Parola di MaFiat

Utente: lucio
26 / 2 / 2011

Parola di MaFiat
L’Italia è da sempre il regno della retorica, degli impostori e dei pifferai magici. Il degrado etico e culturale in cui è sprofondato il Paese è tale da non permettere più di discernere la verità dalla menzogna. Il discorso pronunciato da Marchionne all’ultimo meeting di Comunione e Liberazione è la riprova che la Fiat è spinta da finalità antioperaie e antidemocratiche. L’intervento di Marchionne ha evidenziato toni e contenuti solo apparentemente concilianti, ma dietro la falsa erudizione e l’enfasi “buonista” si annida un’arroganza infarcita di citazioni utili ad incorniciare messaggi oltraggiosi contro le leggi e le istituzioni dello Stato, coprendo minacce e provocazioni verso gli operai. La classica ciliegina è stato l’invito a disertare la lotta di classe, mentre è evidente che solo la Fiat conduce una “santa crociata” contro gli operai e i sindacati non ancora supini che si ostinano a resistere. Gli operai più combattivi si limitano a difendere il lavoro e i propri diritti, ma non stanno facendo la guerra ai padroni. La lotta di classe non l’hanno mai provocata gli operai, ma sempre i capitalisti e i loro scagnozzi.
Al di là dei proclami verbali contano i fatti concreti, che mostrano quali sono gli intenti reali della Fiat. Le vicende di Pomigliano e Mirafiori sono paradigmatiche e rischiano di mutare le relazioni industriali nel Paese. Esse mostrano che ogni sacrificio dei lavoratori non serve a conservare il lavoro, ma consente al capitale di estendere i sacrifici ai lavoratori di tutto il mondo e imporne altri con la scusa di reggere la concorrenza. Al di là degli esiti referendari, della vittoria non plebiscitaria dei “sì” che potrebbe essere considerata una “vittoria di Pirro”, in realtà hanno perso gli operai. Nella “proposta” avanzata da Marchionne e firmata dai sindacati filo-padronali, affiora un’arroganza da industriali ottocenteschi. Per realizzare il massimo profitto la Fiat “deroga” su leggi, contratti, Statuto dei Lavoratori, Costituzione. Le vicende di Pomigliano e Mirafiori rischiano di imporre l’idea che l’unica soluzione alla crisi sia accettare la logica del ricatto aziendale: lavori se rinunci al salario sottraendo occupazione ad altri lavoratori; sopravvivi se rinunci ai diritti e alla democrazia. In tal senso Pomigliano e Mirafiori rischiano di “fare scuola” segnando lo spartiacque delle “nuove relazioni industriali”.
L’odierna recessione non è accidentale, ma una crisi strutturale causata dall’eccessivo sviluppo delle forze produttive, una crisi accelerata dalla saturazione dei mercati: finora si è prodotto in quantità eccessiva sfruttando i lavoratori, che si sono impoveriti e sono destinati ad impoverirsi ulteriormente. E’ una crisi generata dal divario tra la crescente produttività del lavoro e le scarse capacità di consumo dei lavoratori. In altri termini gli operai producono troppo e non si riesce a vendere quanto producono. La radice delle contraddizioni del capitalismo è la sua tendenza intrinseca alla sovrapproduzione.
In questo quadro l’azione dei governi asseconda gli interessi capitalistici. Le politiche di liberalizzazione selvaggia condotte negli ultimi anni procedono malgrado aumenti la consapevolezza che esse favoriscono il predominio delle banche e delle società finanziarie a scapito dei lavoratori. Impresa, mercato, profitto, non sono mai stati termini asettici o neutrali, hanno sempre definito affari e poteri concreti, persone in carne ed ossa. Invece, oggi tali interessi privati sono esibiti come il bene comune.
La contraddizione centrale è ancora quella tra capitale e mondo del lavoro. I lavoratori devono prendere coscienza che il vero problema risiede nel costo del capitale, nell'aggravarsi dello sfruttamento, nella precarizzazione delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, nell’alienazione operaia. Di fronte alla crisi la risposta della FIAT è una strategia che punta a terzomondizzare il lavoro in Italia, ad intensificare ritmi e tempi di lavoro, a precarizzare completamente i diritti, le tutele sindacali, i salari, le condizioni di sicurezza degli operai. Dopo aver dissanguato i lavoratori polacchi la FIAT pianifica il rientro in Italia di una produzione trasferita all’estero negli anni scorsi, malgrado le generose sovvenzioni elargite dallo Stato italiano, cioè dai contribuenti.
In un paese civile la sicurezza sul lavoro dovrebbe essere anteposta ad ogni altra questione. Eppure il bilancio degli “omicidi bianchi” esige un aggiornamento costante. Il lavoro nelle fabbriche è ormai ad alto rischio. L'impressionante bilancio degli “omicidi bianchi” è un bollettino di guerra. Si calcola che nel mondo gli infortuni mortali sul lavoro, secondo i dati forniti dall’INAIL, superano i morti causati da tutte le guerre. Se non bastasse l'evidenza ci sono le statistiche a confermare che nei luoghi di lavoro è in corso uno stillicidio. Le stime dell’INAIL segnalano una recrudescenza del fenomeno. La media quotidiana di 3/4 vittime rivela la scarsa severità delle norme, della loro applicazione e dei controlli ispettivi. Gli operai continuano a crepare in fabbrica, mentre nessun governo, nessun sindacato può intervenire, ammettendo la propria impotenza.
Al di là di “tragiche fatalità” gli infortuni mortali recano sempre responsabilità precise in quanto c’è sempre chi non ha fatto il suo dovere, responsabilità da cercare e perseguire. In genere le stragi sul lavoro sono riconducibili alle seguenti cause: anzitutto i costi del profitto economico, l'inasprimento dello sfruttamento e l'aumento degli straordinari. Insomma, la causa prima è la precarizzazione delle condizioni di sicurezza del lavoro. Invece, nell'agenda del governo tale emergenza è scalzata da false priorità come la sicurezza urbana legata strumentalmente all'immigrazione "clandestina".
Negli ultimi mesi, in Italia e all’estero, gli effetti della crisi hanno spinto molti operai a ribellarsi e intraprendere forme di protesta prima impensabili. C’è l’operaio che tenta il suicidio perché non riesce ad arrivare alla fine del mese, ma ci sono anche casi di lavoratori che scelgono di resistere contro i licenziamenti e la crisi, che i padroni tentano di far pagare alla classe operaia. Crescono le lotte intraprese da gruppi di operai ribelli in molte fabbriche soprattutto del gruppo Fiat, lavoratori auto-organizzati e perciò sottoposti alla repressione dalla Fiat e dello Stato suo complice.
Oggi è più che mai necessario solidarizzare con le lotte degli operai che lottano contro la crisi e lo sfruttamento, per non essere più ingannati da governo, padroni e sindacati.
Lucio Garofalo