Un anno fa in Giappone lo tsunami e il disastro nucleare di Fukushima. In migliaia oggi in piazza, raccogliendo l'appello anti-nucleare del Nobel per la letteratura Kenzaburo Oe. Sull'anniversario
l'ombra delle rivelazioni di ieri: il governo Kan e la Tepco sapevano
del meltdown ma ritardarono coscientemente l'evacuazione della
popolazione
Altro che gli antinucleari. A disturbare il giorno della memoria non sono certo i (sempre troppo pochi) cittadini che oggi, raccogliendo l'appello del Nobel per la Letteratura Kenzaburo Oe e qualche altro intellettuale dovrebbero arrivare da tutto l'arcipelago e riempire lo stadio di Koriyama, a pochi chilomteri da Fukushima. Una polemica divenuta nelle ultime ore furiosa con le autorità locali rischia di affossare una iniziativa che comunque, per tutta una serie di motivi (soprattutto logistici) non sembrava essere destinata a cambiare il corso della storia.
Altro che gli antinucleari. A disturbare il giorno della memoria non sono certo i (sempre troppo pochi) cittadini che oggi, raccogliendo l'appello del Nobel per la Letteratura Kenzaburo Oe e qualche altro intellettuale dovrebbero arrivare da tutto l'arcipelago e riempire lo stadio di Koriyama, a pochi chilomteri da Fukushima. Una polemica divenuta nelle ultime ore furiosa con le autorità locali rischia di affossare una iniziativa che comunque, per tutta una serie di motivi (soprattutto logistici) non sembrava essere destinata a cambiare il corso della storia.
Nella storia resteranno invece scolpite le
registrazioni che, proprio alla vigilia dell'anniversario, sono
improvvisamente saltate fuori e che la stampa, normalmente pudica o
quanto meno lenta nel pubblicare materiale imbarazzante per le autorità
(ma in questo caso è il governo democratico a perderci la faccia, un
governo che la stampa non ha mai gradito più di tanto) ha sparato in
prima pagina. «Pare ci sia stato il meltdown» sostiene un ministro.
«Beh, è evidente» (y appari) , commenta un altro. Due ministri, mica due
portaborse. Quello degli interni, Matsumoto, e quello dell'industria e
dell'economia, Kaieda. Questo il 12, subito dopo la prima esplosione
nella centrale. Il governo è riunito in in consiglio di emergenza. Il
ministro del terrritorio, Genba (attualmente agli Esteri) sostiene la
necessità di ordinare l'evacuazione fino a 30 chilometri, ma è lo stesso
Naoto Kan, l'allora premier, a frenare. «No, per ora ne bastano 20. Non
creiamo il panico».
Le pubbliche relazioni della Tepco
Forse era proprio a queste parole, a quelle
ore - cui seguirono, nei giorni scorsi, altri episodi scabrosi come la
consegna delle simulazioni «Speedy» agli Stati Uniti, ma non la loro
pubblicazione in Giappone, che avrebbe probabilmente facilitato
l'evacuazione ed evitato a migliaia di persone la contaminazione - che
Naoto Kan, nel corso dell'intervista che ho realizzato in esclusiva per
Sky Tg24 (sarà trasmessa oggi) si riferiva, quando ha risposto alla mia
ultima domanda. «Ha mai mentito, sapendo di mentire, al suo popolo?». La
sua risposta era stata sibillina, inadeguata e sospetta per chi ha
fatto dell'onestà personale, della trasparenza e dell'impegno a
riconoscere sempre il sacrosanto diritto dei cittadini ad essere
informati i principi della carriera politica. «No, non ho mentito
sapendo di mentire. Ma a volte sapevo cose che ho deciso di non rendere
pubbliche». E questo è un governo «democratico», signori. Che ricorda lo
stile Chernobyl.
Ma sarà che è il nucleare, questa maledetta
lobby fondata sull'inganno ed il profitto, che avvelena non solo aria
terra e mare, ma anche le relazioni umane? Ci sarà pure un motivo per
cui la Tepco, la società che per essere nazionalizzata per evitarle il
fallimento (scaricando quindi sui cittadini lo «tsunami» dei
risarcimenti) ha un budget per le pubbliche relazioni quasi il doppio
della Toyota? E mica deve vendere al dettaglio, almeno fino a quando non
si inventeranno le centrali portatili da giardino. Deve ingannare,
corrompere, zittire.
A questo punto, ahimè, tutto quadra. Quello
che il popolo della rete, l'esercito dei twitter aveva da subito
paventato, facendo rimbalzare i commenti dei «tecnici» che sostenevano
l'ineluttabilità del meltdown, era vero. E come lo sapevano i tecnici,
spesso a migliaia di chilometri di distanza, come lo sapevano i
dirigenti della Tepco, così lo sapeva, fin dall'inizio, il governo del
Giappone. Un governo il cui portavoce Yukio Edano, oggi ministro
dell'economia, ha continuato a mentire, spudoratamente, almeno quattro
volte al giorno, fino a maggio, ogniqualvolta si presentava,
apparentemente disponibile e palesemente affaticato, in sala stampa, per
rassicurare il mondo e ingannare il suo popolo.
La capitale scampata allo tsunami
Forse oggi non è la giornata giusta, forse
oggi la retorica della commemorazione - con Sua Maestà (giustificata da
una recente operazione) ed il premier Noda che non si muovono però da
Tokyo, città tutto sommato scampata alla catastrofe dello tsunami e
(forse) all'incidente nucleare - deve giustamente prevalere sulla
vergogna delle menzogne e della sciatteria con la quale, giorno dopo
giorno, sembra che il governo della terza economia mondiale abbia
gestito la più grave emergenza dal dopoguerra. Tutto il paese oggi,
osserverà un minuto di silenzio alle 14:46. Si fermeranno perfino i
treni, almeno quelli locali. Le ventimila vittime, di cui 3 mila ancora
introvabili - e i giapponesi non trovano pace fin quando non trovano i
resti dei propri cari defunti - verranno ricordate in una grande
manifestazione nazionale a Tokyo ed in centinaia di altre manifestazioni
locali. Cerimonie semplici, spesso commoventi, che non si conciliano
con l'indignazione civile e la mobilitazione politica.
Un errore dunque, decisamente, quello di
«Sayonara Genpatsu» (Addio Nucleare), un movimento lanciato dal Nobel
Kenzaburo Oe ed alcuni altri intellettuali (pochi, per la verità,
nemmeno un incidente come quello di Fukushima ed il profondo disagio
sociale che sta provocando è bastato a «risvegliare» l'impegno civile di
intellettuali e artisti) che non è però riuscito a unificare il
«movimento» e che ha convocato una manifestazione «nazionale» nello
stadio di baseball di Koriyama. Il target iniziale era di 100 mila
persone, poi sceso a 50 mila. Alla vigilia, gli organizzatori sperano
arrivino in 20 mila. Le polemiche, pesanti, delle ultime ore rischiano
di far calare ancora le adesioni.
E così, anche oggi, le solite manifestazioni
separate, spesso alla stessa ora, vecchio, odioso rituale degli anni
'70, quando il «movimento», uno dei più forti ed organizzato al mondo,
cominciò. Come a Tokyo, dove dopo il solito, liturgico, rumoroso quanto
innocuo passaggio davanti alla sede della Tepco, ci sarà un raduno nel
parco Hibiya e una sorta di «girotondo» (questa sì, una novità che pare
preoccupi un po' la polizia) attorno a Nagatacho, il quartiere del
potere che comprende anche il Parlamento e la residenza del primo
ministro. Altra novità - abbastanza incomprensibile in un momento dove
la voce della gente dovrebbe essere bella forte ed udibile - è la
manifestazione «silenziosa» organizzata nel quartiere più rumoroso e
disturbato dalla cacofonia commerciale di Shibuya.
Ritorno a Minamisoma
Un anno dopo la tripla catastrofe dell'11
marzo, il Giappone è spaccato in due. Da un lato il nord, che mafia
permettendo ( le macerie sono state fatte sparire dalle strade, ma sono
state ammassate in luoghi nascosti da dove non si muovono senza il
permesso della yakuza, che pretende di organizzarne la
«redistribuzione») sta pian piano risollevandosi e sembra bene avviato
verso un serio - anche se lento - dibattito su tempi, modi e soprattutto
«filosofia» della ricostruzione. Dall'altro Fukushima e i suoi
disperati, indignati (non abbastanza) e, più di quanto le autorità
abbiano il coraggio di ammettere e meno di quanto alcune organizzazioni
cone Greenpeace paventano, «contaminati» cittadini. A Fukushima città
(60 chilomteri dalla centrale) la vita, in superficie, sembra scorrere
normale, con supermercati e ristoranti pieni, susherie comprese. Ne
hanno aperto una, nuova di zecca, modello «drive in» vicino al casello
dell'autostrada. Passi con la macchina, ordini, e ritiri i sushi pochi
metri avanti. Chiedi da dove viene il pesce, visto che per legge deve
essere tracciabile e ti guardano strano, come se li insultassi. Poi ti
fanno vedere una etichetta: «Oceano Pacifico». Fantastico.
Poi però ti accorgi che c'è qualcosa di
strano. Ecco. Mancano i bambini. Sono spariti. L'Orco Tepco li ha fatti
scappare tutti. Migliaia di famiglie sono emigrate «volontariamente»,
spesso provocando e sopportando dolorose tensioni con i mariti, altre,
obbligate a restare tengono i bambini chiusi in casa ed ingaggiano
battaglie quotidiane con le autorità scolastiche, che rifiutano la
trasparenza sulla provenienza dei pasti e fanno pressione (in Giappone
sanno come farla, a volte è umanamente impossibile sottrarvisi) sulle
mamme affinché evitino di prepare il bento , il pasto personale, ai loro
bambini. «Li fate sentire diversi», dicono. Le mamme, che ovviamente
vivono nel terrore che un prodotto da loro acquistato possa un giorno
provocare una grave malattia ai loro figli, fanno quello che possono per
acquistare prodotti sicuri. E si organizzano per scambiarsi ortaggi ,
frutta e uova come fossero contrabbandieri o spacciatori. Organizzando
«riunioni» settimanali a domicilio e passandosi la voce via facebook o
twitter. Ma quanto possono durare? È vita, questa?
Le autorità dicono che, ad oggi, l'incidente
nucleare ha provocato solo una vittima ufficiale, un operaio
precipitato da un traliccio. Ma nella sola regione di Fukushima ci sono
stati oltre 1300 decessi per varie ragioni, legate comunque allo stress.
Per non parlare dei suicidi. Una trentina, ma potrebbero essere di più.
Se le autorità non trovano un testamento, una «nota», in genere evitano
di catalogare un decesso come suicidio. A volte succede però il
contrario. Lo scorso 30 giugno un certo Satoru Kabayama, consigliere
circoscrizionale di un piccolo muncipio di Tokyo, è stato trovato morto,
asfissiato da una biusta di plastica, in un parco. Lo stesso dove,
qualche giorno prima aveva rilevato una dose di radioattività non certo
preoccupante, specie per Tokyo, 0,25 microsievert l'ora, dato che aveva
minuziosamente riportato sul suo blog. Perché mai avrebbe dovuto
suicidarsi? E perché mai una notizia del genere dovrebbe essere sparata
in prima pagina, su quasi tutti i grandi giornali nazionali?
«L'ennesima prova che è l'intero Paese ad
avere subito il metdown», commenta Katsunobu Sakurai, il sindaco di
Minamisoma che l'anno scorso, dopo aver ascoltato il suo appello su You
Tube eravamo venuti a trovare. «Non riusciamo più a riprendere il filo
delle priorità, a progettare, decidere, eseguire. Qui tutto il paese sta
andando a catafascio, la gente sta perdendo la fiducia nelle
istituzioni, e questo non era mai successo prima d'ora». L'atomo ha
distrutto il crisantemo, insomma. Sakurai oramai è una celebrità, Time Magazine l'ha inserito nella lista dei 100 comunicatori più importanti al mondo e un sondaggio del quotidiano Mainichi
lo indica come uno dei sindaci più popolari del Giappone. Oramai è
difficile incontrarlo, è sempre in giro per il paese, chiamato a tenere
conferenze o impegnato a ricevere ospiti. Stavolta lo troviamo tutto in
ghingheri, dopo di noi aspetta un ospite importante, l'ambasciatore Usa,
John Roos. «Non so cosa voglia e perché abbia chiesto di vedermi, ma io
ricevo tutti. Magari mi dà qualche informazione riservata, qui sanno
tutti più di quanto sappiamo noi cittadini». Provo a cercare, nel
salotto, la foto di Berlinguer che l'anno scorso trionfava tra due
trofei di maratone vinte. È sparita.
Tratto da Il Manifesto 11 marzo 2012
Tratto da Il Manifesto 11 marzo 2012