il diritto alla cultura come bene comune , prezioso come l'acqua

Università: il bene comune dell’istruzione e della ricerca

Lettera aperta agli studenti di sinistra di Firenze e a tutti gli studenti dopo la giornata del 22 dicembre

Utente: portal
23 / 1 / 2011

La cultura e il sistema dell’istruzione, che ne costituisce la chiave di accesso alla portata di tutti, rientra nei beni comuni vitali come il diritto all’acqua. In questi anni di crisi recessiva abbiamo visto gli stati nazionali e le istituzioni finanziarie sovrannazionali soccorrere con misure straordinarie, con i denari dei contribuenti, le bancarotte delle banche private “sistemiche”, responsabili delle operazioni speculative, produttrici di tale crisi che dal settore finanziario ha investito l’economia reale. Risibili interventi sono stati attuati a tutela di risparmiatori colpiti da queste ondate speculative. Questa operazione è la smentita più chiara dell’ideologia neo-liberista, fondata sulla deregolamentazione del mercato, merci, persone e diritti compresi, creatore di circoli virtuosi, per nulla bisognosi di interventi pubblici regolatori.
Il settore pubblico è ancillare rispetto alla capitalizzazione del settore privato. Lo vediamo nella grave crisi universitaria nel nostro paese, che merita una riflessione specifica. I migliori alleati di chi vuole liquidare il bene pubblico di istruzione e ricerca sono coloro che negli Atenei pubblici per anni hanno sfruttato il terreno fino a trasformare quegli spazi pubblici in squallidi cortili di casa, a scapito di docenti che hanno cercato e che cercano di lavorare bene, talvolta nell’oscurità mediatica e senza necessari sostegni. Il posto pubblico garantito senza periodiche verifiche di efficienza ed efficacia , i reclutamenti truccati, l’uso dell’Università a fini privati ed illeciti ha giovato all’espansione di affari privati ed ha svilito e svuotato il settore pubblico ( buchi di bilancio notevolissimi). Gli atenei per anni hanno operato ed operano sulle spalle di migliaia di precari, che costituiscono una parte di quel più vasto fenomeno del precariato che un sociologo come Luciano Gallino ha quantificato in Italia nell’ordine degli 11 milioni di persone, tra cui figurano diversi immigrati, non gli irregolari, perché “ inesistenti” e solo statisticamente “stimabili”, ma anch’essi altamente produttivi. La componente giovanile all’interno dell’area del precariato è molto forte. ( Vedi di Luciano Gallino, Il lavoro non è una merce, ed Laterza, 2008 e scritti più recenti su quotidiani e riviste, inoltre si veda il libro di Massimo Livi Bacci Avanti giovani alla riscossa, Mulino 2008, aggiornamenti su (www.neodemos.it ).
Apartheid dei non garantiti nel mondo del lavoro
Succede ed è successo che nelle università, anche in quella di Firenze a Scienze della Formazione , e non solo nelle facoltà umanistiche, gli insegnamenti a contratto siano stati pagati 720 euro complessivi per 40 ore di lezione più le ore di ricevimento degli studenti, la cura e la discussione delle tesi e quant'altro. Tutto compreso si arriva a fatica alla cifra di 14 euro orarie. Ma quest’anno la proposta ai contrattisti dei presidi di facoltà è stata quella di svolgere gratuitamente il lavoro, senza alcun diritto, con la sola speranza di acquistare punteggi per un futuro probabile concorso, dalle regole improbabili, e di usufruire di qualche porzione dei fondi stanziati dalla Regione per i bandi di ricerca, di cui sono titolari i docenti strutturati, i cui progetti sono risultati idonei. Proposta sfrontata che si è fatta sempre più cogente dopo che i ricercatori di ruolo hanno attuato lo sciopero dei compiti: noi facciamo ricerca e non ci prestiamo più a fare didattica!
Il lavoro gratuito avviene in diversi settori della pubblica amministrazione. Anche nel settore privato questa pratica passa attraverso gli stages “formativi”, che hanno poco di formativo e molto di sostituzione di posti di lavoro, nei quali i giovani prestano gratis la loro opera nella speranza di aprirsi qualche varco con grande vantaggio per le imprese. Di stage in stage si allunga la permanenza in questa gabbia della speranza che spesso non vede alcuno sbocco. E come dice Pietro Ichino è proprio la componente precaria del lavoro, che alterna la condizione flessibile e nera, ad alta componente giovanile, che non beneficia di investimenti in vera formazione, in incentivi reali alla ricerca. Addirittura egli parla di apartheid nel mondo del lavoro, fatto salvo che si possa essere in disaccordo con lui su alcune sue proposte di cambiamento.
Una riforma con qualche promessa in un clima di forte sfiducia.
La riforma del Ministro dell’Istruzione tenta di istituire regole diverse nei concorsi, ma demanda a numerosi decreti attuativi i criteri di verifica della virtuosità degli atenei: atenei che vedono la presenza cospicua di docenti ordinari ed associati entrati attraverso le misure ope legis negli anni passati e con criteri di reclutamento segnati fortemente dalla cooptazione fondata sulla corruzione. Sappiamo che i codici etici, laddove sono stati varati, hanno visto spesso abili aggiramenti. Le Regioni in primo luogo, gli istituti erogatori di fondi dell’Unione Europea dovrebbero varare regole chiare di divieto assegnazione di fondi per la ricerca a Facoltà, Dipartimenti, Atenei che non adottano criteri oggettivi di trasparenza. Sarà un obiettivo credibile con il concorso nazionale? Con che criteri avverranno le chiamate degli Atenei? Quali sostegni effettivi alla ricerca fornisce questa riforma? Quali equilibri si determineranno nei Consigli di amministrazione, condizionati fortemente dai tagli della spesa pubblica, con i rappresentanti di imprese che cercheranno di far valere i loro target di ricerca in cambio di denaro. Pur senza diffidenze preconcette, ci vogliono i necessari controlli e contrappesi.
Quali misure mette in atto questa riforma per accorciare e ridurre gli svantaggi sociali della popolazione studentesca, per farla accedere in condizioni di leale competizione alle prove concorsuali o all’appuntamento con il mercato del lavoro? Per esempio nella seconda parte degli anni ’90 e 2000 in Francia il problema era stato posto nei diversi gradi di istruzione ed erano state prese alcune misure, in alcuni casi non adeguatamente efficaci, ma almeno il tentativo era stato fatto. Nel nostro paese questo dibattito non c’è e purtroppo i giovani e meno giovani hanno l’impressione, anzi la convinzione, che il gioco partecipativo sia viziato alla radice. Ne discende una crisi di fiducia nell’istituzione universitaria, un approfondito solco di separazione tra molti giovani dalle buone potenzialità, magari senza una potente famiglia alle spalle e una componente garantita e strutturata degli atenei che non vuol perdere nulla dei suoi privilegi, anzi punta a perpetuarli, ma i cui costi sulla finanza pubblica sono insopportabili e le cui performances sono scadenti. Anche la macchina burocratica di questa università, con importanti eccezioni frutto del lavoro di ottimi docenti, ricercatori e studenti, contribuisce a produrre il blocco della mobilità sociale ascendente nella società italiana. Questo è un fatto riconosciuto anche da settori ragionanti del mondo confindustriale. ( vedi i dati forniti dal sito www.lavoce.it , anni 2007-2008 e seguenti) . Questo rigore nel rispetto di regole di trasparenza a costi zero che promette questa riforma si fonda su un terreno che non ha basi solide.
Ancora oggi proseguono forme di reclutamento poco pulite. Proprio questo governo ha cambiato qualche parola sulla legge chiamata del rientro dei cervelli per permettere assunzioni a tempo indeterminato a persone che non dispongono di titoli equipollenti all’estero e che entrano in forza come professori associati senza nemmeno una prova di reclutamento, ma con una valutazione delle attività di ricerca, svolte nel periodo di rientro, da una commissione tutta interna ai dipartimenti di afferenza. Sono state inoltrate interrogazioni parlamentari su questo argomento, le cui risposte sono state a dir poco evasive.
Affermare la trasparenza e la partecipazione attiva contro le rendite di posizione
Ho personalmente constatato che finanche nei Corsi di laurea come quello di Operazioni di pace , gestione e mediazione dei conflitti a Firenze nei recentissimi anni, come ho già scritto in precedenti occasioni, si sono verificate pratiche corruttive. Per quanto riguarda Firenze ho prodotto personalmente accurata e puntuale documentazione di illeciti nel Corso di laurea succitato tra il 2006 e il 2008, consistenti in verbali inventati, volti a favorire soggetti nella carriera, in barba alle regole. Ben due rettori d’Ateneo sono stati resi edotti, con documentazione agli atti, su quanto avveniva. Per questa elementare, ma difficile ed aspra azione di trasparenza sono stato allontanato dall’insegnamento a contratto che svolgevo da anni presso il Corso di laurea di Operazioni di pace anche dopo aver conseguito un dottorato di ricerca e con giudizio eccellente ed aver prodotto un congruo numero di pubblicazioni.
Ricordo che prima dell’esplosione dell’ Onda studentesca 1 ( autunno 2008) in un numero sparuto di docenti a contratto protestavamo nei Consigli di corso di laurea , nel febbraio-marzo dello stesso anno, contro la cancellazione operata a maggioranza dal Senato Accademico di Firenze , del diritto di voto vincolante nei Consigli da parte dei docenti a contratto. Tale diritto costituiva una minima garanzia di controllo e tutela dal rischio cooptazione nelle decisioni e nelle operazioni di proposte di reclutamento da parte dei docenti strutturati ( ordinari ed associati). Solo Francesco Epifani, allora rappresentante degli studenti di sinistra in Senato accademico e la componente sindacale ( Cisl e Cgil) si opposero con il voto. In quell’occasione ci fu il sostanziale assenso e silenzio-assenso della grandissima parte dei docenti strutturati nei Consigli di corso di laurea, anche di quelli aperti alle istanze di democratizzazione, inclusi i docenti nonviolenti del Corso di laurea Operazioni di pace. Però molti di loro in autunno si trovavano a partecipare alle iniziative dell’Onda 1 ed a svolgere le lezioni in piazza!
La giornata del 22 dicembre ha impresso un vigoroso impulso a sperimentare il metodo della nonviolenza attiva, che è il contrario della passività, ma che sa mettere in campo una varietà di forme di lotta in grado di rompere l’unanimismo nel fronte avversario. Inoltre oggi la questione dell’accesso alla cultura come bene comune è questione di rilievo mondiale e quindi diventa di capitale importanza il collegamento internazionale tra lavoratori della conoscenza, studenti e lavoratori tutti per produrre analisi e proposte non corporative e in competizione distruttiva tra loro. In questo senso l’opera di Gene Sharp, La politica dell’azione nonviolenta, 3 voll, Ed. Gruppo Abele e Sonda costituiscono una miniera di informazioni. ( vedi sito. www.aeinstein.org ) Anche le occupazioni pacifiche e costruttive, i sit- in sulle torri, sui monumenti artistici, sui tetti come nel 2009 gli operai dell’Innse di Milano e poi molti altri, compresi gli immigrati di Brescia, si inscrivono nell’alveo della nonviolenza, nonostante ci siano stati episodi di violenza ed anche possibili infiltrazioni di agenti provocatori volte a minare il potenziale democratico del movimento. Oltre all’azione di piazza è fondamentale giungere ad un’elaborazione e alla formulazione di punti qualificanti di proposta. La presenza di un movimento di base arricchisce il dibattito e il confronto. Il problema è quello di darsi una struttura ed un programma, obiettivo questo per nulla facile se realizzato nella conservazione di un’autonomia ed una dialettica di confronto con associazioni, partiti ed istituzioni.
Le tendenze in atto a livello internazionale in questa globalizzazione rendono l’accesso alla cultura sempre più un bene poco comune, il cui prezzo sarà determinato dagli umori del mercato. Ma oggi le conoscenze tecnologiche sostenute da una coscienza critica aprono prospettive di attività importantissime sul terreno ecologico, delle energie alternative veicolabili attraverso i sistemi informatici. E’ questa ricerca di attività nuove che gli enti locali a livello internazionale possono promuovere con scuole ed università per dare prospettive ai giovani in formazione, accentuando il carattere decentrato e collegato in rete delle iniziative
Oggi l’università italiana non è un luogo che attrae studenti: per sette studenti che vanno all’estero a studiare ve ne è uno solo che da paesi esteri ( UE 27, Canada, Stati Uniti e Svizzera) che viene in Italia. Saluti solidali.
Lorenzo Porta. docente ( presidente Centro di documentazione sociale - CEDAS) per contatti mail: [email protected] : [email protected]


Sintetico curriculum vitae di Lorenzo Porta

Ha vissuto l’intera esperienza di resistenza alla nuclearizzazione militare a Comiso (Sicilia) per una parete degli anni ’80 dove ha cercato di far convivere in un lavoro collettivo la resistenza ai missili nucleari a medio raggio, poi ritirati dal territorio europeo, ad un progetto costruttivo di attività ecologica nei terreni circostanti la base missilistica. Incarcerato nel carcere militare di Palermo per diserzione perché auto-traferitosi da Milano a Comiso durante il servizio civile, che allora era sotto la giurisdizione militare. Scarcerato ( 1983) grazie alla solidarietà internazionale e congedato dopo pochi mesi senza processo.
Per diversi anni docente a contratto di Metodologia della ricerca sociale, Sociologia dell’educazione alla pace e Maieutica reciproca e ricerca azione per la pace presso l’Università di Firenze. Dottore di ricerca in Qualità della formazione presso la stessa Università. E’ docente di ruolo nelle scuole superiori statali di filosofia, psicologia e scienze sociali. Ha pubblicato libri e saggi su tematiche diverse con riferimento alla realtà giovanile, alla prevenzione dei conflitti armati, alla tematica del pregiudizio antisemitico e al rapporto tra legalità e partecipazione sociale. Presidente dell’associazione Cedas (Centro di documentazione sociale).
Collabora con le associazioni che nel Medio Oriente promuovono i diritti umani, la conoscenza interculturale, la laicità contro i pregiudizi. Socio attivo per molti anni degli Amici italiani di Nevè Shalom-Wahat al-Salam ( villaggio ebraico- palestinese in Israele) collabora con la rivista italiana «Keshet» e con «Peace Power» (Berkeley CA), “Azione nonviolenta”, i “Quaderni della Fondazione Balducci” dove sono comparsi suoi scritti su Don Milani e Danilo Dolci.
Ultimo libro : Legalità e partecipazione. Itinerari formativi tra docenti , studenti e detenuti per la legalità e la Costituzione, a cura di Lorenzo Porta, A,M. Bracciante e Silvia Fossati, Ed. Zella, Firenze, 2009. ( per contatti : mail: [email protected] )
Sito del Centro di documentazione sociale ( CEDAS) : www.cedasnonviolenza.it
Mail : [email protected]