Centri sociali del Nord-est bloccano raffineria Eni a Porto Marghera.

Sin dalle prime ore del mattino interdetto l'accesso alla raffineria. In coda diversi camion sul viale che conduce all’Eni. La polizia sfonda con un blindato la barriera. Cronaca in aggiornamento

2 / 3 / 2019

"Keep it in the ground", i centri sociali del Nord Est si appropriano di questo slogan internazionale e rilanciano, con un'iniziativa sin dalle prime ore del mattino, bloccando la raffineria Eni di Venezia.

«Contestare Eni significa denunciare un sistema di rapina e devastazione dei territori e delle popolazioni. Questo rappresenta una minaccia per la salute delle persone e un attacco diretto alla sopravvivenza di noi tutti. Essere per la giustizia climatica e per la libertà di movimento significa affermare l’incompatibilità di un sistema produttivo che rende i territori inabitabili e e costringe alle migrazioni», ecco le prime dichiarazioni rilasciate.

Si evince l'esigenza di tenere le fonti fossili là dove sono, sottoterra, al riparo della bramosia di ENI e delle altre compagnie petrolifere, come anche che, affinchè il cambiamento climatico inverta la sua rotta, è necessario cambiare il sistema. Un sistema che, siccome è basato sul petrolio, si presenta come combinazione di estrattivismo e colonialismo, due facce della stessa medaglia.

Ma cos'altro possiamo dire di Eni? Dal dopoguerra in poi la "nostra" multinazionale è presente in Libia, dove, è bene ricordarlo, gli Italiani si sono macchiati di indicibili massacri nei primi decenni del XX° secolo. Non solo non abbiamo mai fatto i conti con il nostro passato in Libia, ma, in nome del profitto, Eni ha attinto agli enormi giacimenti petroliferi della regione. Ha fatto (e continua a fare) affari d'oro con i governi autoritari della Libia, prima con Gheddafi e oggi con chi lo ha sostituito; affari con governi e milizie che hanno in massimo spregio i diritti umani, come provano i terribili lager in cui vengono imprigionate centinaia di migliaia di migranti spinti verso l'Europa.

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«12 anni appena per cambiare il destino dell'umanità. 12 anni per salvare il nostro pianeta, la nostra casa. 12 anni per evitare il punto di non ritorno, il default climatico che consegnerà la terra ad un lento declino verso la non abitabilità da parte dell'uomo».

Dopo meno di un’ora dall’inizio del blocco, l’iniziativa inizia a produrre effetti concreti. Sul viale che conduce all’Eni si è iniziata a formare una coda di camion sopraggiunti per caricare greggio per i distributori della zona. Sono circa una decina al momento i mezzi bloccati, la colonna delle autocisterne sta man mano allungandosi.

«Negli ultimi 50 anni ci sono stati oltre diecimila sversamenti di petrolio nell’area del delta del Niger e in nessuno di questi casi, in nessuno, si è provveduto a una adeguata opera di bonifica ambientale», così denuncia l’avvocato Godwin Ojo che rappresenta la comunità nigeriana degli Ikebiri in una causa civile contro ENI, procedimento avviato dopo uno sversamento di petrolio causato da una falla di un impianto di proprietà della multinazionale italiana. Ojo prosegue: «Le compagnie multinazionali che operano in Nigeria sono spesso coperte da uno status di totale impunità. Agiscono al di sopra delle nostre leggi nazionali: sono praticamente intoccabili» (Fonte: "Environmental Rights Action"). 

È bene non dimenticarsi - si ricorda dal megafono - dei cosiddetti migranti climatici, milioni di persone che vengono spinte verso l'Occidente dalla desertificazione e dalla rapina delle risorse naturali dell'Africa. Ed è impossibile non scorgere il macroscopico intreccio tra il crimine climatico/ambientale di Eni (e delle altre multinazionali estrattive presenti in Africa) e il fenomeno migratorio. Eni è presente in molti paesi africani oltre la Libia, massicci sono i suoi interessi in Congo e Nigeria. Qui si macchia di veri e propri delitti ambientali come il gas flaring, la pratica di bruciare in atmosfera (senza recupero) il gas naturale in eccesso estratto assieme al petrolio, oppure come la produzione di greggio a partire da sabbie bituminose, combustibili tra i più inquinanti al mondo (Fonte: Fondazione Culturale Responsabilità Etica).

Intanto, la protesta continua e alcuni manifestanti salgono sul tetto della palazzina di ingresso della raffineria e imbrattano con vernice la grande insegna che raffigura il cane a sei zampe.

Vengono ripetutamente spiegate le motivazioni dell’iniziativa: «l’Eni rappresenta uno dei paradigmi dello sfruttamento contemporaneo del pianeta. Sono diverse le zone del mondo devastate dalla multinazionale dove la riproduzione biologica della vita non è più possibili. Questo produce migrazioni forzate e contribuisce in maniera inequivocabile nei processi di climate change».

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Il blocco massiccio dura da oltre tre ore e la colonna dei camion fermi all’ingresso dello stabilimento è diventata lunga. Ora sono circa una trentina i mezzi bloccati. Sul posto sono giunte diverse pattuglie della polizia e mezzi blindati. Gli attivisti/e dichiarano che il blocco durerà a oltranza.

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Dopo quattro ore di blocco la polizia fa l'ultimo tentativo per convincere i manifestanti a spostarsi. In seguito all'ennesimo rifiuto, le forze dell'ordine decidono di sgomberare l'area con i blindati e consentire agli oltre trenta camion bloccati di rifornirsi presso la raffineria. In queste ore è rimasta bloccata anche una petroliera dell'Eni in Laguna.

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Attivisti/e salgono su tetto raffineria Eni bloccata