"Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente." J.C.I.

12.04.14 Roma - Paura del possibile?

13 / 4 / 2014

PREMESSA

Nell'immagine di copertina un frammento del corteo del 12 aprile 2014 a Roma: i manifestanti vestiti di blu fronteggiano le forze dell'ordine e "assediano" il Ministero del Welfare in via Veneto.

Per gli Egizi il blu era il colore degli dei, per i Cinesi il blu è il colore dell'immortalità. I Romani non amavano particolarmente il blu perché lo associavano al colore degli occhi dei Barbari, pronti dal Nord ad insidiare il potere capitolino.

Il blu è un colore primario, ma se ne ricavano tante sfumature.

Il blu è il colore del cielo perché le molecole di gas che compongono l'atmosfera rifraggono solo la luce blu, che ha la lunghezza d'onda minore. Anche l'acqua delle grandi distese è blu perché le bande energetiche vengono assorbite in modo differente dall'acqua, facendo scomparire in ordine le radiazioni più deboli, lasciando il blu alla fine. Le grandi distese d'acqua sono di colore blu poiché la luce blu è sia quella con maggior penetrazione, sia quella dominante nelle grandi distese d'acqua.

Unire l'orizzonte del cielo e del mare in un'unica sfumatura di blu, visibile, inafferrabile, verso luoghi e spazi infiniti. Si può?

12.04.14 Roma: per le strade un assedio reale e attivo al governo Renzi, praticato da tutti i corpi che hanno composto la piazza di Porta Pia. Né buoni né cattivi ma un movimento variegato fatto dai tanti attivisti provenienti da differenti territori e da diverse realtà, che hanno costruito insieme la giornata del 12 aprile e che l'hanno vissuta e pensata all'interno di un percorso più ampio. Non c'erano "i pochi" da isolare contro le ragioni dei molti: tutti determinati e tutti complici per conquistarsi una vita dignitosa e per manifestare il proprio dissenso forte a chi vorrebbe continuare a massacrarci seguendo la logica del sacrificio a tutti i costi; a chi vorrebbe farci stare in equilibrio sempre più precario; a chi vorrebbe farci accettare in silenzio decreti e leggi vergognose che rendono ancora più strutturale e diffusa la precarietà che contraddistingue intere generazioni; a chi pensa che basta essere seduti in quei palazzi per decidere la vita di milioni di persone; a chi non muove un dito per garantire una casa per tutti in una situazione abitativa sempre più grave ed esplosiva, dove intere famiglie, precari, disoccupati, studenti in una composizione meticcia non possono permettersi di pagare un affitto esorbitante o di fare un mutuo per comprare casa (perché le banche non ti danno niente senza un lavoro fisso -ma poi chi ha più un lavoro fisso?-); a chi non pensa che ci sono tantissimi studenti che per permettersi di studiare accettano mille lavoretti precari, in nero o sottopagati; a chi sa fin troppo bene che ci sono tanti universitari che corrono per arrivare al traguardo della laurea (la lentezza e la calma di apprendere e di conoscere diventa un miraggio per le tasse universitarie sempre più costose) ma consapevoli che in realtà non si raggiunge nessuna meta, nessun lavoro ad aspettarti, nessun percorso formativo ripagato; a chi da una parte risponde ai soliti diktat della Troika (i vincoli di bilancio, il pagamento dei debiti sovrani, il blocco degli investimenti e della spesa pubblica), i quali effetti sono sotto gli occhi di tutti (compresi gli attori che li hanno esercitati in prima persona e che ora decidono di cambiare rotta per rilanciare l’economia), e dall'altra parte appunto sperimenta una nuova tendenza del capitale finanziario e della stessa Troika che mira a valorizzare la liquidità che comincia a circolare in Europa in nome della competitività, approfittando della forza-lavoro che diventerà sempre più ricattabile (a causa della mancanza di tutele di welfare e delle misure approvate in anni di recessione) e che vedrà moltiplicarsi impieghi all'insegna del sacrificio e dello sfruttamento.

Tutto questo muove migliaia di persone in una composizione intergenerazionale, meticcia e determinata a buttarsi dentro la realtà difficile, sporca, contraddittoria, ma in potenza ricca di cambiamenti. 

Non siamo più disposti ad aspettare che le cose prendano un'altra strada (queste strade) e proviamo a costruirne di nuove partendo da noi.

Il 12 aprile non c'è stata nessuna guerra a Roma o ai romani ma un duro attacco a quei palazzi da cui ordinano condanne -che chiamano decreti- sulle nostre teste, contro questo governo Renzi approssimativo e mosso dai soliti interessi di aziende, partiti, banche, finanza. Il ministero del welfare, quello da cui partono misure che non fanno altro che peggiorare le nostre vite precarie, è stato assediato. Lo ha fatto un intero corteo di oltre venti mila persone. Punto. E non è scontato in un paese in cui non è affatto semplice scendere in piazza, in cui non si riesce a muovere un passo in una città blindata come quella di ieri, in cui le cosiddette forze dell'ordine riescono sempre e solo a scatenare il panico e a tenere atteggiamenti provocatori, in cui è pronta per la stampa main-stream e gli organi di partito la criminalizzazione dei movimenti verso l'ennesima chiusura degli spazi di agibilità politica, in cui è sempre più difficile riuscire a creare conflitto, quando ti vuoi porre in apertura verso altri, rifiutando l'idea di rimanere minoritario ma provando a costruire consenso attorno a pratiche illegali. 

E dall'altra parte c'è chi continua a fare i calcoli senza di noi, chi decide di mettere al primo posto le banche da salvare piuttosto che i bisogni materiali di un paese sempre più povero, chi vuole rilanciare la crescita economica puntando su pochi “cavalli vincenti”, chi sceglie di creare sempre più disuguaglianza sociale dopo anni di politiche di austerity, chi approfitta della liquidità in circolo per valorizzare il capitale e proporre una crescita che si fonda su ricattabilità e sfruttamento.

Dobbiamo davvero pensare di farci da parte e rimanere tranquilli e buoni mentre tutto va verso una direzione sbagliata? Non vogliamo aspettare nessuna illuminazione che possa indicarci una via d'uscita. Mettiamo da parte l'ipocrisia che in molti stanno sfoderando nelle ultime ore. Pensiamo ai problemi reali e facciamoci una semplice domanda: qualcuno sta provando a risolverli? Mettere delle toppe (e farlo sostenendo sempre e solo i soliti poteri forti) non è più sufficiente. Serve un cambio di rotta, e non perché ce lo chiede qualcuno, ma perché ne abbiamo bisogno. Qui bisogna combattere contro la cancellazione di diritti, per strappare pezzi di libertà. Ogni giorno, ogni maledetto giorno. 

Non è affatto semplice rompere la linearità, farlo a partire da noi stessi, da quello che siamo, dalle comunità politiche e sociali che animano territori e pezzi di società, che mettono in gioco i propri corpi per cambiare l'esistente, che utilizzano le proprie intelligenze collettive per trovare nuovi attrezzi per scardinare il presente, che sperimentano nuove forme per sovvertire ciò che non va, che mettono in comune i propri desideri e le proprie passioni per riprendersi il diritto di scegliere sulle proprie vite.

Praticare riappropriazione, occupare, è la risposta più concreta ed inevitabile per conquistarsi pezzi di ricchezza che socialmente produciamo. Immaginare e costruire un nuovo welfare con al centro un reddito di base incondizionato ed universale, coniugandolo a un salario minimo per chi un lavoro ce l'ha, può rispondere ad esigenze reali altrimenti irrisolte e dare materialità a una proposta alternativa alla gestione dei flussi di denaro. Lottare per conquistare diritti e farli diventare inclusivi ed estensivi, per scongiurare le idee anti-europeiste che si stanno diffondendo a macchia d’olio e che creano pericolose derive populiste, significa anche eliminare ogni confine; partire dal proprio territorio ma rompere i meccanismi restrittivi degli stati nazionali e della tecnocrazia europea, provando a tracciare le linee di uno spazio transnazionale dei movimenti e del conflitto sociale, è l'unica possibilità. 

Perché bisogna rompere qualcosa, perché bisogna fare male al potere, perché bisogna sporcarsi le mani, perché non è più tempo di pontificatori, di osservatori interni ed esterni, di velleitari ed ideologi da strapazzo. Perché è tempo di schierarsi e decidere da che parte stare. Perché non funziona più il gioco dei pochi violenti e dei tanti pacifici e sovra-determinati, quando si è tutti consapevoli e determinati. Perché bisogna riaprire spazi di agibilità politica ed essere ancora più coinvolgenti. Verso nuovi percorsi di lotta che preannunciano stagioni migliori.