Dal Piccolo di Gorizia 9 febbraio 2010

La Camera penale: «Cerchiamo i veri trafficanti»

La maxi-retata dei carabinieri nel mirino degli avvocati: «Lo scopo è stato solo punitivo» La protesta inviata a Maroni

Utente: luciano
9 / 2 / 2010

Avvocati uniti contro la maxi-retata dei carabinieri. Dura reprimenda della Camera penale di Gorizia che ieri è intervenuta - contestandola aspramente - sull’operazione condotta nella notte a cavallo tra venerdì e sabato da 80 militari coordinati dal comando locale. Bilancio: 30 perquisizioni domiciliari, una trentina di giovanissimi sottoposti ai test antidroga, sei persone denunciate per cessione e 21 segnalate alla Prefettura come consumatori. Modico, il quantitativo di sostanze stupefacenti sequestrate.
Alla luce dei «davvero scarsi esiti» (sono le parole usate dall’ordine), i penalisti puntano il dito sia contro la natura delle indagini, ritenute finalizzate a colpire giovani consumatori di cannabis anziché i trafficanti, sia contro i metodi, che avrebbero avuto scarso rispetto «del personale diritto» a rifiutarsi di eseguire gli accertamenti sanitari predisposti dall’autorità giudiziaria. Non solo: gli avvocati contestano il carattere definito preventivo dell’operazione, poichè lo strumento penale mai dovrebbe, a loro dire, sostituirsi a quello di assistenza sociale. Sottolineando infine come il diritto alla riservatezza sia stato completamente calpestato, dando in pasto all’opinione pubblica le indagini e dunque esponendo al rischio di individuazione le persone coinvolte, tra cui anche dei minorenni.
Davanti a questi elementi, la Camera penale di Gorizia in una corposa delibera a firma del presidente Riccardo Cattarini e indirizzata, tra gli altri, al ministro dell’Interno Roberto Maroni, ai rappresentanti locali del Parlamento e al prefetto Maria Augusta Marrosu esprime «estrema preoccupazione per l’utilizzo di uno strumento delicato e assai invasivo quale quello dell’indagine penale», in situazioni che paiono invece «appartenere a forme di disagio sociale e che dunque debbono trovare giusta soluzione in interventi di natura educativa ed assistenziale, non già in operazioni di polizia». Operazioni che, «in particolare in piccoli centri, sembrano inevitabilmente destinate a criminalizzare i destinatari degli interventi medesimi», con il «rischio concreto di venire in seguito inseriti in reali circuiti criminali».
«I davvero scarsi esiti dell’operazione - si legge nella nota -, sempre per come riportati dalla stampa (sequestro di quantità pressochè irrilevanti di sostanze stupefacenti, a prima vista riconducibili a consumo personale, non a traffico di stupefacenti) e unitamente alla vasta eco che gli operanti hanno deciso di dare alla stessa sugli organi di informazione, lasciano presumere, salve successive emergenze attualmente non note, che l’operazione sia stata concepita e condotta con il fine principale di colpire giovani consumatori delle cosiddette “droghe leggere” e non personaggi di rilevante spessore criminale».
«Non può non destare preoccupazione - prosegue la Camera penale - la dichiarazione dei Comandi dell’Arma secondo la quale l’operazione intera fosse finalizzata a dichiarati scopi politico sociali, quali quello di “incidere sulla consapevolezza dei giovani, ai fini di recupero di un sano stile di vita”». A non convicere gli avvocati anche il fatto che gli accertamenti sanitari che la legge dichiara assolutamente volontari sarebbero stati eseguiti, su richiesta dei carabinieri, da reparti ospedalieri deputati alla medicina d’urgenza previa “firma di un modulo”: «Tali modalità non sembrano tranquillizzare circa il diritto insopprimibile, in quanto disposto chiaramente dalla legge, di rifiutarsi di eseguire gli accertamenti sanitari che sono stati proposti».
I penalisti, pur confermando l’«estrema fiducia» nell’Arma e nel suo «ruolo insostituibile nel garantire la convivenza sociale e la persecuzione dei reati», ribadiscono che «l’indagine e il processo penale non sono né strumenti di difesa sociale né forme di attuazione di politiche sociali». Ciò in considerazione che lo stesso legislatore non identifica come reato penalmente perseguibile il consumo di sostanze stupefacenti, reputando invece una tale condotta meritevole appunto di interventi di natura sociale ed assistenziale, non repressiva. Gli avvocati, infine, ribadiscono la volontarietà degli accertamenti sanitari, che «non può essere conculcata e anzi va attentamente verificata dal personale sanitario che gli stessi accertamenti è chiamato ad eseguire». Invitando le istituzioni, e in particolare la magistratura requirente, «a vigilare affinché le indagini per stroncare l’immondo commercio di sostanze stupefacenti siano effettivamente indirizzate nei confronti di trafficanti e di traffici di sensibile portata» e «affinchè i diritti dei cittadini siano rispettati sia quanto alla riservatezza personale, sia quanto al segreto delle indagini giudiziarie». La delibera della Camera penale è stata notificata, oltre che al ministro dell’Interno, al prefetto e ai rappresentanti locali del Parlamento, anche ai consiglieri regionali isontini, al procuratore di Gorizia, al comandante provinciale dei Carabinieri ed è stata comunicata all’Unione delle Camere penali italiane. La maxi-retata non è piaciuta neanche agli operatori del Sert: «Cosa si voleva dimostrare? - dice il responsabile, dottor Andrea Fiore - Capire la portata del fenomeno droga tra i giovani? Al Sert lo sapevamo benissimo. La repressione, in questo caso, pur condotta con metodi legittimi, serve a poco, soprattutto quando il risultato è ben poca cosa. Più utile sarebbe stroncare i canali dello spaccio che viaggiano sull’asse Nova Gorica-Isontino-Monfalcone».