Ancora. Fino a quando?

Cristian De Cupis, romano di 36 anni, denuncia di essere stato pestato dalla Polfer. E tre giorni dopo muore.

16 / 11 / 2011

Il copione è sempre lo stesso. Un “normale controllo” che si trasforma in un normale omicidio. E' alla stazione Termini di Roma che viene fermato da due agenti Cristian De Cupis, un passato segnato da piccoli reati legati alla tossicodipendenza, quindi “noto alle forze dell'ordine”. Un paio d'anni fa è stato ripristinato il reato di oltraggio, si aggiunge la resistenza, il fermato è portato al pronto soccorso. Dove denuncia il pestaggio una prima volta. Di seguito viene trasferito al reparto bunker dell'ospedale Belcolle di Viterbo, dove fa denuncia la seconda volta. La terza notte muore. Ancora una volta i familiari sono avvertiti dell'arresto solo a decesso avvenuto, malgrado il cambiamento di protocolli attuato dopo il caso Cucchi consentisse ai sanitari di comunicare immediatamente con la famiglia.

Le prime risposte dell'autopsia riferiscono ecchimosi ed escoriazioni, ma nessuna lesione di organi interni tale da causare la morte. Secondo la polizia “l'arrestato si sarebbe procurato da solo le lesioni nel tentativo di sottrarsi alla cattura”. Inizia così il consueto macabro rituale della negazione e dello scarico delle responsabilità. La lista dei morti è lunga, lunghissima, i nomi li conosciamo tutti. Quello di qualcuno diventato un simbolo, come Stefano Cucchi, qualcun altro difficile da ricordare, come Saidu Gadiaga. I poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, le squadrette delle municipalizzate: tutti sostanzialmente impuniti, perché così vuole la tradizione di questo paese. Se qualche nome è divenuto un simbolo, se qualche simulacro di giustizia è stato raggiunto, è solo perché le famiglie e i movimenti se ne sono fatti carico, organizzando tra mille difficoltà vere e proprie controinchieste.

Mentre le carceri scoppiano, mentre il numero dei detenuti suicidi (accertati) dall'inizio dell'anno è a quota 58, nessuna illusione su un percorso diverso in questo caso. Ma ancora una volta l'accento va posto su quell'insieme di regole non scritte che costituisce il Diritto di Polizia, sul salvacondotto che consente a uomini armati e sempre più stressati di sfogare le loro frustrazioni su corpi indifesi e spesso malati, su soggetti colpevoli di transitare attraverso il circuito delle droghe o solo di provenire da una festa durata fino all'alba o ancora solo di avere una pelle il cui colore è sgradito ai controllori di turno. Pochi giorni prima del normale controllo Cristian De Cupis era andato all'ufficio di collocamento per chiedere un lavoro: questo era il suo comportamento deviante. Ora proviamo a capire cosa è accaduto. Ancora una volta proviamo a fare in modo che non possa accadere più.