Dopo il G8 ritorna in scena la politica italiana

Che il virus ci salvi!

Da destra a sinistra: il vuoto della politica mentre si prepara la stagnazione

19 / 7 / 2009

Il virus suino, che meraviglia il virus! A settembre teniamo le scuole chiuse per evitare il contagio. Facciamo slittare l’anno accademico. Magari rinviamo la riapertura delle fabbriche, così evitiamo di mettere gli operai in cassa integrazione. E niente manifestazioni e cortei –l’AH1N1 è in agguato. Dopo il miracoloso sottosegretario a rifiuti e terremoti Bertolaso, ecco il promettente sottosegretario alla salute Fazio che entra in scena per risolvere i problemi, mentre papi torna a riposare a villa Certosa atteggiandosi a nonnino proibizionista. E problemi a settembre ce ne saranno, e come. Arriva la riforma dell’Università, che scontenta un po’ anche l’establishment accademico e soprattutto non tocca i già pesanti tagli. Si profilano consistenti aumenti delle rette studentesche e turnover nullo per i docenti. Vengono al pettine i licenziamenti dei precari nella scuola secondaria e il ridimensionamento del tempo pieno nelle elementari. Precipita il rapporto deficit-Pil, che sfora qualsiasi parametro di Maastricht, mentre la disoccupazione formale tende inesorabilmente al 10% (per quella effettiva informarsi nel mezzogiorno e nell’area dei lavori atipici). La crisi è alle spalle, proclama il governo, ma produzione e ordinativi industriali non confermano e le banche non scuciono un euro che è un euro. Sommando il rallentamento del crollo finanziario e le difficoltà di una ripresa della produzione e dell’occupazione si arriva a una conclusione semplice semplice: stagnazione. Ovvero un tipico decorso di crisi, che si caratterizza per una prolungata depressione dopo la prima serie di scosse. Un andamento a L, altro che a V o a U. La tragedia non è la caduta del Pil del 5,5% in un anno, ma la luminosa prospettiva di una crescita dello 0,4% nel 2010, cui si aggiungerebbe lo 0,6% nel 2011 e così via. Insomma 5-6 anni per tornare ai livelli di partenza, con nel frattempo zero possibilità di impiego e di reddito per chi oggi entra nel mercato del lavoro o chi traumaticamente ne è uscito sopra i 50 anni.
Sopra lo scenario reale, ma indissolubilmente intrecciato e operante su di esso, sta lo scenario della politica politicante e della gestione mediatica. Gli spiriti animali di Berlusconi hanno bloccato per il momento le cospirazioni serie e farsesche che si erano addensate sul suo capo alla vigilia del G8. Il prezzo internazionale è stato il maggior impegno italiano in Afghanistan (di cui già gronda il primo sangue), contraccambiato con buone parole da Obama –il vero protagonista del G8 aquilano, di cui il redivivo papi è stato solo il chiassoso sommelier e intrattenitore. Ma la vera cospirazione, che si avvaleva anche dei malumori americani, era quella interna al PdL, mirante a fronteggiare la crisi d’autunno con una soluzione collegiale, coinvolgente l’Udc o estesa fino a un governo di unità nazionale. La cospirazione dei cosiddetti poteri forti (con contributo di una parte dei servizi), cui dava palese sostegno il Corriere della Sera. Cui si aggiungeva la cospirazione burlesca di Repubblica e dell’Unità (i due organi veltroniani), che si illudevano di trarre qualche vantaggio da una campagna scandalistica che avrebbe aperto loro le porte della grande coalizione. L’Udc restava a guardare, tenendosi le mani libere per svolgere un ruolo decisivo nelle varie combinazioni possibili, senza scegliere preventivamente. Anche D’Alema stava in trincea, enfatizzando il pericolo di crolli imminenti per propugnare la tesi di un partito strutturato in grado di prepararsi agli eventi, contro l’ipotesi veltronian-franceschiniana di un partito “liquido”. Ma proprio la frammentazione dell’opposizione e in particolare il tragicomico dissolversi pre-congressuale del Pd ha lasciato tutti a bocca asciutta. La maggioranza di destra non può permettersi al momento un cambio della guardia, un 25 luglio, perché non ci sono né gli Alleati alle porte (dopo la riconciliazione con Obama) né un docile e affidabile interlocutore a sinistra. Come fidarsi della volubile Udc o di un Fassino, prontissimo ad assumersi il carico della repressione dei movimenti (vedi la sfortunata inchiesta Caselli a Torino) e della fedeltà Nato (vedi consenso sull’Afghanistan) ma in sé disperatamente fragile? E allora tutto rinviato a settembre, magari sperando che il virus suino faccia rinviare anche il congresso del Pd.
Il congresso, appunto. Il dato immediato è lo sfacelo dell’organizzazione e il fallimento dell’amalgama costruito da Veltroni con “vocazione maggioritaria”. La vocazione c’era, ma la chiamata non ci fu. Tuttavia qualcosa ne verrà fuori, una volta finite le farse grillesche e i candidati civetta. L’eterogenea coalizione franceschiniana voga verso la disfatta, perdendo i pezzi più significativi (il centro laziale di Bettini, Morassut e Zingaretti). Restano i perdenti seriali: Fassino, Veltroni, Rutelli, Cofferati. E la mitica “Debbora”. Con la bocciofila di D’Alema, Bindi e Bersani non c’è partita. Si aprono le possibilità, se non di un Ulivo, di un ricompattamento con parte della sinistra extraparlamentare e dei socialisti. Certamente con gli orfani di Prodi. Aleggia pure l’ombra di una mini-scissione teodem. In questa situazione i resti della sinistra radicale costruiscono un monumento in cartongesso alla falce e martello, senza speranza di incidenza politica. Fa male al cuore (almeno a me) vederli giocare con simboli e aggettivi della storia rivoluzionaria, ma per fortuna non faranno più male a livello di massa. E’ una vicenda finita, come quella del Pd liquido. Si apre il tempo dei movimenti, liberi dai fantasmi del passato –anche di una certa retorica no global ormai scaduta). Un’occasione, molto difficile e precaria, ma un’occasione.