Brexit – Il ritorno del Leviatano?

25 / 6 / 2016

Ci siamo ripresi dalla doccia fredda della Brexit? Bene, perché è necessario essere lucidi e non dare letture affrettate rispetto alla storicità dell’esito referendario di venerdì mattina.

E’ la prima volta che viene votata la permanenza di uno Stato membro (seppur in forma particolare) nell’Unione Europea dalla sua fondazione, tanto più attraverso l’espressione popolare diretta. Nondimeno è la primissima occasione in cui un Paese sceglie di restare fuori dall’Unione a livello strategico dal punto di vista economico, politico e sociale. Per comprendere bene le implicazioni di questo voto, credo che abbiamo bisogno di fare alcune premesse e di guardare alla genealogia dell’indizione referendaria.

Partiamo da un dato: il referendum è stato convocato dall’alto. Se da una parte l’intuizione di Cameron ha rilevato un andamento reale dell’opinione pubblica inglese, dall'altra non è stato chiamato da una spinta auto-organizzata, da comitati promotori che si sono costituiti al di fuori dei partiti classici. Può sembrare un' inezia analitica, visto che il referendum ha comunque polarizzato completamente la società e ha registrato una forte affluenza al voto; ma sta, invece, al cuore della questione se prendiamo in considerazione il quadro di compatibilità entro il quale Cameron ha deciso di lanciarlo. Annunciata durante la campagna elettorale per il governo nazionale, la consultazione popolare aveva inizialmente lo scopo di sottrarre voti dal bacino di consenso dell’Ukip e di costruire con forza il peso specifico dell’Inghilterra nelle contrattazione con le istituzioni europee nei confronti di alcune norme comunitarie, relativamente in primo luogo alle prestazioni del welfare inglese. Una volta ottenuto l’accordo con Bruxelles, che sanciva una moratoria di sette anni su tali prestazioni, Cameron ha pensato di abbandonare lo strumento della sovranità con il quale ha giocato in campagna elettorale e contro i suoi interlocutori europei, parteggiando quindi per la fazione del Remain. In generale, ciò che ha pensato il primo ministro inglese non è di difficile interpretazione: ha sempre voluto attenuare la spinta destrorsa indipendentista cavalcandone le rivendicazioni contro i soprusi europei ed ergendosi a salvatore della nazione, oltre che a risolutore dell’austerità. Il patto ottenuto con Juncker, Tusk e Merkel doveva infatti funzionare da dispositivo tramite cui annunciare la fine dell’austerità proprio perché non ci sarebbe più state, in quest’ottica, elargizioni della ricchezza anglosassone agli stranieri (soprattutto comunitari). Una promessa molto difficile da mantenere senza rivedere radicalmente le politiche economiche e sociali, viste le profonde diseguaglianze maturate negli ultimi anni nel Regno Unito che poco hanno a che fare con la presenza dei migranti, frequentemente sfruttati proprio dai datori di lavoro inglesi. Anche nel caso in cui avesse vinto l’opzione per la permanenza, comunque non sarebbe cambiato niente nella vita dei cittadini e non del Regno Unito e Cameron avrebbe ottenuto una sorta di conferma popolare del suo operato. Ecco svelati il quadro di compatibilità e l’indizione dall’alto.

Un atteggiamento non insolito tra i neoliberali, quello di provare a stuzzicare la sovranità statuale contro le migrazioni e le imposizioni della governance continentale. Come non è insolito l’effetto di backfire che ne provoca l’uso: l’Austria ne ha saputo qualcosa all'incirca un mese fa durante le sue elezioni. Come ho scritto altrove, “chi di sovranità ferisce, di sovranità perisce”. Cameron lo sapeva bene ma non ha potuto far niente per invertire la rotta ormai avviata, ed è stato conseguente a questo rischio quando ha annunciato le sue future dimissioni.

Passiamo adesso alle due fazioni che si sono scontrate prima del 23 giugno. Attorno al Remain (o Bremain) si sono condensati i liberali, buona parte dei conservatori, i laburisti e moltissime personalità del mondo della cultura e dello spettacolo. Il Leave, corrispondente alla Brexit, ha invece radunato un agglomerato di gruppi dell’estrema destra xenofoba, i nazionalisti dell’Ukip ed i conservatori. La polarizzazione della società sulle due alternative si è molto sentita nei mesi scorsi a causa dei riferimenti comunicativi e dei temi su cui si è giocato il referendum a partire proprio da ciò che aveva in mente Cameron. La migrazione è stata il fulcro del dibattito pubblico. Certo, l’austerità, il costante aumento dei costi dei diritti sociali con i successivi restringimenti al loro accesso, sono tutti fattori che hanno sedimentato una distanza ed una rabbia verso quel mercato unico e quell'apparato istituzionale che chiede continuamente soldi al Regno Unito. Ma se guardiamo più nel dettaglio, ci accorgiamo che questo contorno ha innestato una antagonismo orizzontale all'interno della classe povera condito da sentimenti nazionalisti e desideri di rivalsa. E’ giusto ricordare qui che l’integrazione stessa della Gran Bretagna nell'Unione Europea non è mai avvenuta linearmente. Dalla mancata adesione all'unione monetaria e al Fiscal Compact, possibile proprio grazie a questa integrazione differenziale, e l’escamotage formale della non sottoscrizione di Schengen (opt-in) fino alla possibilità di non sottostare ad alcune decisioni prese dal Consiglio europeo (opt-out), il Regno Unito ha sempre fatto parte delle istituzioni della governance occupando una posizione particolare. Il punto dunque non è tanto l’incidenza dell’austerità negli assetti politici, economici e sociali d’oltremanica, visto che storicamente per le élite britanniche lo spazio d’interazione con i mercati finanziari globali non è mai stato determinato dalle scelte della governance europea.

Ne consegue che la campagna referendaria e l’espressione di voto, dunque, sono stati un affondo alla libertà di movimento e di circolazione delle persone, alla distribuzione della ricchezza a tutta la composizione della società che vive, lavora e viene sfruttata nel Regno Unito. Per quanto non aderisse formalmente al Trattato di Schengen, la Gran Bretagna ne ha sempre accettate le implicazioni sulla migrazione interna, in virtù dei tanti risvolti positivi che la mobilità inter-europea ha dato alla propria economia: dove poteva trovare, del resto, forza-lavoro a basso costo? Gli stranieri sono più di tre milioni, in maggioranza provenienti dal Sud (solo a Londra ci sono cinquecentomila italiani) e dall'Est Europa.

Quello che ha mosso gli elettori, in prevalenza la working class, a votare in maggioranza per l’uscita dell’UE è stata proprio una presa a carico del problema della povertà (intesa come limitazione dell’accesso ai diritti sociali e ai servizi) e del rallentamento della crescita, individuandone la sua matrice nella presenza degli immigrati. Una tale prospettiva fa emergere il segno dei rapporti sociali nella maggior parte delle città inglesi, volto nella direzione di un individualismo xenofobo che vuole ripristinare maggiore selezione e controllo delle migrazioni. La soluzione è proprio il ripristino simbolico, materiale e immateriale dei confini, cioè l’abbattimento di uno dei pilastri interni dell’UE e di una delle poche libertà/diritti garantiti dalla cittadinanza europea. Ossia, un ulteriore approfondimento della crisi del Vecchio Continente.

Ora, sappiamo bene che i confini a Dover nei confronti dei migranti rinchiusi a Calais sono sempre esistiti, così come non può sfuggire il fatto che i flussi delle migrazioni interne subissero una selezione basata sulla disponibilità in partenza dei mezzi economici necessari a sopravvivere nelle big cities come Londra. Tutt'altra cosa, però, è la formalizzazione del fatto che questi confini potrebbero ulteriormente intensificarsi e limitare ancor di più – sia per i già-extracomunitari che per i neo-extracomunitari – la libertà di movimento.

Già si parla di diverse strade da intraprendere per avviare il processo di secessione, che comunque da Trattato prevede una durata minima di due anni per tutti gli aggiustamenti del caso. I mercati finanziari vogliono accelerare il tutto, avendo già penalizzato la sterlina e la maggior parte dei titoli più grandi delle principali piazze europee. La triade neo-liberale (Juncker, Merkel e Tusk) si dà tempo prima di prendere una decisione definitiva, ma anche loro non possono rimandare troppo a lungo come vorrebbe Cameron. Ad ogni modo, la conseguenza più probabile, proprio per evitare l’aumento vertiginoso dei tassi di interesse, l’inflazione e la fuga di capitali, sarà la stipulazione di accordi esterni con l’UE o bilaterali con alcuni Paesi da parte del Regno Unito. Un accordo che dovrà garantire la tenuta finanziaria dell’isola, la transazione delle merci e dei capitali, la dislocazione delle imprese. 

Ci saranno dei termini più favorevoli per gli inglesi della working class? Ne dubito fortemente. Chi è sotto pagato e non può permettersi l’università o non ha una casa, resterà tale, solo che vivrà in una società con profonde discriminazioni ed esclusioni. Da vedere, inoltre, se andranno in porto le varie dichiarazioni della Scozia e del Nord dell’Irlanda sulla volontà di lasciare il Regno Unito per annettersi nuovamente all'Unione Europea.

Il ritorno alla sovranità nazionale, del resto, non è mai una via di fuga dal capitalismo: si completa benissimo con questo.  Riabilitare i confini serve per approfondire lo sfruttamento verso una certa composizione di classe e a sottrarre la ricchezza dal basso, ma mai significa creare un isolazionismo o un’autarchia economica indipendente dal mercato continentale e globale. Lo sapeva bene anche Thomas Hobbes, che ha infatti sempre rappresentato il Commonwealth (una parola che nell'edizione inglese è sinonimo di Stato) nella figura del Leviatano, il mostro marino biblico del libro di Giobbe. Non è casuale che il filosofo di Malmesbury non abbia scelto Behemoth, il mostro di terra: l’habitat oceanico del Leviatano si confaceva bene alla potenza marittima e commerciale che era l’Inghilterra del XVII secolo, cioè uno Stato sempre dipendente dallo spazio del mercato che veniva creato dalla relazione con le altre potenze europee e del mondo. Proprio la competizione tra Stati, che è sempre una forma di interdipendenza, dal punto di vista mercantile doveva portare ad un beneficio in termini di profitto al Leviatano, che avrebbe distribuito questa ricchezza in tutto il suo corpo come il sangue fa con le membra e gli organi del corpo. Forse è così che tutti i nazionalisti e le destre estreme, con la maggior parte della cittadinanza inglese, si immaginano di vivere fuori dall'Europa e in competizione con essa. Peccato, però, che l’intero assetto costituzionale e politico del mostro biblico si reggesse già nel Seicento su di un grande principio: il dominio dell’uomo sull'uomo. Cioè, in altre parole, del connazionale ricco su quello povero. Sviluppando l’analogia storica tra i due periodi, la Brexit è ben lungi da rappresentare un espediente per la giustizia sociale e l’eguaglianza.