Atene è sola?

Dall’attacco della BCE e dei potentati europei alla Grecia arriva un’urgenza: bisogna riscrivere l’Europa, dal profondo.

6 / 2 / 2015

La voce grossa della BCE si è fatta sentire. E non solo quella: diciamo pure che la sua lunga mano ha stiracchiato le dita stringendo nel suo pugno piazza Syntagma, cioè il luogo dove dovrebbe essere data la fiducia del Parlamento all’esecutivo di Tsipras e dove si sono rassembrati, in questi anni, i movimenti greci di opposizione all’austerità.

La Banca Centrale guidata da Draghi ha dato un chiaro segnale di autorità alla Grecia, mostrando brutalmente quali siano i rapporti di forza sanciti dai Trattati dell’Unione Europea. Ha infatti deciso di non considerare più i titoli di Stato greci come garanzia per dare soldi alle banche elleniche. Per quanto tutto ciò non abbia un effetto fulminante, sul lungo termine potrebbe portare ad un default della Grecia se gli sportelli non dovessero più disporre di credito, vista anche la fuga di capitali delle scorse settimane. Inoltre, dobbiamo vedere cosa deciderà il board della BCE il prossimo 18 febbraio: potrà la banca centrale greca approfittare del programma dell’ELA, ossia le “linee di credito d’emergenza” con cui i singoli istituti di credito possono finanziarsi? La mancata applicazione del Memorandum equivale alla perdita della fiducia da parte dei creditori internazionali. Quindi, potenzialmente, potrebbe saltare anche quest’ultima operazione che va avanti da anni.

Evidentemente non è piaciuta la tenacia del neo-eletto Presidente e del Ministro Varoufakis, che coraggiosamente sta cercando di mettere sotto scacco l’ideologia monetarista che ha egemonizzato l’Europa. La Germania, con i suoi falchi in prima fila, ha fatto sapere tramite il suo governatore della banca centrale nazionale Jens Weidmann che non esiste altra regola oltre la stabilità dei prezzi. Di quale rito ha bisogno questo dogma? Della celebrazione del programma di risanamento economico a colpi di tagli, di restrizioni monetarie e smantellamento delle tutele welfaristiche e legate al lavoro. Solo così si possono onorare gli impegni presi con i creditori (“non rubare cose d’altri”). Amen.

L'intenzione di ristrutturare il debito sovrano da parte della Grecia è suonata come una minaccia nei 40 piani dell'EuroTower. Draghi, raccogliendo le indicazioni del ministro dell’economia tedesco, il falco Schauble, ha guidato la BCE ad un attacco che ribadisce la costituzione materiale dell’Europa. Nelle parole di Weidmann pronunciate a Venezia ieri [5/02] si può leggere che un programma di aiuti monetari prevede la “cessione di sovranità degli Stati nazionali, specie sul controllo del bilancio e sul diritto d’intervento”; ma che allo stato dell’arte del diritto comunitario e dei Trattati non giova fino in fondo, perché elude la “responsabilità individuale”. In altre parole: o c’è un’unione fiscale vera e formale, per la quale non è possibile che un singolo Stato membro possa fuoriuscire o dirsi non allineato alle politiche del rigore, oppure nel presente dell’Unione gli aiuti della BCE risultano una forma di deresponsabilizzazione. Quasi un’espiazione della colpa. Quella colpa che hanno i debitori e che devono assumersi fino in fondo, soprattutto se fanno scelte anti-austerity.

Sia le dichiarazioni di Weidmann che la decisione di Draghi nei confronti della Grecia, ribadiscono come i processi di finanziarizzazione avvenuti nell’ultimo decennio abbiano moltiplicato le spinte centripete intorno all’asse Berlino-Francoforte. Quali sono allora le possibilità reali di un governo nazionale in questo contesto? Quali, ad esempio, i margini di trattativa che possono aprirsi nelle stanze chiuse di Ecofin ed Eurogruppo?Per individuare i veri nodi delle decisioni che determinano il destino di oltre mezzo miliardo di persone bisogna leggere in controluce la governance ed individuare le modalità attraverso le quali le oligarchie finanziarie esercitano un potere reale. La costituzione materiale prevede che ci siano processi decisionali non dipendenti dal Politico, che lo spazio del mercato finanziario sia un luogo di verità e di autorità tramite le istituzioni fondamentali del continente. L’unità dell’Europa esiste già  ed è priva di democrazia, il processo di inclusione dei vari Paesi è avvenuto in maniera differenziale, per cui in base alla propria “responsabilità individuale” si deve sottostare in un modo più o meno invasivo alle esigenze dei creditori. Si tratta di un’intimidazione a doppio bersaglio: da una parte viene messa all'angolo l’esperienza innovativa di Syriza e la mobilitazione che l’ha generata, dall’altra si mostrano i denti, rafforzando le gerarchie e serrando i rapporti di forza contro qualsiasi tentativo di creare una dissonanza nella monotonia del pensiero unico. BCE, Bundesbank e svariati capi di governo hanno detto a chiare lettere che solo le mani di pochi possono scrivere la storia, e ne hanno ampiamente disegnato i tratti.

Bisogna riscrivere l’Europa con molte e altre mani. Se da un lato c’è chi vuole riesumare i fantasmi degli Stati-nazione, sulla cui mortifera scia rischiano di sbocciare populismi xenofobi vari, dall’altro soffia il vento di un nuovo europeismo rivoluzionario. Questo è incarnato dai movimenti sociali, che devono iintervenire a livello transnazionale per sovvertire la linea del comando politico perché non ci sia soltanto la contestazione del presente, bensì si costruisca in altri termini la cittadinanza europea. La democrazia, la decisione, l’autodeterminazione trovano adesso una capacità di risonanza maggiore: e minando al loro significato odierno, spostato tutto verso l’alto dei mercati e delle istituzioni comunitarie, c’è un nuovo senso con cui riempire questi concetti. Dei concetti che dobbiamo far vivere, dimostrando che c’è un’alternativa all’Unione del Rigore e agli Stati secessionisti, a partire dalla modernità che accomuna l’Europa, cioè che la fondazione del potere politico, e dello sfruttamento, si basa sui soggetti governati. Ebbene, se oggi non siamo più disposti a legittimare col silenzio questa forma di esercizio del potere, la piazza di Francoforte del 18 marzo sarà l'occasione privilegiata per prendere parola e contrastare con forza la tirannia della finanza. Poco importa che l’inaugurazione dell’Eurotower sia stata ridimensionata, e non saranno presenti i vari capi istituzionali. Se hanno paura che irrompa un’ulteriore forza di delegittimazione del loro dominio e della loro azione, allora questa paura è ben fondata: i movimenti non si fanno limitare dagli embarghi monetari di nessuno. L'Unione Europea finora è stato un tentativo di fusione dei mercati e privazione di dempcrazia: è tempo di ribaltare questi termini. Noi vogliamo democrazia senza capitalismo: Atene non è sola!