dove e quando la natura offre altri mezzi, più nobili, più umani, per soddisfare dei bisogni, loro comprano.

E hanno comprato anche il 14 dicembre: hanno comprato donne e uomini che servivano ad avere la maggioranza politica per governare L'Italia.

Chi ha avuto la fortuna, come me, di osservare il corteo che entrava in Piazza del Popolo qualche minuto prima dell'inizio degli scontri in via del Corso, oggi sa tutto.

Non ha bisogno di leggere giornali, di fare analisi politiche, di chiedersi se c'erano i buoni, se c'erano i cattivi, se sono rispuntati i Black Block.

E' tutto di una straordinaria ed illuminante semplicità.

C'era a bordo di un camion un ragazzo che invitava il corteo a sostare nella piazza, per confluire poi in un' assemblea in università.

Non c'è stata una singola persona, una faccia, un corpo, di quelli che tutti insieme compongono quella straordinaria cosa che abbiamo chiamato movimento, che ha preso per un attimo in considerazione quelle parole.

Una parte di una generazione, stufa del mercimonio, avvilita dalla sensazione di impotenza, vogliosa di voler contare, si è indignata.

Ci ha creduto fino in fondo; non poteva tollerare che la vergogna di un governo che resta in piedi sulla pelle degli italiani grazie a delle infami compravendite si consumasse in una Roma blindata.

Voleva giustamente urlare in faccia a chi era in quei palazzi lo schifo che provava, portare in quei palazzi cosi umiliati in questi ultimi anni la voglia di cambiamento e il disprezzo per tutta una classe dirigente.

Che tipo di intervento politico può immaginare un ragazzo di vent'anni, oggi, quando nel giorno della vergogna gli è precluso anche di urlare di fronte ai palazzi del potere la propria indignazione?

Palazzi del potere blindati e difesi da centinaia di agenti e mezzi da guerra.

Cosa si poteva chiedere a questa nuova umanità?

Nulla di più di quello che ha fatto.

Le persone che erano li hanno giustamente rivendicato il diritto a poter parlare di loro stessi, delle loro vite, e del futuro di tutti.

Hanno esercitato i loro diritti.

E se lo hanno fatto con tutto il vigore e la determinazione necessaria, ed anche con qualcosina di più , è perchè “quando ci vuole ci vuole”: lo sappiamo tutti.

Scopriamo oggi che i 26 fermati dalle forze dell'ordine sono di età compresa tra i 23 ed i 26 anni e tutti incensurati.

Chi li ha visti quando entravano in Piazza del Popolo, prima degli scontri, non ha bisogno di questa notizia.

Per tutti gli altri dico: basta, da ora, a qualsiasi falsa discussione su violenti o non violenti, su blocco nero o blocco bianco.

Migliaia e migliaia di giovani hanno deciso insieme e senza incertezze che bisognava mettersi in gioco.

Sono ormai mesi che ci si chiede come si può arrivare a tollerare tanto, come si può assistere passivamente allo spettacolo di una classe politica che banchetta allegramente sulle nostre vite.

Gli studenti il 14 dicembre a Roma hanno dato un' indicazione, hanno dimostrato che, a volte, la parola non è l'unico mezzo a disposizione.

E qui non si vuole teorizzare l'uso della forza o cose simili: si cerca solo di spiegare che l'essere vivi porta a respirare, amare, pensare, indignarsi.

Ho usato molto questa parola perchè credo che l'indignazione sia una cosa seria, che delle volte, spinge forte nel petto e chiede di uscire, di palesarsi in qualcosa di più concreto rispetto a delle belle e giuste parole.

Ora è necessario che i ragazzi indagati non vivano nemmeno per un attimo sensazioni di isolamento o di condanna.

Chi ama la democrazia deve riconoscersi in ognuna di quelle facce ed in ognuno di quei sorrisi.

Sappiamo che la storia insegna e se qualcosa ci ha insegnato è che le grandi conquiste, i grandi cambiamenti, si ottengono quando c'è qualcuno che non si ferma, quando c'è qualcuno che di fronte a degli ordini non obbedisce, quando uomini e donne degni alzano in alto lo sguardo e camminano fieri in avanti.

Potrete impiegare eserciti, diplomazia, scrittori dalla comprovata influenza sui giovani, ma questo dalla testa non riuscirete mai a togliercelo: la libertà si conquista mettendosi in gioco, prendendosene un pezzetto alla volta e difendendola ogni volta che c'è né bisogno.

Da ieri, il calendario dei giorni importanti dovrà fare spazio ad un'altra data da sottolineare in rosso.

Patrizio Del Bello

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