Caro Presidente Vendola,
siamo i due giuristi che, dopo aver elaborato insieme ad altri colleghi i quesiti per i referendum contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali (referendum n. 1) e contro la possibilità di trarre profitto dal servizio idrico integrato (referendum n. 2), abbiamo patrocinato con successo di fronte alla Corte Costituzionale, il 12 gennaio 2011, la questione della rilevanza costituzionale ed europea dei beni comuni.
Oggi ci troviamo di fronte ad un attacco
senza precedenti ai beni comuni, portato avanti sul piano politico,
giuridico e costituzionale, che cerca di azzerare i risultati fin qui
raggiunti attraverso la battaglia referendaria. Ci permettiamo perciò
di scriverLe in quanto Lei è fra i pochissimi leaders politici
sensibili alla questione dei beni comuni e del necessario ripensamento
del rapporto fra pubblico e privato (vogliamo ricordare Luigi de
Magistris che ha voluto un assessorato specifico ai beni comuni e la
cui giunta sta provvedendo in questi giorni alla ripubblicizzazione del
servizio idrico) a essersi conquistato una posizione istituzionale
tale da poterci consentire l'accesso, in via diretta, alla Corte
Costituzionale. Come ben sa, avendo già sperimentato questa via proprio
a proposito dell'abrogato Decreto Ronchi, nel nostro ordinamento una
Regione, e non il Comune, può impugnare una legge o atto avente forza
di legge di fronte alla Corte Costituzionale entro sessanta giorni
dalla sua entrata in vigore. Abbiamo perciò un po' di tempo, ma
non moltissimo, per preparare una memoria stringente, capace di porre
anche le più alte istituzioni del paese di fronte ai loro ineludibili
obblighi costituzionali.
Le scriviamo questa Lettera aperta anche a
nome delle 5000 persone, amministratori, associazioni e gruppi
politici sensibili alla questione dei beni comuni che in pochi giorni
hanno sottoscritto l'appello che, insieme ad altri giuristi estensori
dei referendum, abbiamo lanciato dalle colonne di questo giornale
(www.siacquapubblica.it) e intendiamo raccogliere le firme durante
tutto l'iter di conversione del Decreto per presentarle infine al
Presidente Napolitano.
A nostro avviso infatti non solo l'art. 4 del
decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011, beffardamente rubricato
"Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum
popolare e alla normativa europea", ma l'intero impianto della
"manovra" di ferragosto è profondamente incostituzionale, violando fra
l'altro prerogative di autonomia degli enti locali, precedenti
decisioni della Corte Costituzionale, nonché lo spirito di quel nuovo
diritto pubblico europeo dell'economia, che faticosamente tenta di
affermarsi. La manovra di ferragosto infatti è testimone del clima da
shock economy che è stato creato in Europa e che sta condizionando la
politica del governo italiano e l'atteggiamento "responsabile" delle
opposizioni. Una complessa rete di poteri forti, economici e finanziari
ha costruito un dispositivo politico e mediatico che fonda su una
presunta improcrastinabile urgenza l'evidente tentativo del
neoliberismo di ristrutturare la propria egemonia che la grande crisi
ha reso progressivamente meno persuasiva. L'esito di questa politica
altro non può essere che un nuovo saccheggio.
In Italia i referendum di giugno e le
vicende elettorali di Milano con Pisapia e di Napoli con de Magistris
hanno inflitto una netta sconfitta al blocco bipartisan che negli
ultimi vent'anni ha portato avanti una politica economica e culturale
del tutto coerente con il dispositivo ideologico neoliberista.
Prodromica alla "primavera italiana" è stata la Sua conferma come
Presidente della Puglia, voluta dal popolo pugliese sconfiggendo
proprio Massimo D'Alema, probabilmente il politico italiano che
maggiormente incarna l'essenza bipartisan del neoliberismo. In sintesi,
tale concezione ci pare essere l'idea che "il privato" sia la
soluzione per ogni problema di organizzazione sociale complessa, il solo
motore che rende possibile sviluppo e "crescita". Questa concezione
produce un susseguirsi di mosse politiche volte a trasferire sempre
nuovi spazi e soprattutto nuove risorse pubbliche al privato, sotto
diverse forme, siano esse liberalizzazioni, privatizzazioni,
dismissioni, grandi appalti, (e naturalmente guerre). Incredibilmente
tale politica reazionaria ha preso il nome di riformismo!
Negli ultimi anni, a livello globale e poi anche locale,
un pensiero ed una narrazione alternativa, di cui Lei è uno dei più
autorevoli esponenti, si è fatto strada dapprima in modo carsico e poi ,
finalmente, con i referendum del giugno scorso, in modo politicamente
maggioritario. Oltre 27 milioni di italiani, la maggioranza assoluta
degli elettori, ha dichiarato inequivocabilmente, tramite uno strumento
complicatissimo quale il referendum abrogativo, ex art. 75
Costituzione, che occorreva "invertire la rotta", che il privato non è
necessariamente "la soluzione" ma molto più sovente "il problema", che
occorre immaginare una ristrutturazione fondativa del settore pubblico,
capace di renderlo aperto, partecipato e in grado di portare avanti
l'interesse pubblico e non soltanto quello privato dei poteri forti che
sempre più spesso controllano le istituzioni di politica
rappresentativa.
La virulenza costituzionale di questo attacco
impressiona e travolge i capisaldi più profondi della nostra
costituzione economica, in primis gli articoli 41 (iniziativa economica
privata), 81 (bilancio) e 53 (progressività della contribuzione
fiscale). Colpisce in particolare la disinvoltura eversiva con cui si
maneggia una materia tanto delicata e fondativa di un ordine giuridico
legittimo quanto quella della gerarchia delle fonti del diritto. La
manovra mette in moto una sorta di processo costituente emergenziale de
facto, che anticipa gli effetti di una riforma costituzionale
destinata a travolgere i soggetti più deboli ed i beni comuni e che
struttura (complice la Lega) un centralismo autoritario che distrugge
il pluralismo politico e costituzionale di cui al Titolo V della nostra
Costituzione, nonché i principii europei della sussidiarietà e della
coesione sociale e territoriale.
Sul piano politico, la retorica della responsabilità
e della condivisione interclasse necessaria per superare la crisi sta
travolgendo i tratti fondativi del nostro ordine democratico e prelude
ad un dopo-Berlusconi segnato dalla discesa in campo di Montezemolo,
portavoce accreditato del modello Marchionne. Siamo convinti che sul
piano del diritto costituzionale vigente non possano essere riproposte
né la privatizzazioneliberalizzazion-e dei servizi pubblici locali né
brutali operazioni di centralizzazione, né provvedimenti lesivi della
dignità delle persone e dei lavoratori quali quelli che conseguono
all'art. 3 del decreto di Ferragosto secondo cui: «In attesa della
revisione dell'art. 41 della Costituzione, comuni, provincie, regioni e
Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della Legge di
conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al
principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono
libere ed è permesso tutto quello che non è espressamente vietato dalla
legge».
Dal punto di vista dell'accettabilità politica,
riteniamo inoltre che non possano essere riproposte dismissioni del
patrimonio pubblico (che può invece rendere molto se ben governato),
ulteriori precarizzazioni e grandi opere inutili o dannose a loro volta
espressamente respinte dal voto popolare a proposito delle centrali
nucleari. Le alternative e le possibilità di risparmio esistono.
Diverse fra queste sono indicate dallo stesso fraseggio costituzionale
nel ripudio della guerra, nella cura del territorio, nell'investimento
sulla ricerca e nella progressività fiscale seria. Sta alla buona
politica, per la quale Lei certamente è un punto di riferimento,
elaborarle meglio nel tempo necessario e metterle in bella copia, senza
cadere nella trappola dell'eccessiva urgenza.
Di fronte allo scempio morale, politico e costituzionale
che il decreto pone in essere è necessaria piuttosto una reazione
forte e seria che va condotta tanto con gli strumenti della politica
quanto con quelli del diritto. Mentre dal primo punto di vista compete a
Lei e agli altri leaders più sensibili a queste istanze proporre
finalmente, in un rinnovato rapporto con i movimenti e con i cittadini,
un'alternativa autentica al blocco bipartisan dominante, dal punto di
vista giuridico e costituzionale siamo consapevoli che compete a noi,
in quanto tecnici portatori della sensibilità e della storia politica
necessaria per configurare istituzionalmente la difesa dei beni comuni,
presentare nuovamente di fronte alla Corte Costituzionale le ragioni
dei 27 milioni di cittadini che vogliono invertire la rotta. Insieme,
nel tempo necessario, politica e diritto possono restituire ad un
rinnovato settore pubblico gli spazi e l'autorevolezza necessari per
governare la crisi. A breve occorre adire le vie costituzionalmente
rimaste aperte sempre che il Presidente Napolitano, accogliendo
l'appello di tanti cittadini, non intenda intervenire in fase di
promulgazione.
Caro Presidente Vendola, noi le abbiamo
scritto per metterci a disposizione, nella nostra veste di avvocati
abilitati al patrocinio di fronte alle supreme giurisdizioni, per
ricevere mandato, naturalmente a titolo assolutamente gratuito, da soli
o insieme ad altri legali di Sua fiducia, a rappresentare la Regione
Puglia (ed incidentalmente la nuova egemonia dei beni comuni) di fronte
alla Consulta in un ricorso diretto di incostituzionalità del Decreto
1382011.
Riceva un saluto cordialissimo.