Il CIE di Gradisca d’Isonzo è stato chiuso ad inizio novembre 2013 a
seguito di una serie di rivolte culminate nell’incendio della struttura.
Le proteste erano iniziate la notte dell’8 agosto a causa
dell’impedimento di festeggiare il Bairam, la fine del Ramadan, e
avevano visto il pesante intervento delle forze dell’ordine con
l’utilizzo di gas lacrimogeni al CS.
Nei tre mesi successivi i detenuti avevano portato avanti delle vere e proprie manifestazioni raggiungendo più volte il tetto
della struttura per comunicare con l’esterno, con giornalisti e
associazioni. L’utilizzo dei cellulari era infatti, da circa tre anni,
impedito dalla Prefettura di Gorizia.
Molti anche i tentativi di fuga, alcuni riusciti, altri invece finiti
male, come la tragica caduta dal tetto che ha portato in coma un giovane
marocchino, le cui condizioni in questi 6 mesi non sono mai migliorate.
Ad ottobre, a pochi giorni dalla chiusura della struttura, due persone erano finite in carcere, come misura cautelare, con l’accusa di aver danneggiato la struttura per raggiungerne il tetto.
Di qualche giorno fa l’arresto di altre due persone, rintracciate nel Lazio, e portate in carcere per la stessa indagine.
L’associazione Tenda per la Pace e i Diritti, che da anni segue la
questione del CIE di Gradisca, ha voluto sottolineare, attraverso un
comunicato stampa, la discrepanza tra la solerzia con cui sono stati
portati in carcere gli indagati per danneggiamento al CIE e l’immobilità
di procedimenti atti a capire cosa sia accaduto all’interno della
struttura, finita più volte sotto accusa per la negazione dei diritti e
le violenze subite dai reclusi, dalla sua apertura fino alla tragica
estate 2013.
"Detenzione discrezionale, condizioni igieniche
indecenti, uso (e abuso) di un potere esercitato tramite manganelli e
lacrimogeni, somministrazione sistematica di psicofarmaci, violazioni
dei diritti umani.
Questo è stato per anni il CIE di Gradisca d’Isonzo, situazioni denunciate da avvocati, medici, giornalisti, associazioni ma anche commissioni governative e decine di parlamentari.
Per tutto questo nessuno ha pagato.
Nessuna indagine è mai stata aperta.
Evidentemente per qualcuno l’esistenza di un mostro simile sul
territorio italiano è da considerarsi normale, un elemento
imprescindibile per le leggi di criminalizzazione degli esseri umani.
A distanza di mesi dalla sua chiusura, che ci auguriamo sia definitiva,
gli unici che stanno pagando un prezzo altissimo, la propria libertà,
sono coloro accusati di aver danneggiato quel mostro che in un groviglio
di reti e sbarre metalliche negava loro anche di poter vedere il cielo.
Un consigliere regionale del Partito Democratico, riferendosi agli
incendi che hanno portato alla chiusura del CIE, aveva pubblicamente
dichiarato: “Hanno fatto quello che avremmo dovuto fare noi con altri
sistemi, ma per loro quella era l’unica possibilità”
Una tesi che trova riscontro anche nella giurisprudenza, viste alcune
sentenze che riconoscono come difesa personale il ribellarsi all’interno
dei CIE (la prima fu del Tribunale di Crotone nel 2012).
A pagare in questo momento sono coloro che, nei tragici giorni estivi
del CIE di Gradisca, sono accusati di aver rotto le reti che circondano
il centro per salire il tetto e comunicare con l’esterno.
Sono cinque le persone accusate di aver danneggiato la struttura,
quattro le persone attualmente soggette a un provvedimento di custodia
cautelare che si protrarrà fino alla fine delle indagini:
I. e S. sono in carcere da ottobre. Sei mesi per aver rotto un plexiglass e qualche pezzo di ferro.
Tra il 4 e il 5 marzo altre due persone sono state arrestate e si
trovano attualmente in stato di detenzione con la medesima accusa.
Probabilmente pensavano che l’incubo fosse finito, ignorando di aver a
che fare con una giustizia che diventa improvvisamente solerte quando
deve difendere plexiglass, reti metalliche e sistemi d’allarme.
Noi da quella giustizia invece non abbiamo mai avuto risposte.
Non sappiamo per esempio se qualcuno ha mai indagato cio’ che davvero
accadde la notte che Majid cadde dal tetto del CIE, nell’agosto 2013.
Majid è in coma da più di sei mesi, e l’unica reazione davvero solerte
che abbiamo riscontrato è stata quella di tentare di impedire ai suoi
cugini, arrivati da un’altra regione italiana dove risiedono da più di
10 anni, di vederlo. “L’ispettore del CIE dice che nessuno può entrare a
vederlo, nemmeno i parenti, è un caso riservato” ci dissero i medici
dell’Ospedale di Cattinara (Trieste)
Non sappiamo neanche che ne sia stato di Radouane,
che per fuggire dal CIE di Gradisca nel 2012 saltò da quel maledetto
tetto rompendosi entrambi i talloni. Due settimane di ospedale, e poi di
nuovo nella bocca del mostro, a muoversi con le stampelle in una
struttura certamente non pensata per i disabili. “Non avrei dovuto
saltare – ci disse – il muro era alto, ma io avevo preso molti
psicofarmaci e non me ne sono reso conto.”
Non sappiamo se qualcuno si sia mai posto il problema di capire perché,
per sedare queste “illegittime” rivolte, si sia pensato di far cadere piogge di lacrimogeni su persone intrappolate dentro a delle gabbie; non ci risulta sia normale, nemmeno in un paese come il nostro.
Non sappiamo infine se qualcuno, nelle alte sfere, si sia mai domandato se e’ normale non evacuare un edificio dato ripetutamente alle fiamme
per cinque giorni, forse la punizione per aver appiccato quell’incendio
e’ stata rimanere la’, in mezzo al fumo e alla cenere, fino alla fine.
Non sappiamo se qualcuno abbia mai indagato sui pestaggi denunciati per anni
dai migranti, non sappiamo se chi prescrive misure di custodia
cautelari per i migranti “ribelli” sia al corrente del fatto che in
tanti, pur di fuggire da quel garbuglio di reti, gabbie e burocrazia
hanno martoriato i propri corpi con ferite autoinferte, inghiottendo
lamette, batterie, e tutto quel poco che era loro concesso tenere con
se’ (persino i libri, la’ dentro, erano considerati pericolosi perche’
infiammabili).
Ma forse abbiamo sbagliato tutto, e dobbiamo solo essere riconoscenti ad
una giustizia rimasta silente per anni perche’ non c’era niente di
strano in questa storia fatta di sangue e privazioni, mentre invece
questa ridicola caccia all’uomo contro i distruttori di plexiglass va
portata avanti fino alla fine.
Cio’ che ci auguriamo e’ che gli echi di quella sentenza che a Crotone
scosse le fondamenta del sistema CIE, il 12 dicembre 2012, arrivino
finalmente anche a Gorizia. Forse allora ci sara’ qualcosa di cui
parlare".
Tenda per la Pace e i Diritti