A posse ad esse non valet consequentia

19 / 12 / 2010

Quello nel titolo è il testo di un sms che ho scritto la sera del 14 dicembre ad alcuni amici, dopo una giornata passata ad aggiornare il sito di GlobalProject, a raccogliere gli umori, le sensazioni di un corteo, di una piazza di amici e fratelli a me non sconosciuti.

Nello spegnersi dei fuochi del tumulto della moltitudine, nei gradi di separazione, di coincidenze, di luoghi e situazioni che quella giornata cominciava a rappresentare, chiara da subito si è presentata questa locuzione, certamente non semplice, ma per questo, forse, più bella.

Una affermazione, una attitudine di pensiero e ragionamento che da Aristotele a Macchiavelli e più in là nel tempo ha attraversato indenne la storia del pensiero politico e filosofico e tanta parte di quella storia ha condizionato.

Qual'è il rapporto fra ciò che si manifesta e ciò che è possibile; cioè il manifestarsi di una possibilità di cambiamento e costruzione che non decade da scelte o concessioni altre o terze, ma che si determina in una azione di potenza. Un azione che genera un potere. Nel caso del 14, il manifestarsi di una generazione , di una parte; di una molditudine appunto, che si mette in campo per essere.

Una scelta; nata anche dalla paura e dal dubbio, e certamente palesata dalla violenta, calda e illuminante forza del fuoco; l' incendio, di cui a posteriori l'autorità costituita cerca solo gli autori e non la causa scatenante.

Ma in quella piazza era evidente che non vi fossero segreti custodi del fuoco o un oscuro Prometeo, o luciferini portatori di luce e suoi adoratori. In quella piazza c'erano migliaia di fabbri che si sono messi a costruire la loro fortuna, cioè la parte migliore del fare, quella che determina il prorprio futuro e crea il proprio essere. La virtù.

E questa, di quel fuoco, è la fiamma che ci rimane in questi giorni; un calore che forma e trasforma la rozza materia e allarga il criterio del possibile: che tramuta il “quo modo”, letteralmente il mezzo necessario, nel “quomodo”, cioè il come. Un calore che si alimenta del racconto che diventa discussione, e non agiografia o esaltazione, per accendere e illuminare il cammino possibile; per quanto si manifesti duro e difficile.

Un calore che, ancora, non è un sentire comune ma, forse, solo la compresione del prorio essere; certamente soggettivo e personale, ma anche dei movimenti. Non, però, una mera speranza nel futuro, come ci ha ricordato Monicelli, ma una nuova declinazione del presente.

Un Hic et Nunc, che dalla traduzione del Tutto e Subito, ormai sussunto anche dalla forza del nemico, il capitalismo che ne ha fatto modello di distruzione, ad un Qui ed Ora che è il bisogno di essere; essere liberi, essere vivi e riconoscersi fratelli.

Nulla autem penitentia