A Palermo vince Hollando

24 / 5 / 2012

La prima promessa di Leoluca Orlando dopo essere stato rieletto sindaco di Palermo è stata: “Il 15 luglio salirò sul carro della Santuzza per gridare Viva Palermo e Santa Rosalia”. Questa dichiarazione dai tratti folcloristici è molto rivelatrice delle ragioni profonde del risultato delle ultime amministrative. La festa di Santa Rosalia è infatti diventata negli anni non soltanto una ricorrenza religiosa, ma anche e soprattutto il momento in cui il primo cittadino può misurare il consenso, appunto salendo sul carro della patrona, recitando il fatidico slogan e raccogliendo la reazione della città. Per l'ormai ex-sindaco Cammarata questo passaggio era diventato un vero e proprio incubo: costretto a disertare la cerimonia per le bordate di insulti che lo attendevano, di anno in anno si trovava obbligato ad inventare nuove scuse per disertare il corteo.

Orlando invece non vede l'ora di riabbracciare il suo popolo, con il quale negli anni ha mantenuto vivo un rapporto intimo, condito da venature di sacralità messianica. Un rapporto diretto tra sindaco e popolo, senza mediazioni. In cui è il corpo del sindaco ad essere garanzia di salvezza. Non a caso, a differenza dei manifesti elettorali degli altri candidati che ritraevano soltanto il volto, quelli di Orlando ne raffiguravano il corpo per intero, in piedi mentre cammina in avanti su uno sfondo bianco. Regale. Tutta la campagna elettorale è stata condotta con la stessa fisicità: camminando per le strade di Palermo, dal centro alla periferia, e offrendo la stretta di mano a garanzia diretta del proprio impegno.

Il neosindaco non ha perso occasione per ribadire in ogni circostanza pubblica che proprio di successo personale si tratta. Successo ottenuto con un netto distacco (circa il 30% di voti) anche dalla stessa coalizione che lo sosteneva (Idv + Fds).

Il peso di questa sua ultima vittoria è inoltre rafforzato dal fatto che, grazie ad una legge regionale truffa rivelatasi un colossale autogol per Pd e Pdl, potrà contare su una maggioranza assoluta di 30 consiglieri su 50: un monocolore di fedelissimi dell'Idv (Fds per un pelo non ha superato lo sbarramento del 5% che le avrebbe assegnato 10 consiglieri) con tutti gli altri all'opposizione.

Orlando ha saputo incarnare in queste elezioni le due retoriche più in auge della crisi della politica, riuscendo a presentarsi al tempo stesso come tecnico e come antipolitico, come amministratore dotato di grande esperienza e come nemico giurato della casta.

Il suo slogan “Il sindaco lo sa fare” esprime una competenza che si sottrae a qualsiasi possibilità di confutazione. Anche perché gli anni della sua primavera, a maggior ragione dopo dieci anni terribilmente bui come quelli di Cammarata, appaiono oggi alla memoria collettiva come abbagliantemente luminosi. In più occasioni Orlando ha affermato di aver già iniziato a studiare i disastri lasciati dal suo predecessore e di avere già in mano le soluzioni più adatte, di certo non basate su rigore ed austerità.

Al tempo stesso si è presentato come il terrore della politica degli inciuci, come l'unico in grado di fare saltare gli accordi delle segreterie dei partiti, primo tra tutti quello tra il Pd e l'Mpa. Non è un caso allora che a Palermo il Movimento 5 Stelle non abbia avuto l'affermazione che ha avuto da altre parti, appunto perché un certo spirito anti-casta era già abbondantemente incarnato dal neo-sindaco e in qualche misura anche dal suo allievo-rivale Fabrizio Ferrandelli.

Del resto proprio la conoscenza profonda delle dinamiche, tanto divine quanto terrene, della città ha permesso ad Orlando di sopravvivere a tutti i terremoti politici, anche quelli da lui provocati. In quasi 30 anni di carriera è sempre rimasto sulla cresta dell'onda: iniziando come rottamatore democristiano della prima repubblica, diventando protagonista assoluto della seconda e ritornando adesso come traghettatore verso la terza.

Ma, allora, come saranno i prossimi 5 anni? Orlando, dopo aver sbaragliato gli equilibri dei partiti, riuscirà ad aprire spazi di partecipazione o accentrerà poteri e decisioni? Valorizzerà ciò che anima la città o imploderà tra le mille richieste che arriveranno dai suoi fedeli?

Ce da dire che sembra un segnale importante che nella squadra degli assessori ci siano alcuni protagonisti dei movimenti degli ultimi anni e figure il cui spessore etico e politico è fuori discussione. Come del resto non erano affatto scontate le prime dichiarazioni di riconoscimento dell'importanza di percorsi come quello del Teatro Garibaldi Occupato o de I cantieri che vogliamo.

Ma l'esperienza insegna che i Nobel per la Pace è meglio darli alla fine dei mandati e non all'inizio.

Al di là e dentro l'affermazione personale ci sono, comunque, alcuni dati politici che emergono in modo netto da queste elezioni e che possono essere rilevanti anche fuori da Palermo.

Innanzitutto c'è da rilevare la caduta libera del centrodestra in una delle sue roccaforti storiche. Nella terra del 61 a 0 c'è stato un vero e proprio terremoto. In primo luogo perché la crisi economica ha minato la stabilità anche di alcuni assetti clientelari. Il Pdl senza i soldi del governo centrale si sgretola in mille fazioni, l'Udc si divide tra eredi di Cuffaro e seguaci di Casini, ma con crolli entrambi significativi. L'Mpa, che 5 anni fa si presentava come il nuovo potentato emergente, vede sgretolare il proprio potere, anche in seguito all'ennesimo avviso di Garanzia arrivato al suo leader Raffaele Lombardo e al conseguente annuncio delle sue dimissioni da presidente della Regione.

Proprio il governo regionale e le elezioni anticipate fissate per ottobre sono stati una dei tormentoni di queste elezioni. Orlando ha annunciato la propria candidatura a sindaco, non riconoscendo il risultato delle primarie, proprio attaccando il nodo dell'alleanza tra Partito Democratico ed Mpa in Regione. Questo è stato l'unico tema propriamente politico che ha attraversato tutta la campagna elettorale e che ha evidentemente anche rilevanza nazionale: il futuro del Partito Democratico in bilico tra la foto di Vasto e l'alleanza con Lombardo.

La vittoria di Orlando, contemporanea a quella di Hollande in Francia (l'assonanza tra i due nomi ha dato vita ad una larga serie di giochi linguistici), dovrebbe minare fortemente l'ipotesi della corsa verso il centro. Il Pd regionale è, infatti, il principale sconfitto delle elezioni di Palermo perché è rimasto l'unico ad inseguire un ipotesi subdola e perdente, perché continua a coltivare l'alleanza con un Mpa in caduta libera e ad elemosinare l'amicizia di un terzo polo che palesemente non esiste.

Con quella presunzione da grandi statisti che, è un classico, li trova impegnati a tramare oscure e raffinatissime strategie sotterranee, quando alla luce del sole la chiarezza dei loro disastri è evidente a tutti. In questo Fabrizio Ferrandelli, che viene da una storia diversa da quella del Pd, si è trovato sulle spalle il peso di una battaglia non sua, e forse sta lì uno dei motivi politici della sua sconfitta.

Anche il pessimo risultato di Sel, che resta l'unico partito ad aver perso sia le primarie che le elezioni, ha molto a che fare con il loro appiattimento sul Pd.

È chiaro a tutti che ci troviamo in una fase di transizione e che i mesi a venire saranno determinanti per la composizione di nuovi scenari. Esplodono nuove bombe mentre cerchiamo ancora di capire il senso di quelle esplose venti anni fa. I vuoti vengono riempiti in fretta, mentre la crisi mette in ipoteca la possibilità di immaginare un futuro. Allora ciò che è in gioco non sono soltanto le alleanze per le prossime elezioni, ma le forme stesse della politica. Se esistono possibilità di trasformazione radicale non passano dagli accordi a tavolino dei grandi scacchieri, né dall'intervento salvifico di un uomo della provvidenza, ma dalle capacità di un corpo collettivo di affrontare le contraddizioni della propria epoca, dare vita a nuove coalizioni sociali e costruire l'alternativa.