Avvocati uniti contro la maxi-retata dei
carabinieri. Dura reprimenda della Camera penale di Gorizia che ieri è
intervenuta - contestandola aspramente - sull’operazione condotta nella notte a
cavallo tra venerdì e sabato da 80 militari coordinati dal comando locale.
Bilancio: 30 perquisizioni domiciliari, una trentina di giovanissimi sottoposti
ai test antidroga, sei persone denunciate per cessione e 21 segnalate alla
Prefettura come consumatori. Modico, il quantitativo di sostanze stupefacenti
sequestrate.
Alla luce dei «davvero scarsi esiti» (sono le parole usate dall’ordine), i
penalisti puntano il dito sia contro la natura delle indagini, ritenute
finalizzate a colpire giovani consumatori di cannabis anziché i trafficanti,
sia contro i metodi, che avrebbero avuto scarso rispetto «del personale
diritto» a rifiutarsi di eseguire gli accertamenti sanitari predisposti
dall’autorità giudiziaria. Non solo: gli avvocati contestano il carattere
definito preventivo dell’operazione, poichè lo strumento penale mai dovrebbe, a
loro dire, sostituirsi a quello di assistenza sociale. Sottolineando infine
come il diritto alla riservatezza sia stato completamente calpestato, dando in
pasto all’opinione pubblica le indagini e dunque esponendo al rischio di
individuazione le persone coinvolte, tra cui anche dei minorenni.
Davanti a questi elementi, la
Camera penale di Gorizia in una corposa delibera a firma del
presidente Riccardo Cattarini e indirizzata, tra gli altri, al ministro
dell’Interno Roberto Maroni, ai rappresentanti locali del Parlamento e al
prefetto Maria Augusta Marrosu esprime «estrema preoccupazione per l’utilizzo
di uno strumento delicato e assai invasivo quale quello dell’indagine penale»,
in situazioni che paiono invece «appartenere a forme di disagio sociale e che
dunque debbono trovare giusta soluzione in interventi di natura educativa ed
assistenziale, non già in operazioni di polizia». Operazioni che, «in
particolare in piccoli centri, sembrano inevitabilmente destinate a
criminalizzare i destinatari degli interventi medesimi», con il «rischio
concreto di venire in seguito inseriti in reali circuiti criminali».
«I davvero scarsi esiti dell’operazione - si legge nella nota -, sempre per
come riportati dalla stampa (sequestro di quantità pressochè irrilevanti di
sostanze stupefacenti, a prima vista riconducibili a consumo personale, non a
traffico di stupefacenti) e unitamente alla vasta eco che gli operanti hanno
deciso di dare alla stessa sugli organi di informazione, lasciano presumere,
salve successive emergenze attualmente non note, che l’operazione sia stata
concepita e condotta con il fine principale di colpire giovani consumatori
delle cosiddette “droghe leggere” e non personaggi di rilevante spessore criminale».
«Non può non destare preoccupazione - prosegue la Camera penale - la
dichiarazione dei Comandi dell’Arma secondo la quale l’operazione intera fosse
finalizzata a dichiarati scopi politico sociali, quali quello di “incidere
sulla consapevolezza dei giovani, ai fini di recupero di un sano stile di
vita”». A non convicere gli avvocati anche il fatto che gli accertamenti
sanitari che la legge dichiara assolutamente volontari sarebbero stati
eseguiti, su richiesta dei carabinieri, da reparti ospedalieri deputati alla
medicina d’urgenza previa “firma di un modulo”: «Tali modalità non sembrano
tranquillizzare circa il diritto insopprimibile, in quanto disposto chiaramente
dalla legge, di rifiutarsi di eseguire gli accertamenti sanitari che sono stati
proposti».
I penalisti, pur confermando l’«estrema fiducia» nell’Arma e nel suo «ruolo
insostituibile nel garantire la convivenza sociale e la persecuzione dei
reati», ribadiscono che «l’indagine e il processo penale non sono né strumenti
di difesa sociale né forme di attuazione di politiche sociali». Ciò in
considerazione che lo stesso legislatore non identifica come reato penalmente
perseguibile il consumo di sostanze stupefacenti, reputando invece una tale
condotta meritevole appunto di interventi di natura sociale ed assistenziale,
non repressiva. Gli avvocati, infine, ribadiscono la volontarietà degli
accertamenti sanitari, che «non può essere conculcata e anzi va attentamente
verificata dal personale sanitario che gli stessi accertamenti è chiamato ad eseguire».
Invitando le istituzioni, e in particolare la magistratura requirente, «a
vigilare affinché le indagini per stroncare l’immondo commercio di sostanze
stupefacenti siano effettivamente indirizzate nei confronti di trafficanti e di
traffici di sensibile portata» e «affinchè i diritti dei cittadini siano
rispettati sia quanto alla riservatezza personale, sia quanto al segreto delle
indagini giudiziarie». La delibera della Camera penale è stata notificata,
oltre che al ministro dell’Interno, al prefetto e ai rappresentanti locali del
Parlamento, anche ai consiglieri regionali isontini, al procuratore di Gorizia,
al comandante provinciale dei Carabinieri ed è stata comunicata all’Unione
delle Camere penali italiane. La maxi-retata non è piaciuta neanche agli
operatori del Sert: «Cosa si voleva dimostrare? - dice il responsabile, dottor
Andrea Fiore - Capire la portata del fenomeno droga tra i giovani? Al Sert lo
sapevamo benissimo. La repressione, in questo caso, pur condotta con metodi
legittimi, serve a poco, soprattutto quando il risultato è ben poca cosa. Più
utile sarebbe stroncare i canali dello spaccio che viaggiano sull’asse Nova
Gorica-Isontino-Monfalcone».
Dal Piccolo di Gorizia 9 febbraio 2010
La Camera penale: «Cerchiamo i veri trafficanti»
La maxi-retata dei carabinieri nel mirino degli avvocati: «Lo scopo è stato solo punitivo» La protesta inviata a Maroni
9 / 2 / 2010