Caso De Gennaro: una pericolosa impunità di stato

Campagna "Rimuovere i responsabili di Genova!". Un contributo del presidente di Antigone.

23 / 6 / 2010

La piena e incondizionata fiducia da parte dei ministri della Giustizia e degli Interni, Angelino Alfano e Roberto Maroni, nonché dell'intero governo nei confronti di Gianni De Gennaro, condannato a un anno e quattro mesi di carcere da un collegio di giudici genovesi, è un'offerta concreta di impunità. Nelle galere italiane ci sono circa otto mila persone carcerate che, così come Gianni De Gennaro, sono state condannate in appello. Loro, però, stanno aspettando gli esiti finali del processo penale in carcere e non nel pieno del proprio strapagato e prestigioso posto di lavoro. A nessuno di questi otto mila detenuti è stata evidentemente offerta o garantita impunità da due ministri e addirittura da un intero governo.

Visto pertanto che la legge non è uguale per tutti, posto anche che la richiesta di giustizia nei confronti di Gianni De Gennaro non è una richiesta di vendetta, il tema pubblico è quello dell'impunità. Questo è un tema direttamente ereditato dai paesi latino-americani dove l'impunità dei torturatori veniva garantita per legge. Il mancato dimissionamento dell'ex capo della Polizia dal suo attuale incarico di coordinatore dei servizi segreti è appunto un'offerta pubblica di impunità.

Gli effetti pratici sulla comunità democratica sono devastanti: quanti e quali saranno gli alti o bassi funzionari di polizia che, dopo una simile presa di posizione governativa, nel nome di una non meglio definita ragion di Stato o di un pericoloso spirito di corpo, si sentiranno anch'essi legittimati a mentire, a precostituire false testimonianze (vedi quanto accaduto nel caso di Federico Aldrovandi), a usare violenza nei confronti di una persona sottoposta a custodia (vedi il caso di Stefano Cucchi)?

La storia dell'impunità è una storia antica. È una storia classica di diritti umani violati. Un poliziotto condannato da un collegio di giudici per abusi, violenze, maltrattamenti o perché li ha coperti, promossi o pianificati, non può essere lasciato al proprio posto senza che ciò sottintenda una sorta di legittimazione sostanziale e politica per quei comportamenti. Alla faccia dei diritti umani appunto. La fiducia incondizionata del governo nei confronti di Gianni De Gennaro, condannato dalla magistratura e non da associazioni eversive, non per fatti riguardanti la sua vita privata ma per un reato contro l'amministrazione della giustizia, va letta insieme all'altro annuncio del governo, di pochi giorni fa, relativo all'intenzione di non voler introdurre il crimine di tortura nel codice penale italiano.

Sono le due facce della stessa storia: l'eventuale allontanamento di De Gennaro, almeno in via cautelare, dal suo incarico e la eventuale previsione del reato di tortura vengono vissuti e interpretati come una delegittimazione delle funzioni istituzionali dei custodi dell'ordine pubblico. E non, invece come dovrebbe, ossia come una difesa dell'habeas corpus nonché una sacrosanta limitazione al potere pubblico di repressione e custodia. Sino a quando non si puniranno disciplinarmente i colpevoli di abusi di polizia non ci sarà chance per il nostro Stato di essere un vero Stato di diritto.