#18D Ovvero due piazze distinte. Il tempo della scelta

14 / 12 / 2013


Quindi quando parliamo della classe operaia del periodo finale di Weimar, parliamo di una classe operaia già estremamente atomizzata, che viveva in un ambiente di fabbrica frammentato, polverizzato, quasi si fosse realizzato un decentramento produttivo ante litteram.

Se la Repubblica di Weimar è stata un laboratorio eccezionale del moderno, lo è stata anche per questa forma della produzione

(Nazimo e classe operaia, Sergio Bologna)

Cosa ci dice la giornata di oggi? Molto, a ben leggerla. Studenti caricati e fermati gratuitamente a Torino da poliziotti con il casco ben allacciato solo per aver denunciato le collateralità alla crisi della Giunta Cota e la sua corruzione chiara ed evidente a tutti; centinaia di antifascisti gasati a Venezia per aver impedito una squallida e provocatoria adunata di neonazisti.

Nei giorni prima, cariche e fermi contro gli studenti e le studentesse dalla Sapienza e tante altre piccole e grandi iniziative sociali nei territori, spesso snobbate dai media mainstream che invece sono dedicati a proiettare sullo schermo della costruzione della pubblica opinione il cosiddetto movimento dei forconi, sostanzialmente minoritario ovunque, se si esclude una breve finestra temporale nel capoluogo piemontese.

Abbiamo già evidenziato i tratti di ambiguità di questo movimento, la sua complessità e soprattutto le diversità che esso dimostra nelle città. Emerge sempre più evidente e chiara la direzione di destra verso la quale si sviluppa.

Dentro la crisi maturano comportamenti sociali ed opzioni politiche di tipo radicalmente differente e la storia dell'Europa del XX secolo è stata scritta dal sangue e dalla merda delle uscite a destra, sulle vie nazionali, razziste, guerrafondaie.

La crisi del paradigma fordista è stata seguita dallo smottamento del post-fordismo senza soluzione di continuità ed essa è alla base di comportamenti politici nuovi di parti dei segmenti di classe interni al lavoro autonomo ed alla micro-impresa; tratti evidenti delle opzioni politiche (scelte!) che vediamo in essere sono nettamente di destra. E come tali vanno combattute senza quartiere alcuno.

Mercoledì prossimo è il #18D, un'opzione la vedremo in campo a Roma: una marcia dei nuovi vandeisti al tempo del tea party, papisti a la De Maistre, nazionalisti (colpisce il segno ricorrente del claim per la “moneta del popolo”) e antieuropeisti (il ritorno del tricolore), individualisti proprietari in crisi per l'egemonia della rendita e per la nuova divisione internazionale del lavoro.

È un fritto misto della fase che viviamo, portata unica per certi versi prevedibile di una maledetta congiuntura economica e politica che da sette anni sta ristrutturando la forma lavoro, la distribuzione della ricchezza sociale e le relazioni geopolitiche anche all'interno dell'UE. Come si usa dire, è anche un qualcosa che ci saremmo dovuti aspettare, conoscendo la storia politica delle crisi ed osservando il presente, ad esempio d'Oltralpe.

La decisione del Comitato per l'Ordine Pubblico di Roma di proibire la manifestazione dei movimenti sociali antirazzisti organizzata nell'ambito della “Giornata di mobilitazione globale contro il razzismo e per i diritti dei migranti, rifugiati e sfollati”con la scusa della contemporanea marcetta su Roma è di una gravità inaudita e si pone immediatamente la necessità di organizzarvi la più netta disobbedienza.

#18D sarà soprattutto altro e contro questa marcetta.

Sarà l'occasione per tutt@ noi di fare vivere la nostra uscita della crisi, per costruire dispositivi di lotta radicale e costituente contro l'austerity, sui binari irrinunciabili della cittadinanza sociale per tutti e tutte, aperta, solidale, antinazionale, europea. Ad esempio chiudendo i CIE e praticando “casa e reddito” per tutti (per tutti!).

Noi siamo un'altra cosa. Noi scegliamo la piazza insorgente che va da un'altra parte. E che l'altra piazza ci stia lontana, perchè come abbiamo scelto di fare oggi a Venezia, dove siamo noi, loro non ci devono stare.