riflessioni sulla manifestazione di domenica in Val Susa

La vera violenza

di Maurilio Pirone

7 / 7 / 2011

Black bloc, professionisti della violenza, teppisti, terroristi, delinquenti. C'è addirittura chi ha chiamato in causa strani paragoni con le BR. In questi giorni giornalisti e politici le hanno provate veramente tutte per cercare di etichettare quanto successo domenica in Val di Susa. La banalità e la superficialità dei loro tentativi denota una miopia congenita che gli impedisce totalmente di poter vedere quanto succede. Non una volontà di mistificare le proteste dei valligiani, ma l'impossibilità di capire in partenza la portata delle loro rivendicazioni. Domenica, come ovvio, non c'erano solo gli abitanti di quelle zone a difendere la Libera Repubblica della Maddalena, ma anche chi aveva deciso di rispondere al loro appello e condividere quella giornata di protesta. La solita retorica dei buoni e cattivi stavolta è stata accompagnata anche da una raffica di condanne senza appello, sparate a zero da chi, seduto comodamente in poltrona, ha visto nei valligiani dei taciti, forse un po' incoscienti, fiancheggiatori dei “violenti”. Tutti si sono sentiti in dovere di emettere sentenze senza neanche cercare di capire, di farsi delle domande. Non è difficile, è sufficiente dire che si tratta di gente venuta con l'unico intento di spaccare tutto, e così che si trasforma una questione politica in un problema di sicurezza, una rivendicazione sociale in una paura collettiva. A voler dar retta ai racconti dei media e alle parole dei politici sembra che un gruppo di folli sia salito fin su quelle montagne senza alcuna ragione se non per dare sfogo ai propri istinti selvaggi. Vai a vedere, si trattava di mamme, bambini, lavoratori, studenti, anziani.. Tutta gente normale insomma, che nella vita ha ben altro da fare che addestrarsi alla violenza. Nessuno ha cercato di capire cosa ci fosse dietro quella rabbia e quell'indignazione che ha visto uniti e solidali gli abitanti della Valle con quanti hanno deciso di far proprio il loro sdegno. È incredibile vedere come tutti i partiti, dal Pdl a Sel, si siano trovati subito d'accordo nel condannare gli scontri: dopo solo poche ore dall'inizio della manifestazione era già scattata la gare a chi prendeva prima e meglio le distanze da quanto stava accadendo. Legalità veniva invocata da ogni schieramento politico, da quelle stesse persone che in altri momenti parlano di secessione, che fanno accordi con la mafia, che hanno sempre qualche inciucio in ballo con i “furbetti del quartierino”. Preservare l'ordine costituito, ad ogni costo, questo l'imperativo. Perché la violenza di Stato è più che giusta se bisogna far rispettare la democrazia. Ma qual'è questa legalità che segna il confine del giusto e dell'ingiusto, tra chi fa il suo dovere e chi disobbedisce? È quella che permette di svendere i beni comuni, di fare guadagni sulla pelle della gente, di salvare padroni e banchieri con i sacrifici di lavoratori e precari. È quella che decide di costruire una linea ferroviaria che nessuno vuole, che a nessuno serve, che nessuno sa giustificare, se non chi da questa faccenda vuole trarne profitto. Basta vedere chi era in piazza ieri a Genova per chiedere l'apertura di un terzo valico che passi per la Liguria. Perché in Italia sull'alta velocità ci hanno mangiato tutti, dalla Fiat alle cooperative rosse, che di rosso hanno ben poco (ma di operativo molto). Questa è la legalità che va difesa col codice e col manganello, a parole e con la repressione. Ed è contro questa che i Ribelli della Valle si sono schierati. È vero, qualcuno ha tirato sassi, qualcun altro ha divelto delle recinzioni, eppoi c'è stata l'ammoniaca. Insomma, tutta roba da tentato omicidio. Il morto, infatti, ci stava scappando, ma sorprendentemente non dalla parte che pensa Maroni. Fabiano, un ragazzo del Tpo di Bologna, è finito all'ospedale con un braccio rotto dalle ripetute manganellate, il naso fracassato con un tubo di ferro, ematomi su tutto il corpo, la testa piena di bozzi per i colpi ricevuti. Come se non bastasse l'hanno lasciato per tre ore sotto al sole, sanguinante. Ma questa non è violenza, questo è solo il rispetto della legge, così come è successo con Cucchi, con Aldrovandi, con Pinelli, con Giuliani, etc... Non erano mica violenti i sassi dal cavalcavia dell'autostrada lanciati da eroici poliziotti, o i lacrimogeni sparati ad altezza uomo (il solito gas cs, proibito nelle convenzioni internazionali). Tutte misure necessarie, sosterrà qualcuno. Così come sicuramente necessario è stato lo sgombero del 27 giugno alla Maddalena, quando una comunità pacifica presidiava la zona per impedire l'imminente saccheggio; la risposta, molto democratica, alle loro richieste sono stati 2000 poliziotti in tenuta antisommossa, ruspe e la militarizzazione della zona. Si rischiava di perdere i fondi europei per il cantiere e con essi lauti profitti, sempre scarsi in tempo di crisi. Non si poteva di certo perder tempo con questa gente, nemica dello sviluppo e del progresso. Proteste legittime, ma bisogna rimanere sempre all'interno del dialogo civile, ribatterà qualcun altro. Come se i valligiani non avessero tentato di farlo. Negli ultimi anni hanno messo su commissioni, hanno fatto studi, hanno cercato in tutti i modi di rendere pubbliche le ragioni che avevano contro questo progetto, ma puntualmente sono stati esclusi da qualsiasi tavolo istituzionale. Bastava rinegoziare i fondi europei per attuare il piano alternativo che i Valsusini avevano proposto e che prevede l'ammodernamento della linea ferroviaria già esistente e sottoutilizzata, con un gran risparmio di risorse e di conseguenze per l'ambiente. Ma probabilmente non erano queste le intenzioni di chi intende guadagnare dalla Tav. Che dialogo ci può essere allora se l'altro non vuole ascoltarti? La soluzione l'ha data il buon Fassino: prima bisogna far partire i lavori, poi ci si vede tutti (non si sa quando) attorno a un tavolo e se ne controlla lo svolgimento. Se poi qualcosa dovesse andare storto, se qualcuno volesse specularci su, beh, pazienza! Insomma, la linea si farà, che vi piaccia o no. Agli abitanti della Valle che rimaneva da fare? Quando il dialogo è solo uno strumento per inibire le proprie rivendicazioni quale alternativa rimane? Resistere. Ed è quello che è successo domenica. Una legge che permette di sfruttare, fare violenza, reprimere, distruggere, è ancora legittima? La forza di chi non china più il capo, ma difende la sua dignità, è etichettabile come violenza? La lontananza della politica istituzionale dalle richieste e dai bisogni dei valligiani è la drammatica testimonianza dei limiti della democrazia rappresentativa e delle logiche economiche che questa difende. Riprendere il controllo delle proprie vite, questo è stato il grave peccato della Valle, quello che lo Stato non può tollerare. Perché non c'è sottrazione di sovranità che possa farla franca. Lo scollamento fra i luoghi di potere e la realtà è sempre più ampio e manifesto, le modalità e le finalità delle istituzioni entrano in aperto contrasto con le esigenze e i desideri del corpo vivo della società. Sempre più forte si fa l'esigenza di un ripensamento delle forme di prassi sociale, al fine di creare le condizioni reali che sole permetterebbero una partecipazione comune ed effettiva ai processi decisionali, non più sottomessi alle esigenze di profitto e di potere di pochi. Allo stesso tempo la repressione mediatica e fisica messa in atto in Val di Susa mette in guardia dalle facili soluzioni e dalle speranze ingenue, perché non c'è esodo dalla schiavitù senza che il faraone non tenti di riprendere i suoi servi.