Marcelo Expósito, Tomás Herreros y Emmanuel Rodriguez (Universidad Nómada) (traducción de Bani Brusadin y Barbara Sansone)

La sinistra sull'orlo del baratro.

24 / 5 / 2011

L'11 marzo 2004, dieci esplosioni simultanee fecero saltare in aria quattro vagoni del treno a Madrid, togliendo la vita a quasi 200 persone, ferendone circa 2000 e seminando il terrore. Nelle ore successive, il governo del Partido Popular, guidato da José María Aznar, organizzò una cerimonia della confusione allo scopo di capitalizzare politicamente il dolore. Contemporaneamente, sui telefoni cellulari cominciarono a circolare SMS: riuniamoci in strada. Fiumi di persone invasero gli spazi pubblici, organizzandosi in manifestazioni e raduni diffusi, spontanei, esigendo di essere messe al corrente della verità. Era sabato 13 marzo, giornata di riflessione alla vigilia delle elezioni. Il giorno dopo, i voti della maggioranza assegnarono una vittoria imprevista al candidato del PSOE, José Luis Rodríguez Zapatero. Detto con chiarezza: Zapatero salì al governo appoggiato da un movimento sociale. Il nuovo presidente promise in pubblico: «Non vi deluderò». Congeliamo per un momento questa immagine.


Domenica 15 maggio 2011. La manifestazione convocata dalle reti sociali su Internet supera le aspettative: decine di migliaia di persone si riuniscono in sessanta città spagnole con un motto comune «Democrazia reale, ora!», che a sua volta genera tutta una costellazione di enunciati: «Non siamo merce nelle mani dei politici e dei banchieri», «Non ci rappresentano». Le manifestazioni generano un'euforia tale che centinaia di persone occupano le piazze centrali delle loro rispettive città, a partire da quella più emblematica, la Puerta del Sol di Madrid. Poche ore prima di celebrare le elezioni municipali e regionali in tutta la Spagna, il cosiddetto Movimento del 15-M restituisce un senso alla parola «politica», nel pieno di una campagna elettorale deplorevole. Detto con chiarezza: tutto lascia prevedere che il presidente Zapatero dovrà abbandonare il governo spagnolo circondato da un movimento sociale cominciato come manifestazione di indignazione per la sua gestione della crisi economica e che ora è un'esplicita richiesta di rifondazione democratica.


Vi proponiamo un semplice esercizio di montaggio: unite queste due immagini, quelle dei movimenti sociali apartitici sorti in modo spontaneo, che segnano l'inizio e la fine del governo di un presidente nel quale si erano depositate le speranze progressiste. Cosa è successo tra un'immagine e l'altra? Qual è il senso prodotto da questo contrasto? Come si è passati da quel ritorno di fiducia nella partecipazione elettorale per ottenere un cambiamento alla furiosa ostilità di oggi?La spiegazione sta nel fatto che il presidente Zapatero ha sprecato un'opportunità storica: le condizioni in cui fu eletto aprivano la possibilità di un esercizio rinnovato della politica, che tenesse conto della potenza di una società organizzata. Al contrario, si è impegnato in un repubblicanismo civico il cui progressismo non riesce a vedere nei cittadini niente più che singoli votanti e depositari di diritti concessi dall'alto verso il basso. Questo gli ha impedito di comprendere la delicata situazione delle società dove il sistema classico della rappresentanza politica e della delega della sovranità popolare mediante il meccanismo del voto si trovano irreversibilmente in crisi. Se avesse capito che l'attuale e complessa tensione tra poteri e contropoteri sociali è stata la condizione stessa della sua elezione al potere, probabilmente avrebbe fatto fronte alla crisi economica che ha segnato l'inflessione finale del suo governo in un modo sostanzialmente diverso da come l'ha fatto in realtà: negoziando con i poteri economici e sovraistituzionali politiche indesiderate di tagli (che per altro ipotecano il nostro futuro), aspettando l'ultimo minuto prima di rivolgere lo sguardo ai suoi elettori e giocare la carta della fiducia e del timore della destra. Tutti quelli con cui Zapatero non ha saputo governare - i contropoteri sociali, quella capacità di agitazione democratica che la società ha sempre latenti dentro di sé - hanno preso nuovamente coraggio per dire: adesso basta!


Tra un'immagine e l'altra (2004-2011), sono passati sette anni, durante i quali la piazza è stata agitata da una destra che ha dedotto il collasso della rappresentanza democratica e ne ha approfittato senza nessun pudore: si è mossa come un pesce nell'acqua della corruzione e della menzogna, ha istigato il popolo contro le stesse istituzioni politiche nelle quali questa destra prospera per favorire i settori con più potere e ricchezza, ha manipolato lo scontento sociale, ha promosso la guerra civile tra le fasce medie e quelle più sfavorite. Da parte sua, la sinistra adotta concetti come taglio, riforma o austerità al fine di riportare la «normalità» economica. Però abbiamo visto che la crisi è prima di tutto la crisi della politica così come la conosciamo.In questa crisi, la  sinistra dei partiti ha una responsabilità imperdonabile: quella di essere stata incapace di concepire meccanismi efficaci di distribuzione del profitto e di inventare nuovi diritti sociali. I governi di centro-sinistra della Catalogna, della Galizia o delle Baleari e di altre grandi città né hanno reinventato le forme democratiche e la relazione dello Stato con il corpo sociale, né ha inaugurato politiche diverse a quelle prescritte nei manuali di amministrazione e gestione territoriale.


È in questo quadro generale che si conferma il senso del Movimento del 15-M: è scaduto il tempo delle richieste di fiducia o di fare promesse. Solo una scommessa all'offensiva che inventi un'altra etica, un'altra politica al di là della nostalgia e la rassegnazione, potranno far entrare la sinistra in un altro ciclo storico. Non poteva andare in altro modo: la rifondazione della politica democratica ha bisogno di avere come base lo stimolo di un nuovo ciclo di battaglie e conquiste sociali. Lotte e mobilizzazioni dei poveri e dei nuovi cittadini. Le questioni aperte alla mobilizzazione urbana non hanno bisogno di essere inventate dal nulla: stanno già tutte negli enunciati e nei problemi presenti nell'agenda dei movimenti e nelle rivendicazioni della cittadinanza organizzata. Il manifesto del Movimento del 15-M lo afferma chiaramente: "Le priorità di qualunque società avanzata devono essere l'uguaglianza, il progresso, la solidarietà, il libero accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, benessere e felicità delle persone". Una «Carta dei Nuovi Diritti» potrebbe essere una delle opzioni per riprogrammae il vecchio Welfare State. Si tratterebbe di un progetto politico ed economico ineludibile per qualunque partito che pretenda di essere di sinistra. E nonostante questo non sarebbe certo la formula con la cuale i partiti di sinistra possano "rappresentare" la società. La società si costituisce come tendenza all'auto-rappresentazione. Migranti, donne, vittime di mutui e ipoteche, vittime della distruzione dell'ambiente o del degrado dei servizi pubblici, comunità raggruppate intorno a forme di vita singolari, reti sociali e un lungo eccetera di aggregazioni emergenti hanno trovato il modo di esprimersi da sole, senza le forme di mediazione anchilosate degli apparati istituzionali o della rappresentanza. Tutto fa pensare che la sinistra dei partiti sarà obbligata a un lungo cammino nel deserto, non solo in Spagna ma in tutta Europa. È il momento di assumere l'obbligo di mettere alla prova in un futuro immediato una serie di presupposti nuovi e questi presupposti possono passare solamente per l'accettazione dei limiti della propria rappresentatività e per la cooperazione con i movimenti e le forme di aggregazione che crescono nei nuovi tessuti urbani. L'accesso alla casa, il diritto alla salute e all'assistenza, il riconoscimento dei beni comuni, il diritto allo studio o al movimento risuonano come frastuono sotterraneo delle richieste di questa nuova epoca, che chiedono di essere ascoltate perché si trasformano in realtà nell'esercizio quotidiano delle nuove forme di abitare la città. Per dare un nuovo fondamento alla sinistra istituzionale ci sarà bisogno che futuri governi, invece di piegarsi ai poteri economici ed extra-democratici, si pongano al servizio delle urgenze indicate dai nuovi movimenti sociali.