Assemblea di Over The Fortress: Andare oltre la fortezza

Padova, Sherwood Festival, sabato 2 luglio 2016 ore 14

23 / 6 / 2016

Non è semplice dare uno sguardo d’insieme del lavoro di quasi un anno di Over The Fortress, da un lato perché le fasi di azione sono state variegate, dall’altro perché l’esperienza di massa della marcia ad Idomeni è stata la punta di un iceberg di un piano di lavoro costante, a volte sottotraccia, iniziato quando abbiamo deciso di camminare al fianco dei migranti lungo la rotta dei Balcani. #overthefortress, fin dall’inizio, si è caratterizzata come un’azione di monitoraggio attiva sulla Balkan Route e nelle isole greche: l’essere presenti lungo e attraverso i confini europei e l’osservazione diretta della gestione dei flussi migratori e le sue resistenze ci ha permesso sia di restituire la portata e l’intensità della spinta dei migranti, sia di analizzare e leggere la realtà per come si stava definendo.

Da una parte, attraverso questo lavoro entusiasmante, abbiamo avuto l’opportunità di cogliere le trasformazioni in atto e ridefinire gli obiettivi della campagna in base alle evoluzioni politiche e alle limitazioni imposte ai migranti dagli stati interessati dal loro transito. Dall’altra parte, proprio grazie alla presenza a staffetta, abbiamo potuto conoscere le storie e i desideri dei migranti, le diverse provenienze, rapportarci con loro, scoprire la loro tenacia e determinazione, la capacità di autorganizzazione e la dignità, la straordinaria voglia di lottare per oltrepassare i confini. Gli elementi che maggiormente risaltano nei racconti e nelle narrazioni che abbiamo prodotto sono stati proprio questi. La conoscenza diretta dei bisogni ci ha inoltre permesso di intervenire anche con progetti ed aiuti umanitari, ricercando modalità di cooperazione ed interazione a seconda del contesto che mutava velocemente. A distanza di pochi mesi siamo passati dall’accompagnare i migranti in transito verso i paesi dell’Europa centrale, a supportarli nei campi informali in Grecia, evidenziando le ricadute violente ed emergenziali provocate dalla blindatura di tutta la rotta dei Balcani e dallo scellerato accordo tra l’Ue e la Turchia. Abbiamo assistito e denunciato, attraverso le manifestazioni nelle strade di Salonicco, al Brennero, sotto l’Ambasciata Turca a Roma, le fasi principali di questo processo, le quali hanno avuto l’effetto di interrompere drasticamente le partenze dalla Turchia – dando ad Erdogan il ruolo politico di nuovo guardiano d’Europa con licenza di sparare sui profughi - e di trasformare la Grecia da paese di approdo e di transito a paese “trappola”, ovvero una prigione a cielo aperto.

#Overthefortress non è perciò solo un hashtag indovinato legato a poche giornate, ma un percorso che si è alimentato progressivamente grazie alla spinta emotiva, alla generosità e alle competenze di tanti e tante che hanno deciso di partecipare alla campagna solidale: da chi ha sottoscritto il crowdfunding (più di 240 i sostenitori), a coloro che hanno deciso di organizzare serate di sensibilizzazione per raccogliere fondi e materiale, fino alle tante persone che hanno preso parte alle staffette, ai progetti e alla marcia ad Idomeni. Un percorso che ha coinvolto soggettività diverse e che passo dopo passo si è dato una struttura organizzativa “leggera”, plasmando così la sua attività in base ai cambiamenti in atto.

Mentre scriviamo queste righe gli ultimi campi informali nella Grecia del nord sono stati sgomberati e smantellati. La Grecia si conferma come un laboratorio, con rilevanza europea, nel quale sperimentare e normare nuovi approcci. L’apertura degli Hotspot nelle isole greche è stato il preludio funzionale all’accordo con la Turchia ed ora quei centri, inizialmente pensati per differenziare i migranti economici dai richiedenti asilo, sono diventati luoghi detentivi, simili ai CIE con finalità, appunto, detentive ed espulsive. Ma il governo dei flussi, allo stato attuale, non si pone solo lo scopo di impedire la mobilità dei migranti ma anche quello di limitare la loro attitudine ad autorganizzarsi, minando alle fondamenta la loro possibilità di creare momenti di rottura della normalizzazione imposta. L’intenzione è di far tornare nell’invisibilità i rifugiati.

In questa fase il laboratorio greco è stato oggetto di ulteriori sperimentazioni da non sottovalutare: la deportazione forzata di migliaia di persone nei campi militarizzati rappresenta un balzo in avanti non indifferente perché, da una parte, limita del tutto la libertà di movimento dei rifugiati, costringendoli ad accettare la procedura d’asilo o la fallimentare procedura di relocation, dall’altra marginalizza pesantemente il ruolo dei volontari. Vi è nel contempo l’intento di depotenziare delle pratiche di solidarietà diffusa, renderle innocue e cooptarle fino al punto di farla entrare nella gestione di questo restrittivo ed inadeguato sistema d’accoglienza. Il messaggio è netto: se vuoi aiutare i rifugiati lo devi fare nei modi e nei tempi dettati dall’alto. Pur capendo la buona volontà di molti volontari, pensiamo che non sia possibile accettare questo opprimente compromesso poiché è funzionale alla contrazione dei diritti e, come già avvenuto nei centri d’accoglienza lungo la rotta dei Balcani, sottopone il volontariato alla gerarchizzazione insita in questo tipo di accoglienza.

La politica europea, complessivamente, ha riaffermato e potenziato le sue strategie di esclusione, fatte di controllo e militarizzazione, di uso del confine per costruire diktat, gerarchie e diritti differenziati.

Tuttavia in Grecia esiste anche una visione alternativa e contrapposta a quella dei centri gestiti dai militari. A Salonicco ed Atene le occupazioni abitative con i rifugiati sono una pratica di mutualismo e solidarietà che sta determinando un salto di qualità nelle lotte perché coagulano, nuovamente, all’interno di uno spazio, elementi di autorganizzazione tra i migranti stessi e ripropongono quel rapporto di complicità e supporto tra attivisti e migranti. Il paese ellenico, considerando gli elementi e le prospettive contrapposte, continuerà ad essere un territorio da osservare con attenzione, anche perché non possiamo fare a meno di notare che alcune delle caratteristiche principali del governo dei flussi si stanno riproponendo in Italia. Non è solo una questione legata ai numeri degli sbarchi o delle terribili tragedie del mare, ma il programma generale delle politiche europee, dopo aver “testato” l’efficacia in Grecia, si sta riproducendo qui con alcune modalità analoghe.

Il primo dato da tenere in considerazione è che l’Italia, come il paese ellenico, sta diventando un luogo non solo di approdo, ma di stanzialità forzata. La violenta repressione nei confronti dei migranti in transito a Ventimiglia, i controlli delle forze dell’ordine rafforzati tanto al Brennero, quanto nelle stazioni di Genova, Bolzano, Milano o Verona, sono un chiaro messaggio ed un monito nei confronti di tutti coloro che vorrebbero raggiungere altri territori europei. Il secondo è che l’accoppiata Renzi-Alfano, nel prossimo vertice europeo del 28-29 giugno, hanno in mente di replicare le basi del patto Ue-Turchia: l’obiettivo è quello di raggiungere degli accordi con i principali paesi d’origine e di transito dei migranti (Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Etiopia, Costa d’Avorio, Gambia ecc.) per rallentare le partenze verso il vecchio continente e poter rimpatriare velocemente coloro che sono considerati migranti economici. Per questo anche se nel nostro paese gli Hotspot non sono paragonabili a dei CIE, dobbiamo aspettarci variazioni e prassi eccezionali nel corso dei prossimi mesi. Attualmente la loro funzione è certamente più complessa, servono perlopiù a distinguere e “smistare” i richiedenti asilo dai migranti economici, ma soprattutto ad identificare i migranti appena sbarcati attraverso il prelievo, anche con l’uso della forza, delle impronte digitali.

Gli Hotspot, assieme ai rastrellamenti di Ventimiglia, sono in questo momento zone di frontiera nei quali si concentrano le più gravi violazioni dei diritti umani, gli abusi di potere e le torture sui migranti, in un contesto totalmente illegittimo ed extralegale.

Andare oltre la fortezza

Si tratta di una situazione in continuo e profondo mutamento, ma se assumiamo il dato che la tendenza generale seguirà verosimilmente la traiettoria che fino ad ora abbiamo delineato, è sempre più necessario confrontarci e capire come, dove e con quale intensità proseguire la campagna.

L’ago della nostra bussola ci indica quelle zone dove si impongono le procedure violente ed il regime del confine, dove l’Europa ha dichiarato guerra i migranti, ma ci segnala anche dove continuare a portare avanti attività di solidarietà e mutualismo, di azione politica.

Le direzioni, le tappe e le coordinate del viaggio che intraprenderemo vogliamo che siano costruite insieme anche questa volta, perché solo in questo modo, continuando a camminare al fianco dei migranti, la nostra bussola ci condurrà lungo la giusta rotta per superare la fortezza.

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