Sabato 3 ottobre i movimenti e le reti organizzate
antirazziste sono tornate nuovamente a manifestare davanti alle porte del
CIE di via Udine a Gradisca d'Isonzo.
Dopo circa un anno dall'ultima presenza attiva davanti al centro di identificazione
ed espulsione, gli ultimi accadimenti hanno spinto almeno un centinaio di
persone a riprendere dall'esterno la lotta per la chiusura del centro di
Gradisca.
Più in generale esiste, a partire da Gradisca, la volontà di riprendere
iniziative e mobilitazioni per contrastare la deriva securitaria ed escludente
che la Lega Nord
sta imponendo anche in Regione. I movimenti antirazzisti hanno chiesto una
riforma radicale della legislazione sull'immigrazione vigente nel nostro paese,
a partire dalla cancellazione del "pacchetto sicurezza" (entrato effettivamente
in vigore lo scorso 8 agosto), dispositivo che inasprisce ulteriormente le già
dure condizioni di vita e la permanenza dei cittadini migranti nelle nostre
città e che porta a sei mesi il periodo massimo di detenzione presso le
aberrazioni giuridiche chiamati oggi CIE. Al presidio di sabato scorso molti
interventi hanno sottolineato il fatto che unicamente grazie ai contatti tra
l'esterno e i reclusi nel CIE, cosa che formalmente secondo la Prefettura dovrebbe
essere vietata, importanti notizie di cronaca e fatti altrimenti passati sotto
silenzio, sono invece saliti alla ribalta dei media a livello nazionale. Se
perfino il gruppo Parlamentare friulano del PD ha deciso di entrare in delegazione
all'interno del CIE per "appurare le effettive condizioni dei
reclusi", evidentemente quando emerso nelle foto e nei video pubblicati ha
sicuramente contribuito finalmente a sgretolare quella patina di asettico
ordine e silenzio che le mura del CIE di Gradisca trasmettono, facendo invece
filtrare la grande rabbia e il carico di sofferenza e violenza che quel luogo contiene.
Il CIE di Gradisca rappresenta sempre più una ferita aperta per il territorio
del Friuli Venezia Giulia, territorio storicamente costruito da diverse anime
culturali e linguistiche e da sempre confine e incrocio di molte diversità, ma
rappresenta anche un punto di non ritorno nella deriva autoritaria e razzista
che questa Regione sta prendendo. A dare un segnale che il clima di
"macelleria cilena" di poche settimane fa deve intendersi come norma
e non come eccezione, il provvedimento di arresto di stamane nei confronti di
uno dei protagonisti della protesta, colpevole, chiaramente, di legittima
difesa.
Soprattutto la Lega Nord
presente nel Consiglio Regionale con elementi diciamo così
"culturalmente" vicini alla cosiddetta corrente Borghezio, da molti
mesi sta tentando di imprimere una forte e colorita sterzata razzista alle
politiche della Giunta Tondo, altrimenti più incline a gestire clientele e
affari senza troppo rumore, come anche ad Illy, del resto, piaceva fare.
L'ultima puntata dello scontro interno alla maggioranza nel Governo Regionale è
il DDL che porta il nome di Narduzzi, l'esponente Pordenonese Leghista e scudiero
di Eduard Ballaman (quello che gira armato di pistola anche in Consiglio
Regionale). Questo DDL formalmente propone "modifiche legislative a
sostegno dei soggetti che risiedono o prestano attività lavorativa in Friuli
Venezia Giulia da almeno 15 anni", ma sostanzialmente si prefigge l'obbiettivo
di tagliare fuori tutte le persone non residenti in Regione da almeno 15 anni
da qualsiasi forma
di sostegno, di accesso ai servizi e di quanto altro possa essere messo a
disposizione dei cittadini dagli enti locali.
Su questo tema l'opposizione politica in consiglio Regionale si è scaldata,
rintuzzata dalle correnti della "società civile" che ancora oggi
piangono la sconfitta di Illy alle scorse Regionali. Di fatto,
sembra che lo stesso Governatore e il resto della sua maggioranza vogliano
ridimensionare il DDL e le sparate folkloristiche della Lega, anche se in
definitiva lo spirito ad escludendum sembra sia patrimonio comune e quindi
sempre più cittadini, specie quelli più bisognosi, verranno comunque privati
dei loro diritti di cittadinanza trasformati in diritti di residenza. A ben
vedere oggi la diversità linguistico-culturale del territorio nelle politiche
del nuovo Governo della Regione Autonoma diventa una gara di sovranità ad
escludere, mentre prima la retorica multi-culturale del centrosinistra di Illy
si alimentava a convegni e contributi a piovere alle associazioni di
immigrati ma veniva definitivamente svuotata di senso e privata di potenza
politicamente innovatrice a partire proprio dall'apertura del CPT/CIE,
effettivamente voluta dal centrosinistra.
Il risultato è che oggi in Regione FVG si vive un momento particolarmente teso,
soprattutto per i nuovi cittadini di questo territorio, non solo migranti; ed è
questa la motivazione per manifestare il dissenso alla sperimentazione di nuovi
e ulteriori dispositivi repressivi davanti il CIE, nell'unico luogo, cioè, dove
questo possa avere un senso: davanti ai cancelli del lager, dove si ripetono
rivolte e tentativi di fuga di massa culminate proprio con il massacro avvenuto
nelle giornate del 20 e del 21 settembre scorsi e le cui foto sono state
riportate da vari giornali e di cui esiste sul web
un'impressionante filmato. Proprio quelle immagini hanno riportato il CIE di
Gradisca sotto i riflettori della pubblica opinione e determinato la ripresa della
stretta osservazione da parte delle reti
antirazziste di quanto avviene dentro e attorno al CIE di Gradisca.
I CIE, una ferita aperta sui territori e un punto di non ritorno nella deriva razzista e securitaria
Cie: la macelleria di gradisca
la violenta repressione della rivolta di fine settembre ha portato almeno un centinaio di attivisti a riprendere la lotta per la chiusura del centro
8 / 10 / 2009