Il movimento della conoscenza è in crescita ed è
giunto ad un giro di boa. Negli oltre settanta interventi tenuti ieri
nel workshop della sala hangar del Rivolta è emersa la consapevolezza
che l'opposizione sociale non può semplicemente schierarsi contro un
governo.
«Non siamo il popolo viola - ha detto qualcuno - che è stato il
momento più basso del populismo italiano». «Bisogna rompere un patto
sociale - ha affermato Francesco Raparelli di Uniriot - costruito sulla
dismisura tra le competenze acquisite nella formazione e il blocco della
mobilità sociale. È finita l'utopia del capitalismo cognitivo, da due
anni i movimenti si ribellano alla precarietà, al declassamento e alla
povertà generata dalla crisi».
Il suddetto patto sociale è andato in
pezzi e i suoi frammenti sono stati malamente ricomposti in una nuova
retorica, quella che ha accompagnato la politica dei tagli del ministro
dell'Economia Tremonti. Cultura e formazione sono irrilevanti dal
momento che la prospettiva è quella di trasformare l'Italia nel primo
paese tra quelli in via di sviluppo e non il settimo tra le potenze
industriali. Sul fronte degli atenei è stata formulata la proposta dei
referendum studenteschi attraverso i quali approvare gli statuti
definiti dalla commissioni la cui composizione verrà ultimata entro
gennaio (Roberto Iovino di Link-Uds).
«Potrebbe essere questo il primo
momento costituente per portare la democrazia negli organi accademici»,
ha aggiunto Elena Monticelli studentessa di Link. Quella della
democrazia è un'esigenza diffusa anche tra i ricercatori.
«Nell'università italiana non è ancora arrivata la rivoluzione francese -
ha detto Francesca Coin della rete 29 aprile - e viene imposta una
riforma che aumenta le gerarchie. É necessario tirare fuori la
conoscenza dall'università. Facciamo come a Londra. Visto che le banche
vogliono entrare nelle università, allora iniziamo a tenere lezioni
nelle banche». Ma l'università, e la lotta contro la riforma Gelmini e i
suoi 47 decreti attuativi, non è l'unico scenario sul quale il
movimento del lavoro cognitivo intende agire.
Sullo sfondo di questi
discorsi è tornata la richiesta di riformare il welfare partendo dai
diritti fondamentali dell'individuo, senza per questo abbandonare quelli
dei lavoratori fissi. La crisi ha legato in un destino comune garantiti
e non garantiti e l'adesione del movimento della conoscenza alla
sciopero del 28 della Fiom lo conferma. «Bisogna però puntare più in
alto - ha sostenuto Ilenia Caleo - di Zeropuntotre, il movimento romano
dei lavoratori dello spettacolo che ha occupato il cinema Metropolitan -
costruiamo un movimento autonomo dei lavoratori della conoscenza,
condividendo pratiche e lotte a partire dalla battaglia contro i tagli
alla cultura e alla formazione».
A dire la verità questo obiettivo
si è ripresentato all'orizzonte dei movimenti sociali negli ultimi dieci
anni, ma con pochi risultati. Nel primo anno del decennio
dell'austerità europea, questo progetto conosce tuttavia nuove
possibilità di realizzazione. «È avvenuto uno scarto - dice Francesco
Sinopoli della Flc-Cgil - lavoriamo insieme per costruire una coalizione
sociale tra soggetti diversi che metta al centro la conoscenza come
motore della cittadinanza». Si è discusso a lungo sugli strumenti di
lotta a disposizione di questa «coalizione».
Da sempre si sa che per chi
lavora ad intermittenza da professionista, precario o al nero è
difficile immaginare uno sciopero sul modello del lavoro fisso.
«Blocchiamo allora le dirette televisive, i telegiornali regionali, la
mobilità metropolitana, insomma tutto ciò che si muove nell'economia dei
flussi» ha proposto la ricercatrice precaria Eleonora Forenza. Un altro
modo per coniugare radicalità e consenso, una delle caratteristiche più
innovative di questo movimento.
Contro i tagli «facciamo come a Londra»
23 / 1 / 2011
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