Università. I rischi della riforma Gelmini

Un primo commento del Disegno di Legge sull'Università, scritto da Salvatore Settis e pubblicato ieri su La Repubblica

26 / 10 / 2009

La legge sull´università in discussione al Consiglio dei ministri è una mappa di buone (talora ottime) intenzioni, disseminata però di siluri che potrebbero affondarla prima dell´approdo, o defunzionalizzare ulteriormente (sembra impossibile) un sistema già in pesantissima crisi. Positiva è la scelta di non ricorrere al decreto legge, bensì a un disegno di legge, sia pure con delega al governo su alcuni aspetti. Positiva (ma molto impegnativa) è la dichiarazione iniziale, che definendo la «combinazione organica di ricerca e didattica» come il fine delle università, esclude il divorzio di teaching universities da research universities . Positiva è l´insistenza su promozione del merito, centralità della valutazione e relativi incentivi, accreditamento dei singoli Atenei. Positiva è la scelta di reclutare i docenti in due tempi, prima con abilitazione nazionale poi con chiamate locali. Positiva è l´introduzione di una sorta di tenure track, che consente alle università, accanto ad altre modalità di reclutamento, di assumere ricercatori a tempo determinato per due triennii, per poi promuoverli ad associati se conseguono l´abilitazione entro il secondo triennio.

Da molto tempo non si vedeva un disegno di legge di questa portata, che include governance, controllo dei bilanci, stato giuridico dei docenti, e altro ancora. Ma proprio questa organicità e ampiezza può rivelarsi una debolezza. Rendere più lungo e tortuoso l´iter parlamentare, ricco di prevedibili imboscate su alcuni punti-chiave, come il reclutamento. Per esempio, l´armata Brancaleone dell´ope legis , in agguato in ogni schieramento politico, potrebbe tentare di cambiare il tenure track dell´art. 12 in una sbracata promozione sul campo per anzianità e non per merito. La delega al governo sull´efficienza delle università (art. 5), come pure la modifica degli statuti d´Ateneo (art. 2) richiedono successivi passaggi normativi, aprendo una lunga fase di transizione non semplice da gestire; per giunta, la riscrittura degli Statuti è affidata a un comitato senza specifiche competenze professionali. Prima che il nuovo sistema di reclutamento vada a regime sono necessari almeno due anni: che cosa accadrà di qui ad allora? Il turn over di ordinari e associati è fermo da quattro anni (caso unico in Europa e forse al mondo), e se diventeranno sei o sette sappiamo quel che accadrà: i migliori continueranno a cercar lavoro all´estero, e il blocco delle assunzioni produrrà, come già in passato, l´ennesimo devastante ope legis, che a sua volta bloccherà per anni le carriere. Solo un immediato avvio dei concorsi già aperti, «in anticamera» da quasi due anni, dimostrerebbe che le nuove norme di reclutamento non sono un trucco per temporeggiare ancora.
Perché le ambizioni del ministro Gelmini possano tradursi in realtà occorre affrontare con decisione e lungimiranza il nodo degli investimenti. Troppe volte ricorre, nelle decine di articoli e commi, l´ingiunzione di operare «senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica». La solita favola, insomma, del costo zero: ma a costo zero si fa meno di zero, e il sistema continua a perdere pezzi. Due soli esempi. L´art. 5 parla di un «fondo di rotazione a garanzia del riequilibrio finanziario degli atenei»: riequilibrio rispetto a che cosa? Se, come in passato, si riutilizzano sempre gli stessi soldi (meglio: sempre meno) togliendoli a un Ateneo per darli a un altro, il riequilibrio è autoreferenziale, corregge piccole storture ma non promuove il sistema. Se, poniamo, volessimo «riequilibrare» i finanziamenti rispetto al politecnico di Losanna o a Harvard, dovremmo innalzare vertiginosamente il contributo pubblico alle università più virtuose. Analogamente, quale sarà mai il «costo standard unitario di formazione per studente in corso» (art. 5.3 e)? Standard rispetto a che cosa? Paragonabile con quelli delle migliori università del mondo, o no? Queste formule mostrano la corda, alludono a dati «obiettivi» che non lo sono affatto: il costo-standard delle migliori università è in tutto il mondo molto più alto che nelle peggiori; insomma, è commisurato al risultato che si vuole ottenere. Per competere a livello internazionale bisogna innalzare il costo-standard pro capite, dunque incrementare gli investimenti in modo significativo, e non stabilire standard convenzionalmente bassi onde giustificare ulteriori tagli.

Assai bizzarro è l´art. 4, fra tutti il più debole. Esso istituisce un Fondo per il merito degli studenti migliori, ma lo colloca presso il Ministero dell´Economia e non quello dell´Università, e affida la gestione delle «prove nazionali standard» alla Consap S.p.A. Si tratta di una società nata nel 1993 dall´INA con l´obiettivo di svolgere funzioni assicurative pubbliche, gestendo fondi di previdenza e di garanzia (per esempio per le vittime della strada e della caccia), che nulla hanno a che vedere con prove di merito per studenti universitari, a meno che non li consideriamo anch´essi vittime di un crudele destino. Vediamo qui all´opera un duplice esproprio, o commissariamento: le prove non sono affidate alle università, ma a una S.p.A. senza competenze specifiche; il Fondo non è gestito dal Ministero appropriato, ma dall´Economia. Ma per risolvere la loro terribile crisi gli Atenei hanno bisogno, è vero, di valutazione e di controlli di qualità; ma hanno anche sete di indipendenza e di fiducia, non di sentirsi commissariati e pedinati.
Quel che il governo deve decidere è se vogliamo competere con gli altri Paesi (quanto meno d´Europa) o no. Per citare un dato recentissimo, la distribuzione dei fondi di ricerca europei, fatta sulla sola base del merito, si è rivelata proporzionale agli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo dei singoli Paesi: perciò l´Italia (1.10 % di investimenti) è stata sorpassata in cifra assoluta anche da Paesi assai più piccoli come la Svizzera (2.93%) e l´Olanda (1.82%). Investiamo un quinto che in Israele, un quarto che in Svezia e Finlandia, un terzo che in Islanda; siamo stati recentemente sorpassati anche da Spagna, Slovenia, Irlanda, repubblica Ceca. Quale è il riequilibrio che andiamo cercando? Quali sono gli standard che ci ripromettiamo? Quali le mete? Allo sforzo normativo corrisponderà una lucida visione del futuro?

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