Cesare era uomo ambizioso di potere

De Gennaro nominato presidente di Finmeccanica

8 / 7 / 2013

E’ trascorso un anno da quando la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato le condanne d’appello inflitte ai vertici della Polizia di Stato per il reato di falso, prescrivendo quello relativo alle lesioni, relativamente a quei pochi agenti identificati come responsabili del massacro avvenuto nei locali della scuola Diaz, durante il G8 di Genova 2001.

La Corte spese parole pesanti, nelle motivazioni a seguire, riferendo di “un puro esercizio di violenza, un’operazione militarizzata e condotta in maniera cinica e sadica”, ma suo malgrado partecipò all’operazione di salvaguardia della catena di comando, politica e militare, su cui gravava la responsabilità dell’operazione e della gestione tutta dell’ordine pubblico in quella giornate.

Badando a salvare la testa di Gianni De Gennaro, all’epoca capo della Polizia (fresco di assoluzione in Cassazione per aver istigato al falso l’allora questore di Genova Giuseppe Colucci) pur riconoscendo che sua fu l’esortazione ad eseguire arresti, suo l’input dell’operazione, sua la determinazione all’uso della forza, sua la coordinazione degli eventi e dell’operazione mistificatoria che li seguì: le false armi, la falsa coltellata, le false molotov, i falsi referti sui manifestanti trovati già feriti.

Il muro di omertà eretto attorno alla figura di De Gennaro è servito per più di un decennio a paralizzare ogni possibile implicazione del potere politico, in perfetto stile bipartisan, nelle violenze commesse ai danni dei manifestanti e ha consentito al prefetto di continuare a ricoprire il ruolo di capo della Polizia fino al giugno del 2007.

Dopodiché sappiamo come è andata.

Commissario straordinario per l’emergenza dei rifiuti a Napoli da gennaio a maggio 2008, direttore del Dipartimento per l’Informazione e la Sicurezza (il vertice dei Servizi) da maggio 2008 a maggio 2012, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi Segreti da maggio 2012 ad aprile 2013: una luminosa carriera, come d’altra parte è stato per tutti i suoi colleghi “minori” a vario titolo condannati.

Ora, a distanza di un anno dalla sentenza che ha deposto una pietra tombale sui fatti della Diaz (di Genova, potremmo dire), 65 anni da compiere tra poco, De Gennaro può festeggiare, in un silenzio mediatico pressoché assoluto, con la recentissima nomina a presidente di Finmeccanica.

Se è vero che la politica di questi ultimi vent’anni ci ha abituato a proiezioni lisergiche di ogni tipo, ciò nondimeno due parole vanno spese al riguardo.

Finmeccanica, di cui il Ministero del Tesoro detiene il 30 per cento delle azioni, è l’ultimo superstite di quell’immenso complesso che ricopriva oltre la metà del sistema produttivo nazionale, costituente l’impresa partecipata dalla mano pubblica: le famigerate Partecipazioni Statali.

Si tratta oggi di un colosso pubblico da 70 mila dipendenti e più di 3 miliardi di perdita negli ultimi due esercizi di bilancio. Catastrofi che hanno portato guai giudiziari di una certo spessore agli ultimi due presidenti: Pier Francesco Guarguaglini, rimosso nel dicembre 2012 in quanto indagato dalla procura di Roma per frode fiscale e false fatturazioni e Giuseppe Orsi, arrestato lo scorso febbraio dai magistrati di Busto Arsizio per tangenti internazionali. Circostanze che hanno consegnato tutto il potere gestionale ad Alessandro Pansa, amministratore delegato con deleghe finanziarie.

Fino all’arrivo di De Gennaro.

Quindi: che ci fa uno sbirro, ma soprattutto questo supersbirro, in un ruolo di manager?

Noi che una dozzina di anni fa nelle strade di Genova abbiamo visto il sangue e respirato il gas e resistito alle cariche omicide sappiamo che farà di tutto, meno che il manager così come comunemente lo si intende.

Farà quello che ha sempre fatto da molti anni a questa parte: l’intoccabile uomo di Apparato, che concilia la propria irriducibile ambizione con quella di una classe politica che da destra a sinistra lo ha sempre portato in palmo di mano.

Metterà a frutto il proprio sistema di relazioni - interne e internazionali, affinato dai molti anni ai vertici dell’Intelligence - nelle deleghe alla sicurezza, all’internal audit, ai rapporti istituzionali.

Sfrutterà gli ottimi rapporti con gli Stati Uniti maturati quando, in tempi lontani, si occupava di crimini e “pentimenti”, consolidati in epoca più recente nelle reti internazionali di sicurezza e di repressione.

Entrerà verosimilmente in quella complessa e incerta partita che deve decidere sulle sorti degli F35, contribuendo all’uscita di Finmeccanica da settori ritenuti finanziariamente non più strategici, agevolando la concentrazione sulla produzione di armamenti.

Ma soprattutto De Gennaro metterà a valore quel rapporto con le stanze segrete del Palazzo, costruito in 35 anni, che fa di lui una personalità di Potere più unica che rara: fatta di spregiudicatezza, di mancanza di sudditanza, di relazioni tanto solide quanto poco appariscenti.

Non è un uomo di ambizione che mancava ai vertici di questo colosso pubblico, quella è merce diffusa, non è mai mancata. E’evidentemente il momento di un uomo che sappia coniugare ambizione con solidità sedimentata e comprovata, un professionista dell’occultamento e dell’opacità, dell’uso della forza e di regole non scritte.

Uno sbirro, insomma.

Forte di quella inattaccabilità che dalle giornate di Genova in avanti lo ha reso il massimo protagonista del mantenimento della delega che consegna alle nostre quattro polizie il ruolo di risolutore unico dei conflitti sociali.

Quella che le rende irriconoscibili nell’uso criminale della forza, intoccabili nell’arbitrarietà delle regole di ingaggio, impunite nell’uso delle armi.

Quella che mantiene eternamente chiusa in un cassetto ogni ipotesi di istituzione del reato di tortura, in spregio ad ogni determinazione internazionale, dall’Onu alla Corte di Strasburgo.

Questo, che ci sta molto più a cuore delle strategie di Finmeccanica, è l’argomento di uno degli ultimi incontri pubblici in seno allo Sherwood Festival 2013.