... c'erano uno scrittore,un editore ... ... e la lotta di classe

25 / 8 / 2010

Ho scritto un libro un po’ di tempo fa, lasciatemi l’illusione di poterlo chiamare “romanzo”, o “noir” come amici fin troppo buoni l’hanno classificato. Comunque sia avevo in testa questa storia, e con fatica l’ho buttata giù, nero su bianco. Pensando a come pubblicarla, ho naturalmente attinto a tutte le persone, e sono tante, che conosco e che hanno a che fare con il mondo dell’editoria. Uno come me, con il nome che mi porto appresso, non avrebbe dovuto avere alcun problema pensavo. Il marketing ha regole precise e un esordiente “famoso”, non importa il motivo, ha certo piu chances di uno sconosciuto. Non ero per nulla sicuro della qualità di ciò che avevo scritto, ma questo me l’avrebbero detto loro, gli editori: se era proprio una schifezza, nome o non nome, il suo destino sarebbe stato il cestino della carta. Ho pensato più e più volte al perché, tutto ad un tratto, mì è venuta questa voglia di scrivere, e non un saggio di politica, ma un noir. Il genere mi ha sempre affascinato, e di certo alcuni grandissimi come Izzo, mi ci hanno fatto sognare dentro, pagina dopo pagina. Devo confessare un peccato grave: i libri per me sono sempre venuti dopo la televisione. Mi sono nutrito di immagini, fiction, film come se fossi nato dentro quella scatola magica e il cordone ombelicale fosse stato un cavetto coassiale. Altro peccato, questa volta più che grave, forse capitale: amo i polizieschi, soprattutto americani, da quelli sfacciatamente “pentagonali” fino ai più recenti prodotti “democratici” hollywoodiani. Ma il noir, quel suo volo radente sulla realtà marcia della società contemporanea, il bene e il male che si fondono, le debolezze di eroi per caso, il coraggio che è paura spinta all’eccesso…che grandi maestri a saperlo scrivere! Insomma con queste passioni mi sono cimentato. E ovviamente con le mie difficoltà. Con i primi cinque capitoli in mano ho agganciato uno della Feltrinelli, un vecchio amico. Non sto a dire chi è che non importa, ma insomma uno con cui siamo cresciuti insieme, dentro i centri sociali. Mi era venuto naturale pensare alla Feltrinelli. Per anni mi avevano chiesto di scrivere, e io che avevo altro da fare, non avevo mai risposto. Mi disse francamente, senza nemmeno leggere una riga dei primi cinque capitoli che mi ero poprtato appresso, che non c’era alcuna possibilità. Fosse stato per lui, che però si occupava di un’altra collana, certamente se ne sarebbe potuto parlare, ma con quelli che dirigevano la narrativa…

Tornai a casa e decisi che il capitolo libro era archiviato. Punto e fine. Un po’ di tempo dopo mi capita di parlarne con Sandrone Dazieri, che avevamo invitato al Rivolta per una presentazione. Con Sandrone siamo sempre rimasti più che amici, e insieme ne abbiamo passate talmente tante che dire che ci conosciamo è dire poco. Lui mi vuole aiutare, anzi mi dice di mettermi via quell’aria da sconfitto, che con i libri va così, che bisogna tentare e ritentare…a patto di non scrivere come un cane ovviamente, e di avere qualcosa da dire. Ricomincio a crederci e gli invio i primi capitoli. Mi fissa un incontro alla Mondadori. E quasi senza rendermene conto mi ritrovo a Segrate, nel cuore della più grande e anche più discussa, per via dell’attuale padrone, casa editrice italiana. Comincio a realizzare dopo aver attraversato la sbarra ed esibito il pass che mi hanno fornito, che sto andando verso un mare di polemiche: ma come Casarini che pubblica con Berlusconi? Arrivo all’androne da cui devo salire al 5° piano, a Strade Blu, e subito mi ferma il portiere. “Ma sei Luca Casarini? Piacere! – e grande stretta di mano . “Senti dobbiamo parlare perché qui ci stanno rompendo i coglioni, siamo in lotta. Quando hai tempo ti spiego…”. Bell’inizio. Salgo. Mi sembra di entrare nella redazione del Washington Post, tutto un alveare di gente che scrive al computer dentro le cellette. In fondo al piano c’è l’ape regina, il direttore. Edoardo Brugnatelli, direttore della Strade Blu, mi aspetta con Sandrone. Mi mette subito a mio agio parlandomi dei suoi acciacchi, bestemmiando su questo e su quello, e poi veniamo al dunque. Nessun problema, certo il tuo è un nome pesante mi dice, qui dentro qualcuno storcerà il naso, ma io voglio provarci. Quello che ho letto mi piace. Ti servono soldi? Possiamo darti un anticipo, ti facciamo un contratto. Stamperemo diecimila copie e poi vediamo. Faccio fatica a crederci, ma penso che di brava gente ce n’è tanta in giro, per fortuna. Parliamo un po’ dei contenuti, e senza che io possa aggiungere altro, mi stoppa: ” tu scrivi quello che vuoi. La censura sulle opinioni non esiste nel mio modo di lavorare. Io giudicherò la qualità, non se puoi o non puoi dire questo o quello. Solo se fai uccidere qualcuno a qualcun altro, o fai violentare una ragazzina da un altro ancora, bisogna fare attenzione ai nomi: le querele costano.”.

Ho scritto potendo non lavorare per mesi, grazie all’anticipo. Ho ampiamente superato i tempi definiti dagli accordi, e due editor mi hanno aiutato in tutto e per tutto.

Ad uscita imminente del libro, mi arriva una telefonata di Fabrizio Roncone del Corriere della Sera: “ Allora Luca ma pubblichi per Berlusconi!?” – “No veramente pubblico per Strade Blu di Mondadori…”. “Va bè, ma è di Berlusconi. Come la mettiamo?”- “Guarda potremmo metterla così: Berlusconi è padrone di tutto, è come dire a uno che lavora alla Fiat che lavora per Agnelli. Diciamo che con i soldi che guadagno mi ci pago i processi, se vuoi una battuta, che ho accumulato perché lotto contro Berlusconi e quelli come lui…ma a me interessa un’altra cosa: non ho cambiato una virgola di ciò che volevo scrivere, né me l’hanno chiesto. Se l’avessero fatto il libro non sarebbe uscito.”. Fine dell’intervista. Il giorno dopo mi ritrovo con una finta intervista, con domande e risposte completamente inventate dal giornalista, in cui io sembro uno colto in flagranza di reato che biascica qualche scusa. “Sei solo un pezzo di merda. Ci incontreremo prima o poi”- questo è il testo dell’Sms che gli ho inviato, e se l’avessi avuto tra le mani sarei andato a finire dritto in galera da quanta violenza gli avrei scaricato addosso. La gogna mediatica era iniziata, ma quello che mi faceva più male non era questo, in fondo previsto, ma che nessuno parlasse del libro. Ci sono abituato, a volte proprio me la cerco, e questo deriva dall’uso (a volte abuso) che faccio da sempre dei media. Significa sempre denigrazione personale, menzogne, dicerie. Dalla Porche che avrei parcheggiata sotto casa (occupata) alla villa in Chiapas da cui saluto Marcos bevendo il caffè. A volte ho pensato che non sarebbe stato niente male se quelle bugie avessero, per magia, preso forma. Sarà perché sono figlio di operai e non ho mai potuto ereditare un cazzo, ma a me fare qualche giro in Porche prima di rivenderla e camparci un anno io e gli amici, sarebbe piaciuto tanto. Forse un giorno ne ruberò una per confermare la leggenda. Tornando al libro, Questo poteva significare due cose: avevo sottovalutato l’effetto della polemica, che anzi credevo potesse giovare alla diffusione di un libro che parlava di Cpt, di migranti, e di precari rapinatori, e dall’altro che era scritto così male da risultare insignificante ai più. Forse sono vere entrambe le cose, ma tant’è.

Il tormentone “scrivi per Berlusconi” l’ha fatta ampiamente da padrone, e sempre senza aprire grandi dibattiti. Solo trash, monnezza. Qualcuno l’ha detto e ripetuto, e io sono pienamente d’accordo, che dividere tutto in “è di Berlusconi oppure no”, è una grandissima cazzata, che ha sempre portato acqua al mulino del nostro nemico, invece che toglierla. In questo modo infatti la Mondadori diventa solo una propaggine, potente ed illuminata, del suo potere, e non qualche cosa di cui lui si è appropriato temporaneamente solo perché ha i soldi. Lui diventa magnanimo ed intelligente, lungimirante e strategicamente colto, invece che in difficoltà ed in imbarazzo perché è un pesce fuor d’acqua in mezzo a libri che sono scritti contro di lui e la sua cricca. Io da parte mia sono convinto del fatto che dobbiamo imparare a fare del male veramente a Berlusconi (politicamente intendo). Non lo sappiamo ancora bene come si fa. Ad esempio sul caso di questi giorni penso che sia assolutamente legittimo che un autore come Don Gallo decida di non scrivere più per Segrate per questo o quel motivo. Penso che sia altrettanto legittimo che uno che è impegnato politicamente contro Berlusca decida invece di continuare a farsi editare, finche può, non nascondendo la sua opinione sui grandi temi della nostra società e che ci contrappongono a Berlusconi. Questo è il vero nodo, e sarebbe grave, se uno per scrivere con Mondadori, tacesse sul razzismo, sulla mafia al potere, sulla precarietà della vita, sulle politiche governative, sulle leggi bavaglio o su quelle ad aziendam. Allora se il modo per parlarne e farne parlare è sbattere la porta a Mondadori, va bene. Se invece sono altri, continuando a scrivere per la più grande casa editrice italiana, va bene lo stesso. Basta continuare nella lotta, come dicono i Wu Ming, e non ritrarsene. Poi ognuno ha i suoi modi per farlo. Io credo ad esempio che la discussione aperta da Mancuso, che non conosco, sia per lo meno fuorviante. Che un’azienda capitalistica, e non libertario-cooperativistica, le studi tutte per evadere il fisco e aumentare i profitti, per vincere sul mercato imbrogliandolo, mi sembra cosa ovvia. Che Berlusconi usi la presidenza del Consiglio per arricchirsi, altrettanto, ed è uno dei motivi che dobbiamo usare per combatterlo. Ma non esiste un capitalismo “etico” o peggio ancora morale. Esiste il capitalismo, sempre più indistinguibile dal malaffare, dalla tragedia, dalla violenza, dalla devastazione ambientale. De Benedetti, in quanto capitalista, è più etico della Marcegaglia? Montezemolo più di Marchionne? Ho i miei dubbi. E poi etico rispetto a che cosa? Se etico è non frodare il fisco, è molto più etico allora non appartenere come azienda a chi decide una guerra. No, così non ne usciamo. Tornando al caso autori/casa editrice, io credo che se un gruppo di grossi autori (quelli come me spostano meno di una virgola, perché vendono poco) decidesse ad esempio di uscire dalla Mondadori per motivi politici e proponesse la creazione di una nuova casa editrice indipendente, sarebbe cosa buona e giusta. Ma quelli che, dalla forza del loro mercato/consenso/seguito possono permettersi di migrare da una parte all’altra senza alcun problema, non sono un fatto più di tanto “politico”. Per carità, io non giudico, perché uno giustamente può avere mille motivi, ma non è come lavorare in una fabbrica di armi scrivere libri. Uno mi dirà che può essere molto di più. Vero, e allora dipende da cosa uno scrive. Su questa libertà si ragiona, su cosa uno può o non può scrivere. Il caso Saviano, a questo proposito, è eclatante. Saviano vende milioni di libri contro Berlusconi. Ma se Mondadori lo buttasse fuori su ordine del Presidente del Consiglio, ne uscirebbe distrutta, e non per il mancato guadagno. Molti seguirebbero Saviano, coloro che ci lavorano dentro lo farebbero in aperto dissenso. La disobbedienza si strutturerebbe in boicottaggio, fino ad arrivare al Cda. In Rai è stato lo stesso con Minzolini messo a capo del Tg1. E con Santoro? Naturalmente i piccoli autori, quelli che non contano nulla e sono “invisibili”, per contare devono mettersi tutti assieme. E se vogliono continuare a scrivere e a campare, autorganizzarsi. Ma non è così facile.

Il racconto di come è andata per me forse serve a dire che le relazioni, la loro qualità, determinano la possibilità di sconfiggere il Gigante. Non la purezza individuale, la morale o un’etica selettiva. I grandi autori sono in realtà una comunità di lettori, nessuno è da solo se vuole significare qualcosa. E un “fuori” a questo mondo non esiste.

Un dentro e contro si.