Occupare

Utente: marcobarone
12 / 12 / 2011

Dedicata agli operai uccisi dal lavoro e feriti dal lavoro.

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Giornata cupa, un tempo ora in bianco ora in nero.
Soffia la borina.
Piove e provi ad aprir l'ombrello, riciclato e tutto rotto.
Una lotta contro il tempo turbolento.
Sembra quasi che tal tempo stia per annunciare un qualcosa di non buono.
Trieste.
Costeggi le rive, traffico ordinario, troppo ordinario per una giornata di pioggia, e decidi di recarti verso quello che un tempo era l'ex Meccanografico di Campo Marzio.
Una struttura immensa,un ex edificio delle Ferrovie dello Stato mai entrato in reale funzione, riconvertito successivamente a museo scientifico, ma nella realtà rimasto sospeso nel vuoto della burocrazia e dello sperpero di danaro pubblico.
La proprietà è del Comune di Trieste.
Una proprietà degradata, isolata,come la società di oggi giorno.
Ma dei ragazzi e delle ragazze decidono che questo sperpero deve essere denunciato.
Che deve uscire dal pozzo dell'oblio l'ennesimo luogo abbandonato dalla civiltà umana.
E se questa è la civiltà, degrado, sprechi, evviva l'inciviltà.
Entrano in quel posto.
Mura fredde e gelide.
Spazi vuoti che dovevano divenire finestre, facilitano il tour de Trieste, dell'aria invernale, all'interno di quelle mura ove un tempo macchine e calcolatori partorivano vita oppressa e repressa.
Ma pur sempre vita.
Poi silenzio.
Poi la voce degli operai, i quali, tra ponteggi costruiti e mai smantellati, tra carriole e attrezzature varie, con il sudore del lor lavoro avevano conferito battito di vita per quel mostro di cemento.
Poi la fuga.
E' impressionante vedere le opere abbandonate a se stesse ma ancor di più osservare gli attrezzi da lavoro, le impalcature, scatole, e plichi di varia natura esser relegati nei vari piani di tal edificio nella logorante attesa che qualcuno riprendesse in mano lo strumento di lavoro per ridare luce ad un posto senza più posto in tal società.
E la vita ritorna.
Chi si dedica alle pulizie, chi prova a rendere vivibile una struttura scheletrica che necessita di ogni forma di alimentazione, chi fuma una sigaretta chi discute di nuovo sistema sociale.
Vita.
La vita di una generazione senza spazi per discutere, senza luoghi per incutere speranza, ora ha espropriato tal palazzo al Palazzo del potere, per denunciare alla città silente che la vera forma di inciviltà è il degrado sociale e disumano su cui il sistema fonda la propria essenza.
Una essenza priva di alcun profumo ed odore.
Una essenza acritica e critica per l'umanità.
Ma quando arrivi innanzi al cancello di tal palazzo, lo vedi chiuso.
Una catena color grigio, come il cielo invernale che avvolge i sentimenti confusi di Trieste nella brezza del golfo adiacente i sentieri carsici, ed un cartello che ricorda aperitivo alle 20.00.
Piove.
Pioggia ladra di sogni ti verrebbe da dire.
Ma senza proferir verbo alcuno guardi ed osservi ancora quella struttura e pensi che in fondo, per quanto giusto o sbagliato possa esser il tempismo di praticare determinate lotte, comprendi che quel posto ora ha un posto e questo posto si chiama indignazione per la rivoluzione.
No.
Non vi può essere un tempismo giusto o sbagliato.
Non vi è più tempo per nessun tempo.
La mia attenzione è e ripeto è focalizzata su quelle mura prima dormienti e silenti ora sorridenti anche se indebolite dall'incuria umana.
Però, percepisci che qualcosa oggi non è.
Non è.
Non è.
Oggi non è vita.
Oggi un lavoratore è stato ucciso dal lavoro.
Oggi molti lavoratori sono stati feriti dal lavoro.
Porco di quel mondo, ancora.
Ancora.
Pianti, lacrime e richiesta di giustizia.
Nessuna giustizia istituzionale potrà mai riportar in vita l'uomo ucciso dal sistema e dal lavoro.
E' un sistema che uccide per profitto.
Maledetto profitto.
Ti maledico.
Ed allora occupare è giusto.
E' giusto occupare contro il degrado disumano di questo tempo, che non è il mio tempo, ma lo vivo perché esisto.
E' giusto occupare per disoccupare i palazzi del potere.
E' giusto occupare per solidarizzare con chi è stato ancora una volta ucciso dal profitto.
Occupiamo queste desolate vie destinate a divenir succubi della burocrazia sotto il velo della democrazia.
Occupiamo i nostri sogni, occupiamo la nostra dignità, occupiamo noi stessi disoccupando l'indifferenza.
Eppure un uomo oggi è stato ucciso dal lavoro.


Marco Barone