Arriva SuperMario: insert coin

Considerazioni sul potere della finanza, nella nuova fase

14 / 11 / 2011

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Dunque B. ha mantenuto per la prima volta in vita sua una promessa:dimissioni. Più che esaurirsi in una battuta, o in qualche festa in strada e bottiglia stappata, questo ci fa pensare alle tante verità che vengono messe a nudo dalla solerzia con cui cede il passo, evitando giochi di palazzo che gli avrebbero permesso di perpetuare  il suo arrogante attaccamento alla presidenza del consiglio come fece il 14 Dicembre 2010.

 

Si cede il testimone, dunque: ma se dopo quasi vent`anni è vero che un'era si chiude, bisogna essere all'altezza di cogliere la chiave di volta di tale transizione, che va ben al di là dell`uscita di scena del Berlusconi che conosciamo, un po` mafioso e un po` marpione, corruttore e showman di bassa lega.

Cominciamo dall'epilogo della vecchia storia, quindi: la caduta. Di crisi di governo ne abbiamo viste tante, ma il nodo è che questa, evidentemente, non si è giocata tra i banchi del Parlamento.

La vera trama, stavolta, l`hanno tessuta gli indici di borsa, le agenzie di rating, il pressing dell`Europa e della BCE: Berlusconi è caduto perchè scaricato dai poteri forti del capitalismo finanziario, è l'andamento dei mercati ad aver votato la sfiducia, ben prima di un drappello di parlamentari che hanno abbandonato la barca prima che affondasse. Quello che è accaduto alle 21.42 del 12 novembre 2011 non è il frutto di un'attività di opposizione, sia essa parlamentare (oggi inesistente) o sociale (esplosiva nell`ultimo anno) che sia; si è trattato al contrario della risposta all'esigenza di BCE, FMI ed il resto degli dei dell'olimpo della finanza, di piazzare a capo dell'Italia un personaggio più idoneo all'applicazione tempestiva dei loro diktat, tramite un vero e proprio golpe mascherato abilmente attraverso stratagemmi "legali” ma assolutamente non legittimi.

E' da questo tipo di considerazioni che partiamo per guardare, dopo l`epilogo, alla trama del prossimo futuro. In primis sulla scelta di preferire l'istituzione di un governo tecnico all'indizione di elezioni anticipate.

L'opzione elettorale sarebbe stata senza ombra di dubbio meno autoritaria in confronto al colpo di mano di Napolitano. E tuttavia, ormai lo abbiamo imparato,  avrebbe comportato una crescita della sfiducia verso l'acquisto dei titoli di stato italiani, crollo del loro valore, conseguente aumento dello spread. Un copione, la Grecia insegna, che l`Impero non si può permettere!

Ed ecco il secondo elemento che raccogliamo come evidenza di un fenomeno che denunciamo oramai da molto tempo: l`odierno sistema capitalistico determina direttamente una crisi della sovranità parlamentare e una riduzione degli spazi di democrazia. Per questo anche il dibattito intorno al tema delle elezioni resta fine a sé stesso se non considerato in una prospettiva più ampia. E la cronaca italiana di questi giorni ci incoraggia e ci impone, d`ora in poi, di affrontare qualsiasi percorso di movimento o di confronto con partiti e istituzioni affrontando con rinnovata determinazione e senza più ambiguità la cesura tra soluzioni democratiche, di alternativa, e le ricette della BCE .

Il dado è tratto: non c`è terza via tra soluzioni di austerità, pure diluite da aperture alle parti sociali - in cui il tema del confronto sarebbe una triste corsa al "cosa tagliare, e dove" - e proposte di alternativa che partano dal rifiuto di pagare il debito delle banche private, che esplorino la strada del default selettivo e che reclamino nuovi meccanismi di welfare e reddito garantito.

La stagnazione del dibattito intorno al governo Monti di questi giorni, in effetti, produce una certa indignazione, specie dopo che il referendum del giugno scorso ha evidenziato la possibilità di ridesegnare una democrazia dal basso e, soprattutto, in una fase in cui meravigliose esperienze di lotta come quelle di Terzigno e Chiaiano, della Val Susa, del Teatro Valle hanno rivelato tutto il loro potere costituente e la capacità di dar luogo ad un comune politico e sociale. Alla luce di ciò pensiamo che sia sensato porre nei confronti di questo governo tecnico un problema di legittimità, sia formale che sostanziale. 

Ad ogni modo non è su questo punto che si esaurice la complessità della questione per cui andiamo avanti. Ci interessa piuttosto indagare su quali sono i processi di fronte ai quali ci troveremo nei mesi che seguiranno, governo tecnico o no. E' scontato, in virtù di quanto detto all'inizio, che il compito di Mario Monti sarà l'imposizione coatta delle misure di austerità, dalle privatizzazioni all'aumento dell'età pensionabile, dalla cancellazione dei diritti all'ulteriore precarizzazione e deregolamentazione del lavoro: un cocktail letale giustificato mediante il dispositivo retorico del "bene della nazione", tanto decantato da Bersani a Fini. Ma in che direzione corrono realmente questi provvedimenti? Ci viene narrato che sia imprescindibile scongiurare il rischio di default, eppure il default non è un evento puntuale al quale si arriva dopo un lungo periodo, semmai ad essere puntuale è semplicemente la sua dichiarazione. Se, come sta accadendo in Grecia, ci si sforza di procastinare quest'evento il più possibile, mantendo attivi i meccanismi propri dell'austerity è solo ed esclusivamente per dare sfogo alla vera natura di rapina del capitalismo finanziario.

Eccoci al terzo elemento da individuare: la finanziarizzazione e la speculazione ai danni del welfare vanno riconosciuti nel dibattito pubblico come nuova forma di accumulazione che colpisce la produzione di ricchezza sociale e immateriale: la crisi finanziaria rappresenta così una componente, un traguardo di tale processo e non un ingranaggio fuori posto che si può riparare (beninteso, a spese delle parti sociali più deboli e non rappresentate). Ancora, non si può più tacere il fatto il potere costituito stia approfittando della crisi per ridefinire i rapporti di forza tra capitale e lavoro, materiale o immateriale esso sia, imponendo la precarietà come elemento costitutivo delle nostre vite, non solo a livello lavorativo, ma più in generale sul piano esistenziale.

Pensiamo che su questi elementi che contraddistinguono la fase storica si debbano interrogare con decisione tutti i nostri interlocutori, all`interno del movimento ma anche sulla scena politica, dove un dialogo si deve avviare a partire da qui e non con la possibilità di fare passi indietro. Soluzioni all`acqua di rose, sullo stampo di quelle paventate da Vendola, non possono convincerci, finché non si snodino a partire dai punti che sopra delineavamo. Su questo terreno i movimenti devono assumere una posizione ancora più decisa, coraggiosa, ferma: perché ora che Silvio è finalmente uscito di scena, tanto le forze parlamentari di "opposizione" quanto il partito di Repubblica e la sinistra extraparlamentare  sono chiamati a pronunciarsi sui problemi reali, e la si pianterà di parlare di veline, festini e variazioni sul tema che da anni hanno raggiunto lo status di "dibattito pubblico". Un dibattito nel quale ci siamo già inseriti da tempo con la proposta di non pagamento del debito, un debito contratto per sostenere spese inutili come quelle militari, la TAV ed i vitalizi dei parlamentari, e per questo assolutamente slegato dalle nostre vite, parallelamente alla richiesta di reddito e welfare.

Siamo di fronte ad una crisi di portata epocale, così come epocale è l'occasione che abbiamo per cambiare l'ordine esistente:  ci lasciamo alle spalle i vecchi satrapi, ma adagiarsi su questo e non aggredire il mondo con cui ci scontriamo ogni giorno è un lusso che non possiamo nè vogliamo concederci.

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