Uomini che odiano le donne - Bergamo

Un'altra donna uccisa dal suo compagno, aveva denunciato più volte le violenze

Utente: saraeva
26 / 10 / 2011

Venerdì 21 ottobre, nel pomeriggio, una giovane donna è stata uccisa dal marito a Bergamo, nel quartiere di Colognola. Strangolata a mani nude. Da qualche tempo si erano lasciati, in passato lei lo aveva denunciato per maltrattamenti. Una volta era stata perfino ricoverata in ospedale dopo che lui l’aveva presa a botte.

Un’altra donna uccisa dal proprio compagno – o dal suo ex.

Le vittime hanno sempre nomi diversi ma le loro storie, purtroppo, si assomigliano tutte drammaticamente: stanno con un uomo violento, vengono minacciate ricattate picchiate, a volte stuprate, e poi uccise. Questa volta è toccato a Romina Acerbis, 28 anni, bergamasca. Ma non è la prima volta che succede nella provincia di Bergamo: questa città, come tutte le altre, rispetta in pieno il dato nazionale sulle uccisioni di donne da parte dei loro uomini – in Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno, marito o ex partner (dato Istat). Una ogni tre giorni significa che ogni anno nel nostro paese muoiono in questo modo, all’incirca, 120 donne. E’ una strage, lenta e costante. E la cosa incredibile è che in almeno sette casi su dieci queste donne prima di morire hanno chiesto aiuto più volte: alle forze dell’ordine, ai servizi sociali, agli ospedali in cui sono state ricoverate dopo le botte.

Queste uccisioni non sono fulmini a ciel sereno, l’omicida non agisce in preda a un raptus imprevedibile: l’uccisione è il tragico momento finale di un crescendo di violenza che non si arresta, nella maggior parte dei casi si tratta di morti annunciate. La violenza contro le donne è un problema sociale, i numeri parlano chiaro: considerarla un fatto privato è il miglior modo per non combatterla. Pensare che questi uomini uccidono perché sono malati, pazzi o dipendenti da sostanze è assolutamente fuorviante: la violenza contro le donne è un problema anche e soprattutto culturale, diffusissimo. Questi uomini vogliono esercitare potere e controllo su quelle che considerano le loro donne, e quando le donne si sottraggono al dominio per provare ad esercitare la propria libertà vengono colpite. Dove? In casa, tra quelle mura domestiche che nell’immaginario comune vengono vissute come il luogo più sicuro. Eppure è proprio in casa che il maggior numero di violenze si consuma: nove su dieci, solo nel 10% dei casi il maltrattatore è uno sconosciuto che aggredisce per strada. Ma è sempre al mostro straniero nascosto dietro l’angolo che si grida.

Eppure qualcuno capace di aiutare le donne vittima di violenza esiste: in ogni città d’Italia si trova almeno un centro antiviolenza, in cui lavorano psicologhe, counsellor, legali. In questi luoghi le donne possono raccontare la loro storia ed essere accompagnate a liberarsi dalla violenza, non solo e non necessariamente avviando azioni legali. Il centro antiviolenza di Bergamo accoglie ogni anno almeno 200 donne. E se è vero che solo nel 10% dei casi chi subisce violenza trova il coraggio di parlare… il conto è presto fatto: per 200 che raccontano la loro tragedia ce ne sono altre centinaia che subiscono in silenzio e, spesso, per anni. Ma i centri antiviolenza hanno a loro volta un enorme problema: mancano le risorse. Chi ci lavora lo fa solo ed esclusivamente a titolo volontario, senza nessuna retribuzione. Gli unici finanziamenti che i centri ricevono sono piccole somme destinate a progetti particolari, che il più delle volte vengono fuori dagli avanzi di bilancio di fine anno delle amministrazioni comunali. In Lombardia (unica regione in Italia insieme alla Basilicata) non esiste una legge sulla violenza contro le donne, questo significa che non esistono stanziamenti finalizzati a combatterla e a proteggere e supportare chi decide di provare a mettersi in salvo. Ironia della “sorte”: proprio la Lombardia, nel 2010, ha fatto registrare il record di uccisioni di donne da parte dei loro compagni o ex. E quando c’è la crisi a giustificare i tagli alle spese sociali, anche quelle piccole somme che i centri antiviolenza riescono a recuperare una tantum si riducono sempre di più. Destinare risorse ai centri antiviolenza sarebbe un ottimo primo passo per cominciare a combattere la violenza sulle donne. Ma indispensabile è anche e soprattutto lavorare sul piano culturale: continuare a rappresentare le donne come mogli, madri o (quando proprio le si vuole emancipate) come oggetti sessuali non fa altro che alimentare la cultura maschilista che produce la violenza.

La violenza contro le donne sì che è un’emergenza, in Italia è un problema che colpisce almeno una donna su tre (sempre dati Istat). E l’emergenza è, prima di tutto, un’emergenza culturale.

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