Aquì Estamos era scritto a caratteri cubitali sul
manto stradale di Via Cupa dei Cani nel maggio del 2008, davanti ad una grande
barricata fatta di alberi e macchine capovolte.
Sono giorni, i nostri, in cui Silvio Berlusconi attira su di sé sentimenti di
rabbia e pena da parte di molti. Un sentimento che però non è carico di nessuna
pietas ma bensì di rabbia indignata.
Giorni lontani quelli in cui il premierissimo se ne andava in giro per il paese
come “l’unto del signore”. Veniva a Napoli, schierava militari, vendeva
miracoli, si ereggeva a salvatore di una città sommersa di rifiuti ed umiliata.
Nei giorni di maggio del 2008 veniva varato il decreto 90 nel primo consiglio
dei ministri del nuovo governo Berlusconi. Cominciava così il calvario di un
quartiere della periferia nord di Napoli : Chiaiano. La discarica vede la
“presa” del cantiere nel luglio del 2008 con una vera e propria occupazione
militare da parte dell’esercito dell’area dell’ex Cava del Poligono. Nasce in
quei giorni una esaltante esperienza di comunità resistente che non ha mai
smesso di lottare. Negli anni è cresciuta, si è sedimentata, è maturata come
soggetto politico del territorio e dell’area metropolitana.
Oggi il governo Berlusconi non c’è più e la discarica di Chiaiano è chiusa.
Certo mancano ancora atti ufficiali ma la sospensione a tempo indeterminato
varata il 6 novembre dalla società provinciale pubblica Sap.Na e le nuove
inchieste giudiziarie sembrano delineare la vittoria definitiva dei comitati
antidiscarica che dal febbraio del 2009, da quando è stata aperta la discarica,
non hanno mai dismesso la battaglia per la sua chiusura. Una lotta che qui a Napoli
è senza dubbio un modello. Lo è per longevità del corpo militante in lotta, per
consenso sul territorio, per la capacità di evolversi continuamente come lotta
per la difesa dei beni comuni che immediatamente, insieme ad altre esperienze,
sono divenuti modelli di costruzione di alternativa dal basso. Dalla lotta
contro la discarica l’esperienza della comunità di Chiaiano è diventata ben
presto qualcosa di più complesso, di più avvincente, proiettandosi subito sul
terreno del comune e della costruzione di una nuova istituzionalità dal basso.
L’esempio è dato dal ruolo che questa piccola comunità della periferia
napoletana ha avuto nelle vicende più importanti che si sono date in termini di
conflitto sociale nell’area metropolitana partenopea negli ultimi anni. Le
battaglie per l’acqua e la campagna referendaria, l’affermazione di un modello
di attraversamento dei nessi amministrativi nuovo e vincente, l’affermazione di
un piano dei rifiuti alternativo. In mezzo c’è stata la capacità di questa
comunità di non arrendersi mai, di individuare sempre le corde del conflitto
sociale nel paese e riportarle a casa propria : dall’attraversamento delle
lotte degli studenti a quelle per la sfiducia al governo fino alla nuova
determinante sfida del movimento contro la crisi economica.
Chiaiano sta chiudendo.
Un evento questo che sembra quasi scuotere i cittadini di quel territorio come
l’effetto di un flash sparato troppo forte al buio. Ti lascia esterefatto,
sbigottito, quasi incredulo sul fatto che una intensa ed interminabile
battaglia possa chiudersi con un esito parzialmente positivo.
Gli ultimi 11 mesi sono stati determinanti per invertire la rotta di una
vicenda che, in ogni caso, ha stuprato violentemente un territorio lasciando
danni ambientali e sanitari che difficilmente potranno trovare rimedio.
All’inizio del 2011 c’è stata la ripresa
delle mobilitazioni con i blocchi dei conferimenti, l’aumento della radicalità,
le risposte della controparte divenuta ormai la Provincia di Napoli che
diminuivano prima i conferimenti e poi indicavano nel mese di giugno una
possibile chiusura. Poi la vittoria di de Magistris alle amministrative, la
vittoria del referendum – Chiaiano è uno dei pochi quartieri della città dove è
stato raggiunto il quorum – la nuova crisi rifiuti con i rigurgiti leghisti
contro le alternative ad inceneritori e discariche. Poi la decisione degli enti
gestori di prolungare la vita della discarica almeno fino al 2013 con lo
sversamento di altre 100 mila tonnellate e lo spauracchio addirittura di una
seconda discarica. Intanto la magistratura, dopo anni di colpevole ed
incredibile silenzio, ha cominciato a muoversi con una prima inchiesta sulle
ditte ed i subappalti in discarica con l’ipotesi di infiltrazione del percolato
nella falda acquifera per la scarsa qualità dell’argilla utilizzata e per il
terreno di ricopertura che sembrerebbe essere terreno misto a rifiuti. Le mobilitazioni dell’estate, con i cortei,
l’occupazione dell’area militare della discarica da parte di centinaia di
persone, la mobilitazione permanente hanno aperto una nuova stagione per un
territorio che ha saputo anche rigenerarsi nella lotta e trovare nuova
disponibilità alla mobilitazione. Settimane sempre concitate con eventi
paradossali come il pozzo di percolato che esplode il 27 luglio davanti agli
occhi degli attivisti dei comitati in visita nella discarica. Il 4 agosto viene
depositato un nuovo esposto da parte dei comitati. In settembre riprende la
mobilitazione che arriva al corteo dell’8 ottobre con migliaia di persone in
strada sotto la pioggia che reclamavano simbolicamente la “chiusura del
sipario”. Infine i due giorni di lotta nella sede della Provincia chiamate
dagli attivisti Occupy Cesaro, dal nome del presidente della provincia, con
l’occupazione e lo sgombero violento dell’aula consiliare del 3 novembre e gli
scontri in occasione del consiglio provinciale del 4 novembre. In mezzo un
nuovo fascicolo aperto dalla magistratura che muove proprio dall’esposto dei
comitati e da nuove indagini del Noe. Il 6 novembre arriva lo stop ai
conferimenti a tempo indeterminato. Il consiglio provinciale del prossimo 14
novembre dovrebbe ulteriormente confermare questa decisione.
Ma è quell’espressione da luce nel buio che colpisce. Quella che si vede negli
occhi dei cittadini-attivisti, giovani, vecchi, precari, lavoratori, studenti
che in questi 4 anni hanno deciso di cambiare radicalmente la loro vita.
Colpisce perché tiene dentro mille emozioni e qualche importante
consapevolezza. Le emozioni sono amare. Amare come la puzza acre di percolato
che accompagna ancora le notti di Chiaiano e dei suoi cittadini. Amaro come
quel sapore che hai in bocca quando ti accorgi che quel territorio è diventato
un tomba. Dove il tumore è consuetudine. Ma le emozioni cambiano i
comportamenti solo quando sono consapevoli. E sappiamo quanto da queste parti
si sia consapevoli che solo la lotta paga. Che qui, in un terra dimenticata da
troppi, nessuno c’ha regalato nulla. Non l’ha fatto una magistratura che per
quattro anni non ha fatto altro, con in testa il procuratore capo
Giovandomenico Lepore, che essere parte integrante di quella macchina del fango
contro chiunque si opponesse al ciclo discariche-inceneritori. Una magistratura
che ha avuto incartamenti e materiali fermi nei cassetti per anni. Una magistratura
che ha messo sotto inchiesta, condannato, mandato in carcere, privato della
libertà decine e decine di persone che si battevano per la chiusura di quella
bomba ecologica. E’ semplice ricordare sempre quelli che, come i compagni e le
compagne di Insurgencia, sono stati sotto i riflettori quando sono stati
privati della libertà, ma i tanti e le tante che sono ancora nella aule dei
tribunali spesso si tende a dimenticarli. Quello che noi abbiamo ottenuto è
quello che ci siamo presi. Di questo a Chiaiano si ha consapevolezza.
La consapevolezza più importante però è quella di essere diventati qualcosa di
diverso. Qualcosa di speciale : una comunità. Che si allarga e si restringe,
che è inclusiva per natura e che ha guadagnato autorevolezza ed ha saputo
inventare volta per volta pratiche, sperimentazioni, istituzioni del comune.
Una comunità che ha fatto della pratica della democrazia un suo tratto
caratteristico.
Una comunità che ha inventato continuamente la declinazione più opportuna della
disobbedienza, individuando da subito la necessità di rifuggire allo schema
violenza/non-violenza come imbuto in cui comprimere tutto lo spazio del
dissenso.
E’ curioso dover narrare un’esperienza che è stata come l’Università del
conflitto per se stessi.
Ripercorrere le molteplici forme di disobbedienza messe in campo in questi anni
ci raccontano di una inventiva straordinaria. Spesso ci siamo dovuti inventare
una toponomastica delle pratiche. Il soft-walking* più efficace di un blocco
stradale, i meeting point** più incisivi di un corteo, le occupazioni, i bliz
che tendevano a mettere in ridicolo la controparte, infine l’occupy sulla scia
del vento che viene da Zuccotti Park. Così come la capacità dei corpi di
opporsi a scudi e manganelli e la determinazione di sanzionare i camion carichi
di rifiuti.
Questi quattro anni per noi sono stati una pratica costante di democrazia e
disobbedienza.
Oggi il risultato è ad un passo.
Le prossime tappe saranno quelle per l’avvio burocratico delle fasi di chiusura
e per l’avvio di un processo partecipato di riqualificazione urbana, economica
e sociale della periferia nord di Napoli, quella che va da Scampia a Chiaiano,
da Piscinola a Marianella.
Quando lo sguardo si alza e scruta nuovi orizzonti è perché si è certi che il
cammino è ancora lontano dalla sua fine.
Ce n’est q’un debut…continuons le combat
!
*soft-walking : Blocco dell’autostrada con gruppi di autovetture che camminando in fila nelle tre corsie procedono a 15 Km/h provocando un blocco della circolazione lungo decine di kilometri. Il presidio permanente lo ha messo in atto sulla tangenziale di Napoli e sulla autostrada Salerno – Reggio Calabria. Non esiste nessun reato contestabile nel codice penale per questa pratica.
**meeting point : Concentramenti
pubblici nei pressi delle stazioni della metropolitana. Una volta completato il
concentramento si invade la metropolitana, si prende il treno e si scende a
fermate a sorpresa. Si esce dalla metro e si effettuano blocchi stradali.
All’arrivo della polizia si rientra in metropolitana e si cambia stazione. Il
presidio permanente lo ha praticato partendo dalle stazioni della periferia ed
effettuando i blocchi in prossimità delle stazioni del salotto buono della
città.
La polizia non è mai riuscita a giungere in tempo per evitare i blocchi. La
sola alternativa che hanno è abbandonare i mezzi e seguire i manifestanti in
metropolitana.