Oltre Genova Pride

Biopotere, o del controllo dei corpi

29 / 6 / 2009

Il 27 giugno la città di Genova è stata attraversata da un evento importante e di massa come il GayPride. Una città, quella di Genova, con una lunga tradizione di laicità e di apertura ai movimenti, prima di tutto quello operaio che per anni ne è stato componente fondamentale. Una città però assai conservatrice per quel che attiene ai “costumi” e la cultura diffusa - anche nella sua componente operaia e progressista - e che ha espresso sempre, con rare eccezioni, un personale ecclesiastico fortemente conservatore che ha negli ultimi anni - se non ispirato - certamente accompagnato da protagonista la "svolta a destra" del Vaticano. Questa svolta a destra in senso conservatore-autoritario non riguarda solo la Chiesa ma più in generale la società italiana e, come vediamo, europea. Il gay pride 2009 si è svolto dunque in questo contesto.

L'ordine simbolico e quello materiale.

Il primo punto che vogliamo sottolineare è la condivisione delle istanze che il movimento LGBTQI pone: vogliamo proporre, partendo da esse, alcuni spunti di dibattito. Non possiamo non avvertire una distanza tra queste istanze e il carattere ormai spettacolare-commerciale del Pride. Molti critici del Gay pride, ad esempio, sottolineano che la forma scelta - il Pride appunto - non sia, o non sia più, quella adeguata. Ora, il Pride è in qualche modo assimilabile alla funzione un tempo assolta dal carnevale, cioè di un momento in cui - per quanto in modo festoso - si allude simbolicamente alla sovversione delle regole di una società e del potere costituito. Il problema del carnevale è che la sovversione risulta temporanea e dunque, una volta terminato, tutto rientra nella "normalità". L'ordine costituito si ricostituisce.

Proprio per il contesto politico e culturale cui facevamo poc'anzi riferimento sappiamo che l'autorappresentazione, cioè la possibilità di affermare la propria esistenza al cospetto della società tutta - compresa, spesso, la propria famiglia di origine - è un valore in sé. Si tratta certo di una affermazione di diversità, o se vogliamo di dignità, il che è un punto di partenza irrinunciabile per qualsiasi movimento di liberazione.

La questione di genere non è bipartizan.

Ma una politica emancipatoria, anche nell’epoca cosiddetta “post-moderna”, non può essere scissa dalla storia dei movimenti di liberazione. Questi movimenti sono stati più volte espressioni di minoranze che però avevano una visione globale dei problemi che esse sollevavano. Le prime manifestazioni omosessuali in Italia risalgono agli anni ’70: esse avevano una connotazione marcatamente politica e chiaramente di sinistra, poiché la rivendicazione della propria esistenza era ritenuta inseparabile dalle contraddizioni della società. La "minoranza" acquista così il suo peso politico come motore di trasformazione: altrimenti anziché autonomia si genera auto-ghettizzazione, come in una sorta di specchio narcisistico.

Il limite che viene spesso evidenziato è insomma quella di limitare la propria esistenza come movimento alla creazione di questi eventi che però appaiono ormai scollegati dalla quotidianità e che progressivamente vedono fortemente attenuato il loro carattere rivendicativo. L'impressione è che da una parte il fallimento dei governi di centrosinistra sul versante (anche) dei diritti civili, dall'altra la sensazione, illusoria, di essere vicini al raggiungimento di obiettivi per quanto minimi o parziali, spinga il movimento a considerarsi e ad apparire sempre più apolitico.

Riteniamo questo un errore prospettico gigantesco. Sia chiaro, abbiamo netta la percezione dell'importanza dell'ottenimento di risultati concreti, perché si tratta della vita di migliaia - milioni - di persone. Sappiamo che alcuni dei provvedimenti contribuirebbero a cambiarne la qualità in modo sostanziale. Tuttavia sono molte le osservazioni che ci sentiamo di fare.

Innanzitutto crediamo sia un limite non fare appieno i conti col quadro politico. Il peso delle componenti clericali nel PD e il carattere clerico-fascista dell'attuale maggioranza sono dati oggettivi. Il fatto che la politica e la società vadano a destra non è scollegato, ad esempio, da episodi di violenza omofoba, razzista e fascista sempre più frequenti. Con buona pace delle "aperture" di Fini, il quale al di là delle sue personali opinioni, in questo contesto - e non in altri - è divenuto presidente della Camera.

Sono dati politici e, visto che ogni movimento che rivendica diritti è in sé politico, occorre che lo espliciti. Tanto più se - come è scritto nel cappello introduttivo al Manifesto del Pride '09 - non si vogliono separare i diritti di genere da quelli sociali e del lavoro, dei migranti etc.: il movimento LGBTQI è quindi per sua natura incompatibile con orientamenti razzisti, liberisti, clericali. Ma se non sono separabili le forme di oppressione, non lo sono nemmeno quelle di emancipazione.

Biopotere, o del controllo dei corpi.

Pensiamo che la questione "gay", senza negarne la specificità, oggi possa e debba essere intrecciata con altre e ricondotta ad un tema più generale e squisitamente politico, la cui importanza è strategica proprio in questo periodo, vale a dire il tema del corpo.

Viviamo nel tempo della massima esposizione del corpo, della sua centralità nell'immaginario, della sua spettacolarizzazione. Viviamo nel tempo della tendenza all'omologazione dei corpi secondo cliché veicolati dai media, viviamo nel terrore di invecchiare e morire. Il sistema capitalistico ha così inaugurato da tempo una nuova e assai redditizia branca di produzione: la produzione dei corpi. A questa illusione di potenza, a questa mistificazione, fa da contraltare la schiavitù più miserevole. Il corpo è oggi luogo e oggetto del potere.

Siamo immersi in una realtà che definiamo biopolitica, vale a dire che l’obiettivo del potere, oggi, è il controllo della vita stessa. Sotto questo profilo non è possibile distinguere tra minoranze e maggioranza, poiché sotto attacco sono i diritti di tutti. Non si ha a che fare solo con repressione e disciplina  del corpo ma anche, e forse ancor più, con il suo controllo (strumento apparentemente più "liberale" ma in realtà più sottile e pervasivo). E' sotto attacco il diritto del corpo di attraversare i Paesi e le frontiere, di attraversare i generi, di curarsi se si è stranieri. E' sotto attacco persino il diritto a morire secondo le proprie volontà. E' sotto attacco – non solo da parte del “Potere” ma anche da parte maschile, e le due sfere di fatto coincidono – il corpo della donna e la sua capacità di autodeterminarsi. Allora crediamo che sia possibile e necessario per tutti e tutte parlare di libertà dei corpi, per interrogarci su questa dimensione politica.

Percorsi di liberazione.

Rispetto al quadro ora delineato, si pone inevitabilmente la questione dell'adeguatezza o meno - prima di tutto culturale - dei soggetti della trasformazione. Vogliamo dunque sollevare alcuni nodi su cui riteniamo utile e necessario un dibattito ampio, poiché riguardano le prospettive di fondo dei movimenti sociali.

Il primo è quello della dicotomia assimilazione/liberazione, che non sembra essere così presente a gran parte del movimento lgbtqi, a cominciare dagli organizzatori del Pride. Vi è invece una differenza netta tra liberazione (scaturente da una dinamica antagonista) e assimilazione (negazione del proprio percorso politico), che è poi la differenza tra "il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" e i movimenti sedicenti apolitici (che in realtà svolgono una funzione precisa, quella del mantenere lo status quo politico-istituzionale).

Un movimento può definirsi di liberazione se mette all'ordine del giorno la trasformazione della società o di alcuni suoi istituti. E' un movimento invece di assimilazione-integrazione quello che richiede l'eguaglianza giuridica dei cittadini di fronte alla legge (di fronte cioè al già esistente) e l'inclusione dentro istituti socioculturali dominanti. Ad esempio, c'è un abisso tra il rivendicare il diritto al matrimonio e mettere in discussione l'istituto del matrimonio. Un movimento di liberazione, ci verrebbe da dire, dovrebbe rivendicare il diritto di non sposarsi, più che di potersi sposare. Dovrebbe cioè in prima istanza rivendicare il diritto di non doversi unire in matrimonio per poter ottenere gli stessi diritti.

Pensiamo, per la stessa ragione, che non si sia affatto compiuta l'emancipazione della donna attraverso la sua assimilazione di modelli maschili, ad esempio col riconoscimento di un ruolo nell'Esercito professionale. Pensiamo che la liberazione della donna si compierà quando verrà messo radicalmente in discussione l'esercito e con esso il paradigma - maschile - della guerra.

Decostruire l'identità.

Altro punto fondamentale è quello del rapporto tra identità e liberazione. Abbiamo detto prima che l'affermazione di sé è un passaggio importante, specie se le proprie caratteristiche, i propri tratti di appartenenza vengono stigmatizzati dalla comunità in cui si vive. Ma se si ferma su quella soglia, l’affermazione di sé, ossia la rivendicazione identitaria di una "minoranza",  può diventare addirittura controproducente, reazionaria.

Su questo termine - minoranza - che abbiamo utilizzato per comodità e un po’ impropriamente , facciamo qui un inciso: parlare di minoranze da un punto di vista sessuale ha senso - eventualmente - solo dal punto di vista della percezione soggettiva, non della condizione oggettiva. Proprio perché come vedremo, l’identità sessuale non è una condizione data, i confini omo-etero sono assai sfumati e quella omo è una condizione che non riguarda solo alcuni soggetti specifici ma, in maniera diversa e graduale, potenzialmente tutti noi.

L'orientamento sessuale, che non può essere incasellato nelle categorie omo-etero, varia in maniera multiforme, quasi da soggetto a soggetto in un'infinita gamma cromatica. Non solo, esso non è un concetto statico, ma dinamico poiché varia nel tempo, addirittura più volte nell'arco di una vita. Stupisce quindi l’esigenza da parte del movimento LGBTQI di darsi, a partire dall’acronimo stesso, definizioni sempre più numerose e restrittive, tese a definire ma anche inevitabilmente a incasellare le presunte identità. Le definizioni in realtà sono infinite perché molteplice, rizomatica direbbe Deleuze, è la vita stessa, l’esistenza di ognuno e ognuna di noi.

Egualmente il genere si compone di elementi biologici, psichici, culturali. Proprio perché non è afferrabile, esso mette in discussione l'identità, appunto. Come il nomadismo e l'ebraismo mettevano in discussione lo stato-nazione (che risponde ad una pulsione identitaria) e per questo sono stati repressi dai fascismi.

Ciò ci induce a riflettere sul fatto che l'obiettivo ultimo dei movimenti di liberazione sia proprio la decostruzione del concetto di identità. Se dovessimo tradurre in uno slogan diremmo: Liberazione contro Identità.

Per concludere, ciò che ci preme qui sottolineare è che la liberazione dei soggetti mette sempre in causa la trasformazione della società, altrimenti  essa non può compiersi. Diversamente, si hanno solo minoranze che divengono maggioranze a spese di altri.

L'emancipazione umana, spiegava già Marx, sta oltre l'emancipazione politica. L'emancipazione politica si compie nel Diritto, con il riconoscimento fattuale della diversità attraverso l'uguaglianza formale. L'emancipazione umana si compie nella eguaglianza sostanziale, in un progetto di liberazione collettiva. Noi lo chiamiamo comunismo.

Piccola bibliografia:

- K. Marx, Deutsch-Französische Jahrbücher, (Annali Franco-Tedeschi), 1843;

- Alfred Kinsey, Sexual Behaviour in the Human Male (Il comportamento sessuale dell'uomo; 1948) e Sexual Behaviour in the     Human Female (Il comportamento sessuale della donna; 1953);

- Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, Einaudi 1977;

- G. Deleuze e F. Guattari, Capitalismo e schizofrenia, 1972-1980;

- M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, 2005;

- M. Foucault, Nascita della biopolitica, Feltrinelli, 2005;