Tasse, come si può ridurle

Francesco Giavazzi invita il Cdm - con un editoriale sul Corriere della Sera - a rigare dritto e ad approvare il Disegno di Legge sull'Università proposto dalla Gelmini

26 / 10 / 2009

Silvio Berlusconi entrò in politi­ca promettendo (febbraio 1994) più libertà per l'impresa priva­ta, uno Stato più efficiente e me­no tasse per tutti. Nel primo anno e mezzo di questa legislatura il suo go­verno ha seguito una strategia oppo­sta. Il ministro dell’Economia esclude­va che ci fosse alcuno spazio per ridur­re le tasse, il ministro del Welfare ripe­teva che il nostro modello si è dimo­strato il migliore al mondo e andrebbe esportato, altro che mi­gliorato! Quindi niente riforme. Quanto alla li­bertà d'impresa, chiede­re che vengano rimossi i vincoli che escludono i privati da ampie aree dell'attività economica ( in primis i servizi pub­blici locali) era quasi pronunciare un'eresia.

L'obiezione che tas­se elevate, un welfare che esclude molti e non protegge chi ne ha davvero bisogno, ampie riser­ve pubbliche, sono alcuni dei motivi per cui da 15 anni l'Italia cresce meno della media Europea, era respinta con disprezzo ed arroganza. Erava­mo incamminati sulla via di una ri­presa lentissima. Se altri Paesi impie­gheranno sette-otto anni per recupe­rare i livelli di occupazione preceden­ti la crisi, noi, crescendo di meno, ne avremmo impiegati quindici.

Se questa era la linea prevalente nel governo, non era la sola. Alcuni ministri, in primis Mariastella Gelmi­ni e Renato Brunetta, sono apparsi perplessi, se non apertamente contra­ri, e quando le decisioni hanno riguar­dato le aree di loro competenza non hanno avuto dubbi nello scegliere le riforme. Ma era una minoranza mal sopportata, soprattutto perché (guar­da, guarda) questi mini­stri sembravano anche relativamente popolari. Altre tensioni si sono avute sulla Banca del Mezzogiorno, apparsa ad alcuni — ad esem­pio al ministro Fitto — fumo negli occhi per non affrontare i proble­mi, ad altri un ritorno a politiche che il Sud lo hanno affossato, altro che fatto crescere!

L'esempio più recen­te si è verificato due giorni fa quando Mariastella Gelmini ha chiesto che ve­nisse messo all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi la sua ri­forma dell'università, e Giulio Tre­monti si è opposto. Se l'Italia è il nuo­vo paese di Bengodi in cui tutto fun­ziona a meraviglia, che bisogno c'è di riforme? Perché cambiare i vecchi con­corsi universitari?

Da qualche giorno l'equilibrio pare esser­si spostato. Quella riforma al Consiglio dei ministri di oggi verrà presentata e proba­bilmente approvata. Non sarà perfetta, ma è un passo avanti importante. Soprattutto dice chiaramente «no» alla richiesta dei sindacati (e del Pd) che ventimila ricercato­ri vengano promossi professori ope legis.

Un buon modo per chiudere una settima­na che il ministro dell'Economia aveva aperta tessendo gli elogi della stabilizzazio­ne sul posto di lavoro.

Anche sulla riduzione delle tasse è cam­biata l'aria. Ha riacquistato credito l’opinio­ne che dal debito pubblico non si esce con più tasse, ma con più crescita e che per ac­celerarla le tasse occorre ridurle. Berlusco­ni stesso, con una chiarezza che gli va rico­nosciuta, ha detto che si può cominciare riducendo l'Irap, un'imposta odiosa che colpisce indifferentemente le imprese che guadagnano e quelle che perdono. Di qui al ritorno al progetto originario di tre sole aliquote il passo potrebbe essere breve.