Assemblea nazionale degli studenti medi: documento di lancio

Mercoledì 6 settembre dalle ore 15, al Centro Sociale Rivolta di Marghera

29 / 8 / 2017

Ci siamo interrogati più volte in questi anni sulla strada da intraprendere dopo le mobilitazioni contro la riforma Gelmini, ultimo grande ciclo di lotte in Italia sull’ambito della formazione superiore e universitaria.

Sono passati ormai quasi dieci anni dall’inizio di quella riforma voluta per “ottimizzare” la scuola italiana sul modello europeo, processo portato avanti con tagli e ristrutturazioni e che ora, con la “Buona Scuola”, può dirsi ormai completato. Non ci può stupire l’affinità tra il pensiero del fu governo Berlusconi e dell’attuale governo Gentiloni, leggasi Renzi: che il mantra del “lo vuole l’Europa” sia servito come chiavistello per forzare qualsiasi resistenza al processo di trasformazione liberista della scuola pubblica è ormai dimostrato, che ormai la decisionalità risieda a Bruxelles e non più a Roma altrettanto; ma ci torneremo più avanti.

Dieci anni di riforme e di crisi economica hanno trasformato l’istruzione pubblica da risorsa, su cui investire per costruire un futuro migliore, a peso da tagliare per rispettare le norme di bilancio del Fiscal Compact. Non è un caso che l’ultimo colpo messo a segno dalla ministra Fedeli sia proprio la riduzione degli anni scolastici da cinque a quattro, in sperimentazione in varie parti d’Italia, nel misero tentativo di risparmiare qualche milione di euro.

Una scuola, quella italiana, ormai ridotta veramente ad azienda: non solo perché obbligata a far galleggiare il proprio bilancio coi pochi fondi a disposizione (già che la scuola debba preoccuparsi di mantenere in attivo il proprio bilancio è assurdo), ma perché ormai più che studenti vede frequentare lavoratori, creati a migliaia dal meccanismo dell’Alternanza Scuola-Lavoro, grazie alla quale gli studenti degli ultimi tre anni vengono immessi nel mercato del lavoro gratuitamente e finiscono a lavorare ovunque, dai musei al McDonald’s. Studenti che generano una grandissima quantità di ricchezza destinata a finire però nelle casse di privati e multinazionali, mentre troppo spesso l’ASL diventa la scusa per le aziende per rinviare o evitare definitivamente nuove assunzioni. Abbiamo già discusso di come Buona Scuola e Jobs Act insieme stiano portando da un lato ad una precarizzazione del mondo del lavoro, mentre dall’altro abbiano trasformato le scuole in semplici fabbriche di tirocinanti e precari: sicuramente la riduzione degli anni di studio accelera ulteriormente questo fenomeno, riducendo ancora la formazione degli studenti anche come futuri cittadini e dando ulteriormente peso alla loro formazione come figure professionali specializzate “ma non troppo”, rendendole così estremamente ricattabili. 

Dicevamo poche righe più su come la scusa sia stata quella di adeguarci ad un ipotetico modello europeo improntato su parole d’ordine come modernità e autonomia. La modernità è ben rappresentata dallo svilimento completo della scuola come spazio di costruzione di pensiero critico; sull’autonomia invece ci piacerebbe soffermarci di più. Autonomia che di fatto è stata messa in pratica tramite l’autonomia fiscale degli istituti, ossia la possibilità di spendere i proprio fondi come meglio credono le varie scuole. Di fatto possiamo spartire come vogliamo, più o meno visto che i Consigli di Istituto sono di fatto egemonizzati da presidi e professori, le poche briciole sul piatto, mentre i programmi e i metodi di insegnamento diventano ogni giorno più standardizzati e lontani dai bisogni delle diverse scuole. Gli INVALSI ben rappresentano questo percorso: prove standardizzate sul modello europeo che servono a valutare la qualità dell’insegnamento nei vari istituti premiando poi i migliori, penalizzando invece le scuole che si trovano in ambiti più delicati. Prove su cui gli studenti non hanno voce in capitolo e i cui boicottaggi stanno vedendo una sempre maggior repressione da parte di “presidi sceriffo” diventati, attraverso la “Buona Scuola”, nient’altro che esecutori degli ordini impartiti dall’alto, guardie dell’ordine nelle fabbriche del non-sapere.

Per noi autonomia vuol dire altro: non è decidere ognuno sui propri debiti, visto che soldi non ce ne sono, ma decidere del proprio futuro. L’autonomia non deve essere economica ma decisionale: vuol dire decidere per la propria collettività e non subire, come si diceva prima, decisioni lontane e basate su interessi economici più che sui bisogni oggettivi. La battaglia da intraprendere deve essere affrontata in quest’ottica: non in difesa di un’istituzione ormai agonizzante ma all’attacco, per costruire qualcosa di altro. Dobbiamo aver il coraggio di sognare una scuola diversa basata su chi la vive e non su chi l’ amministra. Siamo rimasti con i piedi per terra troppo a lungo, adesso è il momento di osare. La Buona scuola è passata, è un dato di fatto, a noi sta la sfida di incepparla e fermarla dove possibile, avendo la capacità di indicare altro, qui e ora.

La scuola è lo spazio che forma la società del futuro, quello in cui generazioni di cittadini crescono e si formano, lasciare questo spazio alle logiche attuali vuol dire accettare un mondo basato su sfruttamento, impoverimento e discriminazioni etniche e di genere, perché queste sono le dinamiche di cui il potere necessita per riprodursi. E’ pura illusione pensare che queste stesse dinamiche, che vediamo scuotere il mondo intero dall’America al Medioriente, non comprendano e non guidino il mondo della scuola.

Schierarci e far schierare è la sfida che abbiamo di fronte. Dobbiamo essere all’altezza della situazione. Per questo invitiamo tutte le realtà che vorranno partecipare ad una giornata di discussione mercoledì 6 settembre dalle ore 15, al Centro Sociale Rivolta di Marghera. E’ tempo di agire.

Coordinamento Studenti Medi Nord-Est