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Ricordo bene il viaggio da Salerno, era martedì 17 luglio 2001, nell’incertezza di arrivare a Brignole, già ci vedevamo persi per l’Italia, a vagare nel tentativo di raggiungere la meta. Il primo caffè preso in un bar vicino la stazione prima di giungere a casa e la piacevole accoglienza dei proprietari del bar originari di Napoli, preoccupati per noi e per ciò che avrebbero potuto farci.
Finalmente, l’avventura inizia…
Ad ognuno il suo casco, ad ognuno la sua mascherina, consapevoli tutti dell’importanza dell’autodifesa e convinti nel circondare la zona rossa e assediarla. Equipaggiamento che ha avuto una vita brevissima!
I primi due giorni sono stati ciò che avrebbe dovuto essere Genova per tutta la settimana: discussioni con gli agricoltori di José Bové, con leMadri di Plaza de Mayo le cui parole echeggiano ancora nei nostri cuori, chissà che avranno pensato nel vedere le immagini di sabato notte al Media Center.
Le prime serate passate a cazzeggiare, a mangiare un agnello, soppressate, prosciutto e bere litri e litri di vino paesano, a ridere, ballare, a preparare le assemblee del giorno dopo, a rivedere i compagni del Sud Ribelle, a discutere delle posizioni prese da alcuni compagni, a sistemare il campeggio. Quelle notti fresche con una leggera brezza proveniente da mare, quel mare che ci osservava prima agitato ed irruento poi calmo e silenzioso nel giorno della morte di Carlo.
Quelle notti tranquille gonfie di attesa e di timore per ciò che sarebbe successo e che tutti noi sapevamo che sarebbe accaduto ma che nessuno voleva confessare a se stesso e agli altri, sperando così di scacciare quell’oscuro presagio che su di noi incombeva.
19/07/2001 Il corteo dei migranti ma che di migranti aveva solo il nome, ne ho visti pochi; c’erano solo italiani molti del sud anch’essi migranti da generazioni.
Una festa quel corteo sebbene il blocco nero delle forze del disordinegià manifestava segni di nervosismo e violenza latente, i genovesi, i pochi rimasti, ad applaudirci, a testimoniare che la Resistenza, i fatti di Genova del 1960 non sono ricordi del passato ma storia che ancora vive. Storia che vive nelle donne di 80 anni che con i loro occhi guardano i loro nipoti sfilare e che con la loro presenza danno più forza di ogni cosa.
20/07/2001 Piazza Paolo Da Novi lì si sarebbe potuto esprimere la contestazione radicale al G8 sia attraverso le parole sia attraverso un assedio fatto di uomini e donne di ogni età alla zona rossa; ci saremmo riusciti! Ricordo il corteo che si allontana dalla piazza con alla testa Bovè ed i suoi agricoltori, dietro di noi l’inferno. Un inferno inutile che non è servito ad alleggerire la pressione della polizia sulle altre zone oggetto dell’assedio. Un inferno inutile che ha allontanato migliaia di compagni dalla zona rossa facilitando l’azione di repressione. Piazzale Kennedy, noi dentro barricati “loro” fuori, per fortuna ci sono le spiagge da cui scappare. Di nuovo in corteo ripercorriamo la strada che ci porta al Network, ormai sbandati e carichi di tensione, da lontano si vedono alte colonne di fumo.
Al campeggio l’aria è tesa, discussioni fra compagni sulle colpe di ognuno e sul che fare con il blocco nero, sappiamo che Vincenzo è stato ferito da un idiota, la situazione fra di noi peggiora. Assemblee veloci per decidere ciò che dieci minuti dopo verrà di nuovo messo in discussione, si presidia la porta ed appena si vede una maglietta nera il nervosismo sale a mille, si aggrediscono compagni per un niente e come se tutti sapessero che qualcosa di ancora più grave stia per accadere.
17:27 20 Luglio 2001 D’improvviso irrompe la tragedia!
Il blocco nero delle forze del disordine, la nuova guardia repubblicana del regime spara ed uccide. Un mondo crolla, si ritorna indietro, i compagni più anziani rimangono in silenzio, c’è chi piange, c’è chi urla, il panico avvolge il campeggio, non si capisce più niente. La caccia alle streghe inizia fra di noi, la cosa peggiore che poteva accadere nel momento in cui un compagno veniva ucciso.
Carlo è uno di noi, Carlo sono io, Carlo sono i compagni che conosco da anni, Carlo è quel compagno che ho mandato a quel paese perché ero in disaccordo con lui, Carlo è…
Non credo che sia morto, il cuore non accetta ciò che la mente temeva da mesi, dall’inizio della campagna contro il G8, non accetto l’idea della sua morte, i miei occhi vedono il suo sangue per terra, il luogo dove è stato ucciso ma il cervello non recepisce le immagini, non le lega in un pensiero, mi rifiuto semplicemente di vedere. Cosa rifiuto di vedere? Il mondo in cui vivo che uccide chi protesta e piange più per una vetrina rotta o un cassonetto sfondato che per una giovane vita? Si è questo, su questo si basa il mio rifiuto!
Il mio pensiero corre alla madre di Carlo, così ogniqualvolta vedo un ragazzo palestinese ucciso mentre lancia una pietra, sua madre è mia madre, penso a lei ed al suo timore, al suo dolore di perdere un figlio, penso a lei quando ascolto i tg della sera.
Viveva con i cani dicono, è giusto che sia morto come un cane, sembra che dicano.
Odio, forse, ribrezzo per questa gente di sicuro ne provo, ormai il fossato già ampio fra noi e “loro” è diventato profondo come il mare, come un pozzo senza fine.
Si ritorna a casa dopo una giornata lunga e nera, la notte è scura, fa caldo, un’atmosfera strana fra di noi, un po’ si scherza un po’ si sta sul balcone a guardare un fiume senza acqua così come siamo noi adesso. Il sonno sopraggiunge lentamente, non credo ancora di aver vissuto una giornata così triste, mi vengono in mente le immagini di Napoli 14 Novembre 1994 quando una macchina della polizia stava per uccidere uno di noi, allora Berluska oggi ancora lui.
Sabato 21 Luglio, corteo internazionale sento che ci saremo, sento che ci saranno ancora “loro”, non è facile soddisfare la sete di sangue di 20000 belve, non è bastato il sangue di Carlo. Rivedo una mia amica, sono 9 anni che non ci vedevamo, un momento felice in un futuro incerto. Il corteo parte già alle 11 da via Re di Puglia, ci siamo.
Genova ci accoglie di nuovo bene, fa caldo ed i genovesi affacciati alle finestre, ai balconi gettano bottiglie d’acqua, secchi d’acqua, aprono le pompe e ci innaffiano donandoci refrigerio, gli elicotteri ci passano sulle nostre teste ad una quota bassissima quasi infuriati da queste unione fra noi ed i genovesi, i compagni scherzano dicendo che il giorno dopo le persone che ci hanno aiutato saranno denunciate.
Il blocco nero del regime è nervoso, non ci lasciano in pace, invece di nascondersi per la vergogna mostrano ad ogni via la loro protervia, fingono cariche e provocano di continuo, hanno sete si vede. Arrivano le notizie che i compagni si stanno scontrando a Piazzale Kennedy, iniziano le prime cariche alla testa del corteo e tentano di rompere l’unità di 200000 persone, arriviamo all’altezza della caserma dei carabinieri, cori, striscioni ed altro ancora ricordano la nostra rabbia ed il nostro dolore a coloro i quali ci hanno tolto la vita.
Si decide di non provocare la reazione degli squadroni della morte, il punto in cui ci troviamo non è difendibile e poco potrebbero fare i servizi d’ordine, molta gente poco spazio di manovra sarebbe una carneficina, noi lo sappiamo ma anche “loro” lo sanno. Infatti caricano, lacrimogeni sparati dai 3 elementi: terra, mare ed aria, tentiamo di tenere uniti i cordoni ma inutilmente il panico assale le persone che travolgono tutto e tutti, il resto lo fanno questi lacrimogeni quasi paralizzanti.
Mi sento di morire, non respiro più, per aiutare un compagno quasi a terra inalo una razione doppia del lacrimogeno, resisto alla sua azione dentro di me, reagisco, i miei nervi sono più forti del dolore, l’istinto di sopravvivere ha la meglio, sono fuori.
Dove sono i compagni? Dove è lo striscione? Non trovo più nessuno eppure sono in mezzo a 30000 persone che scappano e urlano, il corteo si apre, si disperde c’è chi sale per Via Zara e chi ritorna indietro per Corso Italia, stanno smembrando un corteo di quasi 300000 persone con ogni mezzo necessario.
I cellulari non prendono per una decina di minuti, non capisco che fare, cerco di ragionare, di capire dove siano i compagni, pensavo di essere rimasto indietro a causa del lacrimogeno, mi accorgo invece di trovarmi avanti, ritrovo quasi tutti i compagni, ci ricompattiamo, con i Cobas decidiamo di prendere una strada laterale e ci portiamo dietro quasi 10000 persone, alcuni compagni di Genova su una moto ci precedono.
Avanziamo in cordone, siamo tesi, persi per le strade di una Genova che non conosciamo, abbiamo solo questi compagni come riferimento, dietro proseguono le cariche, ci inseguono, vediamo il fumo bianco dei lacrimogeni alle nostre spalle, diminuiamo di numero, la coda del corteo ci protegge alzando barricate ma è inutile. Ci sono addosso in una discesa, per un attimo caricano poi si fermano, riusciamo a ripartire, procediamo veloci per non dare modo di caricarci ma anche per evitare inutili azioni di guerriglia urbana che a questo punto veramente non servirebbero a nulla.
Decidiamo di raggiungere Piazza Martinez e scioglierci lì, non è possibile arrivare a Marassi sappiamo di scontri dovunque e specialmente verso Corso Sardegna, incontriamo migliaia di persone che vagano per la città, aleggia un’atmosfera surreale, le cose, le persone assumono contorni indefinibili, l’aria è satura di lacrimogeni, siamo preoccupati per dei compagni che non si trovano, decidiamo di tornare a casa cercando di evitare le zone più pericolose.
Casa, finalmente un po’ di calma, dal balcone vediamo lo stadio di Marassi e le continue cariche della polizia, sotto il nostro balcone passano 6 blindati, la tentazione è forte di scagliare la nostra rabbia su di loro, ma il mitico buonsenso ci consiglia di stare calmi.
Genova Brignole ore 21 ci troviamo nello stesso posto dell’arrivo ma tutto è cambiato e nulla sarà come prima, penso a Carlo che non c’è più.
Genova Brignole ore 2 di notte l’assalto “cileno” al media center di nuovo sale la tensione, questa città non ci vuole lasciare andare, siamo rimasti sono una parte dei compagni della Campania nella stazione più altri di altre regioni, saremo un migliaio scarsi, le notizie si accavallano e sono sempre più preoccupanti, decidiamo quasi di non partire, ci consultiamo con i compagni di Napoli ed optiamo per lasciare questa città.
Salerno ci accoglie con il suo caldo asfissiante, alcune mamme aspettano i loro figli alla stazione, ognuno torna a casa sua ma i nostri sguardi, i nostri animi sono tristi.
Carlo vive!