Dopo la tragedia nella centrale Enel

A Civitavecchia si muore di Tvn

di Ylenia Sina

5 / 4 / 2010

«Chi ha ucciso il giovane operaio nella centrale a carbone di Enel a Civitavecchia?». Dietro questa domanda, con la quale i No Coke di Tarquinia iniziano la lettera per esprimere il proprio dolore per la morte di Sergio, si nasconde una rabbia lunga dieci anni. «Guardiamo solo l’ultimo secondo prima della tragedia o guardiamo anche ciò che ha creato questa circostanza?».

Sergio Capitani, 34 anni, è morto perché un getto di acqua e ammoniaca lo ha scaraventato a terra dove ha battuto la testa. Una morte annunciata. Feriti invece i tre colleghi che lavoravano con lui. Non è la prima volta, infatti, che un operaio muore o si ferisce gravemente nella centrale Enel di Torrevaldaliga Nord, a Civitavecchia. Ancor prima di iniziare a funzionare, mentre a ritmo sostenuto continuava la riconversione a carbone contro la quale si era schierata tutta la popolazione dell’Alto Lazio, la centrale fece la sua prima vittima: Michele Cozzolino, 31 anni, muore colpito alla testa dalla canna di un ponteggio precipitata da 70 metri di altezza.
Qualche mese dopo Ivan Ciffary, 24 anni, cade da un cestello della gru mentre era impegnato in operazioni di rimozione in quota. Sabato scorso, Sergio. Nel tempo che intercorre tra queste tre tragedie sono molti gli operai feriti gravemente per incidenti, più o meno gravi, avvenuti durante i lavori di riconversione o in seguito all’accensione dei forni. «Ora, come sempre accade in questi casi, finiranno per insinuare che la responsabilità è di chi è morto» commentano i No Coke, già pronti «a commenti miserevoli sul mancato rispetto delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori». E a testimonianza di quanta sicurezza sul lavoro è assicurata agli operai della centrale di Torrevaldaliga Nord, sono ancora reperibili sul web le fotografie e i video diffusi anonimamente dagli operai dell’Enel che mostrano i cumuli abbandonati e i sacchi contenenti materiali non identificati lasciati all’aria aperta. Una vera e propria discarica non autorizzata interna al cantiere che ha portato la Procura della Repubblica, nel novembre del 2009, a porre i sigilli a parte della centrale. Materiali che rilasciano polveri nell’aria.   Polveri che ammazzano. Silenziosamente, ma ammazzano. Come i fumi prodotti dai due camini della centrale. Tumori polmonari, pleurici e alla trachea, malattie linfatiche ed emopoietiche, insufficienza renale cronica, crescita esponenziale di asma bronchiale ed allergie. I dati epidemiologici parlano di una popolazione che muore lentamente, lontano dai riflettori dei media e nell’indifferenza più totale delle istituzioni. Per i cittadini di Tarquinia «è inaccettabile il cordoglio del sindaco di Tarquinia. Da una parte prende i soldi del carbone, quelli degli accordi economici con Enel, e dall’altra vorrebbe esprimere cordoglio e, come in una beffa tragica, si vorrebbe costituire parte civile per la morte di Sergio Capitani». Ma la storia della riconversione a carbone della centrale di Torrevaldaliga Nord ha insegnato alla cittadinanza No Coke di speranze negate e promesse tradite, di politici capaci di cambiare idea in pochi giorni e di valanghe di soldi in grado di comprare tutto. Compresa la salute di un intero territorio. Sono molti i casi in cui le istituzioni hanno voltato le spalle a una popolazione che si era schierata praticamente al completo per il no al carbone. Basta pensare a quanto accadde l’11 gennaio 2002 quando sette consiglieri comunali di Civitavecchia presentarono richiesta di referendum popolare. Lo stesso giorno, tre di loro ritirarono la firma così da far decadere il numero minimo di persone per convalidare la richiesta. Tra questi tre anche un medico-consigliere che, pochi mesi prima, aveva sostenuto con forza la voce del popolo No Coke scrivendo dieci comandamenti contro la riconversione al carbone. Ma andiamo avanti. Nel frattempo la popolazione dell’Alto Lazio si organizza. Manifestazioni, sit-in, riunioni e assemblee per informare tutti dei rischi che può comportare avere una centrale a carbone in un territorio già segnato da anni di progetti nocivi. L’opposizione è alle stelle. Il Consiglio Comunale di Civitavecchia, il 30 gennaio 2003, esprime la propria contrarietà al progetto. In quei giorni l’allora sindaco, Alessio De Sio, intervistato da Il Messaggero dichiara: «se la centrale di Torre Valdaliga Nord sarà riconvertita a carbone, sono pronto ad incatenarmi ai suoi cancelli». Epilogo. Due mesi dopo, il 25 marzo 2003, il Consiglio Comunale di Civitavecchia ritira la delibera precedente che respingeva la proposta di Enel e vota “si” alla riconversione. Le carte si svelarono il 30 aprile 2003 quando il sindaco di Civitavecchia e l’amministratore delegato dell’Enel sottoscrivono, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, un accordo che prevede una compensazione a favore del Comune di Civitavecchia di ben 27 milioni e mezzo di euro. Soldi che finiscono direttamente nelle casse dell’amministrazione comunale senza che i cittadini vedano nemmeno un euro. «Soldi illegali» è il commento dei No Coke «dal momento che sono stati abrogati con il referendum del 1987 sul nucleare alla domanda due: “abrogazione dei contributi di compensazione agli enti locali per la presenza sul proprio territorio di centrali nucleari o a carbone”». Una storia che si ripete negli anni per tutte le amministrazioni dell’Alto Lazio che in sede di consiglio comunale espressero parere contrario nei confronti della centrale sostenendo la lotta dei No Coke. Un esempio tra tutti per comprendere la politica di Enel è rappresentato dall’incontro tra i sindaci dell’Alto Lazio e la multinazionale dell’energia avvenuto il 3 dicembre 2007 presso la sede della Regione Lazio. Poco importa se l’ex governatore Piero Marrazzo a pagina 72 del programma elettorale che gli fece vincere le elezioni nel 2005 riportava “impedire la riconversione a carbone della centrale di Civitavecchia”. E a nulla è servita la mobilitazione popolare che in quei giorni chiese a gran voce ai propri sindaci di non sedersi a quel tavolo. Ma il piatto è troppo ricco per non approfittarne e uno dopo l’altro i comuni accettano le offerte di Enel. Solo il comune di Civitavecchia prenderà un compenso di 40 milioni di euro da dividere in tre rate e ulteriori 8,8 milioni di euro per ogni anno di esercizio della centrale.

Potremmo andare avanti così all’infinito. Da una parte le istituzioni, di ogni colore politico e di ogni grado, dal locale al nazionale, che a parte in rare eccezioni misero in vendita un intero territorio. Accanto, Enel che prosegue indisturbata, aggira le leggi, non rispetta i vincoli (per dirne una tra le più importanti l’Autorizzazione Integrata Ambientale scaduta dal dicembre del 2008). Dall’altra la lotta dei cittadini, pronti a tutto per difendere l’ambiente e la dignità del territorio. Manifestazioni, scioperi della fame, ricorsi al Tar, blocchi stradali e denuncie. Il giorno in cui la centrale viene inaugurata, il 30 luglio 2008, i cittadini celebrarono il funerale del territorio. Nelle bare tutte le vite umane delle persone che si sarebbero ammalate a causa della centrale, di Michele e Ivan morti davvero a causa della centrale, dell’agricoltura dell’Alto Lazio, del futuro di un Paese, della “sovranità che appartiene al popolo”. Dall’altra parte della centrale, orgogliosi e fieri «dell’impianto più all’avanguardia d’Europa» per usare le parole del ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, tutte le autorità politiche della nazione e la benedizione del vescovo di Civitavecchia, mons. Carlo Chenis. Da una parte sorrisi compiaciuti. Dall’altra le bare.