Il movimento studentesco è vivo, radicale e
determinato. Riprendersi il futuro, vivendo qui ed ora, provando con
efficacia a cambiare il presente, questa è la nostra battaglia. Nella
pratica concreta ciò si è tradotto in una inedita capacità di porre
all'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche il tema
dell'università pubblica e del futuro di una generazione. Siamo partiti
dall'opposizione al ddl Gelmini ma siamo riusciti ad andare molto oltre,
a far emergere la rabbia, il dissenso e il protagonismo di una
generazione che ha finalmente preso parola, irrompendo sulla scena
politica per stravolgerla.
Abbiamo messo in campo l'opposizione al
ddl con intelligenza strategica e politica, con la capacità di non
impiccarci all'iter parlamentare e al suo esito scontato, aprendo
egualmente uno spazio di vittoria, inserendoci nei tempi della crisi di
governo e del paese.
Abbiamo scelto il nostro interlocutore, non più
una politica sorda, autoreferenziale e delegittimata ma ci siamo
rivolti ai lavoratori e alle lavoratrici che pagano il prezzo della
crisi, ai migranti, ai comitati in lotta per difendere il proprio
territorio dai veleni di un'aggressione ambientale senza precedenti. Ci
siamo spinti ben oltre i temi e i tempi della mobilitazione, abbiamo
aperto possibilità e scenari nuovi che ci mettono nelle condizioni di
osare, di essere protagonisti del nostro tempo. La prima vittoria è
stata quella di essere stati in grado di invertire, seppur in modo
parziale, le tendenze culturali e politiche.
Spetta a tutti noi,
affrontare al meglio la fase che si apre ora. Occorre affrontarla senza
torsioni identitarie, con una visione strategica complessiva che sia in
grado di diventare un orizzonte condiviso, ponendo la costruzione
dell'alternativa come faro di una pratica politica che a questo punto
deve divenire quotidiana e duratura. Sappiamo quanto sia difficile, a
maggior ragione a meno di un mese dall'esito parlamentare, ma questo è
un ragionamento che va totalmente ribaltato. La partita è tutt'altro che
perduta. La legge sull'università non è neanche al giro di boa,
arriveranno a breve i decreti attuativi e la definizione degli statuti
nei singoli atenei ci autorizza a pensare che possiamo ancora fermarla.
Ma fermare la Gelmini non significa salvare l'università pubblica dal
baratro. Serve un processo collettivo, di cui il nostro movimento è
miccia indiscutibile, capace di indagarne la funzione sociale tramite
una proposta credibile su cui intraprendere una battaglia tutta
politica, senza fare sconti a nessuno.
Non possiamo, perciò,
disperdere la ricchezza che abbiamo prodotto, ma renderla sistemica,
evitando ricadute burocratiche o di mera rappresentazione del conflitto.
Sarà, ad esempio, fondamentale mantenere la duplice connessione tra le
battaglie universitarie vertenziali e per la ripubblicizzazione e la
grande questione generazionale e sociale della precarietà. Il seminario
di Marghera sui saperi rappresenta una tappa di un percorso di
elaborazione e analisi che vivrà nei luoghi della formazione. Ma sul
tavolo abbiamo già un appuntamento tutt'altro che secondario, il 28
gennaio saremo al fianco della Fiom, per rinsaldare quel legame che va
oltre la scontata solidarietà, ma vive della necessità di continuare a
praticare un terreno comune di mobilitazione che punti a invertire i
rapporti di forza nel paese, abolire la precarietà, trovare un senso
nuovo al rapporto tra la formazione e il lavoro, che ci vede tutti uniti
contro la crisi per costruire l'alternativa reale di cui tutti noi
abbiamo bisogno. *Portavoce nazionale Link
Un processo collettivo per cambiare
23 / 1 / 2011
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