Dalla battaglia per l’attuazione dei referendum del 2011 alla loro cancellazione: questo, in sintesi, il cambio di fase politica che registra e certifica l’abnorme sentenza del Tar della Lombardia (n.779/2014) che ha rigettato i ricorsi presentati dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e Federconsumatori contro il metodo tariffario transitorio (MTT) del servizio idrico integrato targato AEEG (Del. n. 585/2012) che ripristina, seppure sotto la voce “costo della risorsa finanziaria”, la componente tariffaria remunerazione del capitale eliminata dal secondo quesito referendario.
Perché nel nuovo deal renziano non c’è spazio per un governo democratico e partecipato dei beni comuni, per la loro fuoriuscita dalle logiche di profitto: l’annunciata nuova ondata di privatizzazioni (a cui la stampa mainstream come “Repubblica” offre puntuale e consolidata sponda, da ultimo l’art. di Fubini e Mania di sabato 29 marzo), le progettate riforme istituzionali, premierato forte, “abolizione” del Senato, taglio delle province (che si tradurranno in un aggravio del deficit di democrazia di questo Paese), il rispetto dei vincoli di bilancio imposti dall’U.E., fino al patto di stabilità interno, per tacere di quisquilie quali spending review e jobs act, ne esigono l’immediata mercificazione e riduzione a variabile dipendente dalla profittabilità del capitale. E chissenefrega se ventisette milioni di italiani si sono pronunciati in modo diametralmente opposto!
Con questa lente, del tutto appiattita sulla nuova fase neoliberista in salsa fiorentina, il giudice amministrativo di Milano stila le ventiquattro cartelle della sentenza. E con la stessa lente bisogna leggerle. Lo conferma l’impianto prettamente economicista delle argomentazioni addotte; un vero manifesto ideologico, per dirla con Corrado Oddi (v. intervista).
Così, una volta definito (nonostante e contro il dettato referendario) il servizio idrico integrato “servizio di interesse economico (…) caratterizzato, quanto ai profili tariffari, dalla necessità della copertura integrale dei costi” e accolto il dogma del full cost recovery, ciò che segue diventa uno sterile esercizio teso a far rientrare nella “nozione economica di costo”
anche l’investimento di capitale proprio. Il quale, una volta allocato
(settore idrico o altro poco importa ai giudici) diventa capitale di rischio e, come il capitale di debito (cioè quello preso a prestito), deve anch’esso godere di “copertura tariffaria”
(non a caso, nella sentenza si parla di “costo opportunità”, che
equivale al valore cui si rinuncia investendo lo stesso capitale in
impieghi “comunque profittevoli”). Né viene tralasciata, dai giudici, la
considerazione che anche il capitale proprio è, alla fine, assimilabile
al capitale di debito, poiché “rappresenta un debito della società nei
confronti dei soci”. Certo, viene da obiettare, per chi non riesce a
concepire per acqua e beni comuni, altra forma gestionale che quella
delle s.p.a.!
Così, una volta accolta l’analisi della formula per il riconoscimento
degli oneri finanziari utilizzata dall’AEEG e, addirittura, magnificata
la scelta non più fissa (7%) ma variabile della misura dei suddetti
oneri (dimenticando che la supposta “variabilità” ha già prodotto
incrementi tariffari medi del 13% rispetto al vecchio metodo
normalizzato, mentre altri sono in arrivo con il nuovissimo MTI, emanato
dalla stessa Authority…) il cerchio sembra ai giudici chiuso. L’ultima
filippica, (anch’essa) tutta ideologica, a favore del libero mercato e
della concorrenza e dei connessi vantaggi che ne deriverebbero agli
utenti, serve ai giudici per (tentare di) demolire il vulnus della retroattività
del metodo transitorio a tutto il 2012, anch’esso oggetto di ricorso.
Ebbene, è proprio grazie alla contestata retroattività che gli utenti
non sarebbero incappati nelle maglie del ben più esoso metodo tariffario
normalizzato (quello del 7%), è la conclusione trionfale dei giudici!
Facendo finta di dimenticare che il parere del Consiglio di Stato
263/2013, ha già costretto i gestori a cantierare il rimborso della
componente di profitto illegittimamente incassata nei cinque mesi
lasciati scoperti a decorrere dal 21 luglio 2011, causa
l’inapplicabilità post-referendum del vecchio metodo normalizzato!
Allo scenario aperto dal pronunciamento del TAR della Lombardia é
stata dedicata gran parte della seduta del Coordinamento Nazionale del
Forum, tenutasi sabato 22 marzo a Bologna. Unanime, da parte degli
intervenuti, é stata la lettura tutta ideologica della sentenza ma
palpabile era lo sconcerto rispetto a un così pesante e, soprattutto,
inatteso giudizio. Che sconta, inutile dirlo, anche una certa dose di
ingenuità in chi pensava di affidare proprio (o, anche) alla
magistratura l’esito di una battaglia che, a partire dai beni comuni,
prefigura un nuovo paradigma economico e sociale in grado di segnare una
forte e radicale discontinuità rispetto al modello liberista imperante
(perché di questo stiamo parlando). E i magistrati milanesi dimostrano
di averne consapevolezza e lo dichiarano: cancellare la remunerazione
-come chiedono i ricorrenti- “finirebbe per lasciare spazio soltanto a
modelli pubblicistici di gestione, escludendo così gli operatori privati
dal settore idrico…”. Come a dire, non rientra nella nostra funzione
(giurisdizionale) rivoluzionare l’ordine esistente che è oggi, più che
mai, ordine mercantile e capitalistico ma, esattamente
all’opposto, é quello di sanzionare comportamenti devianti da tale
ordine. Allora, e concludono, che sia il legislatore a farlo oppure
(non detto) fatelo voi se ne siete capaci! Certo, a distanza di tre
anni dai referendum, non sono mancate sentenze favorevoli ai
referendari ma, a ben vedere, esse hanno inciso su aspetti sì importanti
della vicenda ma ben circoscritti (il tal Piano d’ambito, i cinque mesi
di rimborso remunerazione etc.), mai ci si era spinti -come nel caso di
specie- a richiedere pronunciamenti sull’intero assetto post
referendum. E quando ciò é accaduto, la risposta dei giudici è stata
lapidaria: é la legge del mercato, bellezza! Questo, al fine, ci insegna la sentenza del TAR.
Ne discende, e a Bologna c’era consapevolezza, che un eventuale ricorso
in appello (Consiglio di Stato) dovrà essere vagliato attentamente
perché, alla luce di un sì pesante pregresso, potrebbe sortire analogo
negativo giudizio, con l’effetto ulteriore di porre -allora sì- una
pietra tombale sull’intera vicenda referendaria.
Meglio, allora, ripartire concentrandosi sul rilancio delle note campagne, dall’Obbedienza Civile a quella per la ripubblicizzazione del s.i.i., dall’attuazione della legge di iniziativa popolare sull’acqua pubblica (da poco presentata) alla costituzionalizzazione del diritto all’acqua etc., senza, ovviamente, perdere di vista nodi esiziali, come il ricordato incombente processo di privatizzazioni (a cui non è estranea C.D.P.), quello rappresentato dai vincoli di bilancio, fino all’ambiguo atteggiamento di sindaci e amministratori locali sulla fuoriuscita dal patto di stabilità della gestione dei servizi pubblici locali… “sui quali rischia di infrangersi l’intera nostra azione se non sorretta da un’adeguata mobilitazione di forze in grado di connettersi con altre realtà attive sui territori e con le quali aprire vertenze per costruire percorsi condivisi” (M. Bersani). Da queste premesse é scaturita la proposta di una giornata di mobilitazione nazionale da tenersi intorno a metà maggio, un appuntamento -a detta degli acquaioli- che dovrebbe parlare a tutte/i e capace di porre al centro dell’agenda politica non solo il tema dell’acqua e dei s.p.l. (gestione dei rifiuti, trasporti…) ma, più latamente, quello dell’intero universo dei beni comuni e della democrazia (come il recupero e la messa in sicurezza del territorio, lo stop alla cementificazione del suolo, alle Grandi opere, alla costruzione di nuove centrali e via discorrendo). Insomma, un appuntamento in grado di mobilitare tutto quel vasto arcipelago di comitati, reti, associazioni, singoli che nella consapevolezza dell’ineludibilità di codeste battaglie, sappiano assumerle e veicolarle come patrimonio collettivo.
Prima di chiudere, una nota sull’Obbedienza Civile alla luce della sentenza del Tar.
Ovvio che la risposta più efficace resta l’intensificazione e
l’allargamento della campagna anche a quei comitati che, almeno fin
qui, si sono arresi alle difficoltà (e alla fatiche!) che
l’autoriduzione delle bollette indubbiamente comporta. E tuttavia non
vanno sottovalutati alcuni interrogativi che la sentenza indubbiamente
pone: quale impatto avrà su gestori, autoriduttori e comitati?
E’ lecito attendersi una recrudescenza di comportamenti intimidatori e
vieppiù minacciosi anche da parte di gestori (leggi Acegas-Aps) che
hanno tenuto, fin qui, un atteggiamento meno aggressivo di altri? Staremo a vedere.
E ancora: é lecito attendersi una radicalizzazione delle varie
situazioni territoriali, per cui laddove il numero degli autoriduttori
raggiunge soglie ragguardevoli e tali da autoalimentarsi… sarà
ben difficile che il fenomeno si arresti mentre laddove i numeri sono
irrisori (e se n’è avuta avvisaglia in assemblea) la sentenza potrebbe
produrre effetti devastanti…? In ogni caso, é stato rimarcato, agli
autoriduttori bisognerà spiegare molto chiaramente che nel giudizio
scodellato dal Tar c’è ben poco di giuridichese, ma che trattasi di sentenza tutta ideologica…
E allora, non resta altro da fare che rimboccarsi le maniche e riprendere, con rinnovato slancio, quella che resta una battaglia di civiltà.
Perché oggi, più che mai, si scrive acqua… si legge democrazia!