Autoreferenzialità VS Alternativa

21 / 10 / 2011

Parto da una sostanziale premessa: il 15 ottobre a Roma non c'ero.

Una mancanza non derivata dalla volontà di non esserci o una non condivisione dell'appello, ma da una misura cautelare che mi costringe, da oltre cinque mesi, a sottoscrivere quotidianamente “autografi”, insieme ad altri cinque attivisti, presso la questura di Padova.

Misura concessa a chi, l'anno scorso, gridava con forza già la sua “indignazione”, insieme a quella di migliaia di altri studenti, contro i tagli alla formazione e l'idea che la crisi venga pagata sempre dalle fasce più deboli e non da chi l'ha generata.

Perciò, ho assistito alla manifestazione tramite la rete, con emozioni che si alternavano tra l'ansia di sapere quanto il duro lavoro di questi mesi avesse pagato in termini di partecipazione e la preoccupazione per l'incolumità dei miei compagni, quando iniziavano a circolare le prime voci di scontri ed arresti.

Le notizie che circolavano sui media nazionali, ovviamente, non permettevano di avere un quadro chiaro di ciò che stava succedendo, con La Repubblicache già alle 14 di pomeriggio evocava la presenza di black block (evidentemente nella loro redazione hanno assunto Nostradamus), salvo poi sbizzarrirsi, diffondendo le più disparate notizie, come infiltrati dell'area anarco-insurrezionalista tra cui il centro sociale Pedro (con sommo stupore del sottoscritto che ne è un membro da un anno e mezzo e non si era accorto di nulla!) e degli ambienti neofascisti come la “R.a.s.h.” (acronimo, invece, di Red & Anarchist Skinheads!).

Solamente dopo avendo condiviso con i miei compagni tornati dalla manifestazione ciò che era successo a Roma è stato possibile avere per me un quadro più chiaro degli avvenimenti che, purtroppo, fanno meno sorridere delle baggianate che scrive La Repubblica.

E' palese che un gruppo, in maniera del tutto non condivisa, ha deciso di mandare all'aria quelli che erano gli obiettivi del corteo, che doveva rappresentare l'inizio di un percorso che si pone la costruzione di un'alternativa che, in questo paese, dice basta alle politiche del governo e della finanza europea, così come alle false ricette di un altrettanto falsa opposizione.

Un gruppo che, evidentemente, ritiene che l'incendio di una Opel Corsa e di un negozio di bengalesi reo unicamente di chiamarsi “Elitè” , siano atti più radicali dell'aver portato a sfilare 400mila persone in maniera totalmente autorganizzata e senza il supporto dei media, o che aver fatto perdere tre dita ad una manifestante di mezza età sia più “eversivo” rispetto ad una conclusione di un corteo che prevedeva la presa di parola delle varie realtà che avevano aderito all'appello del 15.

Tutto questo, purtroppo, in nome di una logica che tramuta la politica in mera estetica e auto referenzialità.

Qualcuno l'ha definita una logica da “ultras” ma, avendo frequentato per anni l'ambiente delle curve, ricordo che persino nelle “scaramucce” tra tifoserie avverse ci si poneva un problema di etica, di come far si che tali avvenimenti non andassero a scapito di chi non c'entrava nulla con quel contesto. La cosiddetta “mentalità ultras”, che, purtroppo, più di qualcuno negli ambiti delle tifoserie ha lasciato per strada e il risultato è stata una criminalizzazione ferocissima, che ha portato a Daspo, arresti con flagranza differita di 48 ore e stadi militarizzati. Guarda caso, la stessa ricetta che Maroni vuole spostare nelle piazze.

Ma è più probabile che qualcuno abbia deciso di dar vita a queste “pratiche” suggestionato da ciò che succede nelle piazze ateniesi da alcuni anni e il motto “Grecia ovunque” rivendicato da questo gruppo darebbe più di qualche conferma in proposito.

Ma, evidentemente, chi ritiene che l'Italia debba imitare la Grecia solo perché affascinato dai cruenti scontri ellenici, non sa che si tratta di un paese dove il 50% dei giovani è disoccupato, dilaniato da scioperi generali causati dalle politiche governative che, per poter accedere agli aiuti della BCE e del FMI, sono costretti a lasciare a casa trentamila statali e tagliare del 60% lo stipendio ai rimanenti.

Insomma, chi a Roma evocava lo scenario greco, evidentemente, aveva più a cuore la possibilità di ritagliarsi e caricare sul proprio profilo facebook la foto di se stesso che impugnava una molotov che cercare di evitare che l'Italia cada nel baratro del collasso finanziario più completo.

Purtroppo, ciò che è successo a Roma, non evidenzia solo una diametrale differenza tra segmenti del movimento per ciò che riguarda le pratiche da mettere in atto nei vari contesti, ma segna anche un pesante passo indietro nella discussione delle stesse presso l'opinione pubblica.

Si registra, infatti, un problematico arretramento sulla dicotomia “violenza-non violenza”.

In futuro, infatti, sarà arduo per chiunque spiegare come il casco portato come strumento di autodifesa e tutela non potrà essere paragonato a colui che lo usa per demolire un minimarket, così come sarà difficile diversificare tra avvenimenti come la splendida resistenza di p.zza del Popolo dello scorso 14 dicembre o quella in Val di Susa a luglio con i “riots” di Viale Cavour.

Un problema non da poco, in una fase in cui “l'autunno caldo” è appena iniziato e la strada per costruire l'alternativa è ancora un cantiere aperto.

Una cosa è certa: con quella dell' autoreferenzialità non dovrà più incrociarsi.