In tante e tanti siamo stati e continuiamo ad essere
presenti ed attenti sui confini esterni ed interni della Fortezza Europa. I
mesi di monitoraggio lungo la Balkan Route, i ripetuti viaggi ad Idomeni sfociati
nella grande carovana di pasqua e la presenza attiva che stiamo
garantendo con costanza ci riempiono gli occhi di immagini raccapriccianti che
narrano una situazione inaccettabile.
Ma il peggio sta per arrivare. C’è un laboratorio politico e poliziesco in
piena attività in queste settimane. Tra i palazzi di Ankara e Bruxelles si sta
smontando ogni residuo del diritto e di umanità. L’accordo tra i capi di Stato
e di governo dei 28 Paesi UE ed il governo turco siglato il 18 marzo riporta alla mente lo spettro
della selezione della razza e delle deportazioni di massa. L’UE ha assegnato ad
Erdogan il compito di separare i profughi siriani dagli altri, decidendo che
tutti coloro, siriani compresi, che sono sbarcati in Grecia dopo il 20 marzo
debbono essere riportati a forza in Turchia. Dal 4 aprile dalle isole di Lesbo e Chios sono iniziate le
operazioni di deportazione in Turchia che, in un perverso effetto domino, sta
chiudendo le sue frontiere con la Siria alle famiglie in fuga dalla guerra.
Particolarmente grave, inoltre, è la decisione di respingere i curdi che
fuggono dalla repressione spietata del governo turco.
L’Europa sempre meno unita e sempre più Fortezza dichiara,
preventivamente ed arbitrariamente, milioni di persone non meritevoli di
protezione internazionale, li bolla come "migranti economici" e di
fatto impedisce loro di presentare istanza di protezione internazionale. La
Convenzione di Ginevra è ormai carta straccia. Ora la palla rimbalza alla
Grecia, la quale deve obbedire e definire le modalità con cui espellere circa
50mila persone, di cui moltissimi sono minori non accompagnati.
Ogni tutela legale è venuta meno, materialmente i migranti in
questo momento bloccati in Grecia non hanno più alcun profilo giuridico perché
l’avvio dellaprocedura di richiesta di protezione è materialmente bloccato dalle
inefficienze dell’amministrazione statale greca. Sono semplicemente corpi
estranei indesiderati e da rimuovere, oggetti di speculazione per i
trafficanti, e non più soggetti del diritto. I campi di prima accoglienza sono
divenuti "hotspot", niente altro che gli omologhi dei CIE
italiani: in questi nuovi centri di detenzione leproteste delle persone recluse sono quotidiane e le
principali ong hanno deciso di non prestarvi servizio per non essere conniventi
alla violazione dei diritti.
Da questo laboratorio potrebbe uscire un precedente nelle relazioni internazionali tra Stati UE e Paesi terzi applicabile anche in Italia: come la Grecia, le nostre coste sono confine esterno dell’UE, sorvegliate da Frontex; come con la Turchia, l’UE potrebbe pensare di stringere accordi con il "governo" della Libia perché blocchi il flusso di disperati in partenza. Non ci scordiamo affatto che nel 2008 un accordo simile fu siglato tra Berlusconi e Gheddafi. Non dimentichiamo nemmeno che è tuttora in corso il Processo di Khartoum che prevede operazioni di respingimento verso i paesi di origine e il trasferire sui paesi terzi, di transito e di origine il compito di “difendere” le frontiere europee. Il ‘Migrant Compact’ proposto da Renzi non è dissimile: se si esclude la “novità” degli Eurobond già bocciata dal presidente della Commissione Junker, ha come obiettivo dichiarato di fornire aiuti economici ai Paesi che garantiscono il controllo dei flussi. Quegli Stati verrebbero ritenuti, al pari della Turchia, come dei paesi terzi sicuri, e poco importa al presidente del Consiglio se questi garantiscono i diritti umani o se la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha già condannato in passato l’Italia per respingimenti illegittimi.
Abbiamo guardato negli occhi chi ha perso tutto nelle sue terre, abbiamo vissuto in prima persona cosa accade a chi si organizza in modo autonomo ed indipendente per portare nei campi la cooperazione vera, la sola forza che può annullare barriere e distanze tra esseri umani ed anzi rompe la solitudine imposta da grate e filo spinato. Bloccati sopra un ponte da un cordone di polizia, quella stessa polizia - poco importa il colore delle divise - che sbarra ogni valico di frontiera da Idomeni al Brennero. Abbiamo lavorato nel campo di Idomeni per i migranti ed assieme a loro, abbiamo raccolto la loro voce e mescolata alla nostra indignazione abbiamo attraversato Salonicco e il valico del Brennero condannando senza mezze misure tutti i governi dell’Europa Unita che militarizzano i confini e stanno riconoscendo alla Turchia il ruolo di gendarme all’esterno delle mura della Fortezza Europa.
Guardiamo il mondo che si riempie di muri inorriditi e preoccupati, ma non impotenti. Sappiamo agire, sappiamo organizzarci per cooperare nei campi e per prendere parola direttamente e senza mediatori. Sul ponte a Idomeni, a Salonicco davanti al palazzo del governo regionale e poi sotto all’ambasciata di Turchia, e poi ancora al passo del Brennero: laddove sorgono barriere al posto di canali umanitari siamo stati presenti e protagonisti.
Sentiamo la necessità di continuare ad additare chi si rende responsabile di questo attacco al concetto stesso di umanità, non possiamo trattenerci dal gridare il nostro rifiuto di ogni guerra, di ogni deportazione, di ogni barriera creata al solo scopo di contrapporre tra loro esseri umani. Sentiamo la necessità di esprimere il nostro rifiuto delle modalità con cui gli Stati d’Europa vogliono gestire le crisi che generano. Vogliamo continuare ad agire, aprendo percorsi di cooperazione ad Idomeni e non solo, segnalando e risignificando ogni luogo di coloro che hanno generato quelle situazioni inaccettabili.
Per questo facciamo nostro e rilanciamo l’appello a costruire una presenza espressiva ed attiva sotto l’ambasciata turca a Roma il 1° Maggio, con appuntamento alle ore 12 in Piazza Indipendenza. Perchè pensiamo che sia un altro passo da fare in tanti e diversi per costruire un mondo migliore.