Cobra libre

Il potentissimo veleno di un disegno socio-politico

1 / 5 / 2020

Cari compagni e care compagne, mi chiamo Vito, sono un attivista e infermiere siciliano. 

Voglio condividere il mio punto di vista e quello del mio collega cubano (che per questioni di sicurezza chiameremo José) sulla situazione attuale di pandemia globale e sulla nostra esperienza nell’ospedale da campo di Crema - zona che si trova al centro dell’occhio del ciclone della crisi sanitaria - con la brigata cubana Henry Reeve. José inizia avvertendo “approssimativamente” che un vero dialogo tra noi è forse ancora impossibile. Perché sebbene apparteniamo alla stessa forma di pensiero, quella di chi immagina nuovi mondi possibili, un ampio divario ci separa: lui è un cubano ed io appartengo alla classe “privilegiata” del mondo occidentale. Il mio paese sostiene le guerre, il suo no. Però, per quanto diversa possa essere la nostra educazione e la tradizione politica dei nostri paesi, mettiamo alla prova tale "difficoltà di comunicazione", esaminando insieme le immagini di questa pandemia. Come volti diversi ed enormemente uguali, che ci avvolgono nella strana impressione di tenersi per mano, come in continua difesa contro nemici permanenti e invisibili.

Metto su il caffè e José sta già spacchettando l’ennesimo uovo di Pasqua, un ringraziamento dei pazienti, pronto per preparare la sua colazione al cioccolato. L'orologio segna le 8 del mattino. In questa parte della mattina normalmente non parla ai suoi parenti. A Cuba è ancora notte, mentre lui si prepara per una giornata tranquilla, soltanto alle 21.00 prenderà servizio. Rimarrà in piedi, assistendo i pazienti, fino alle 8.00 del mattino seguente. In reparto indosserà l'equipaggiamento di protezione personale e ricorderà, di nuovo, i giorni in cui lo ha indossato in Sierra Leone durante la lotta contro l'Ebola. Cinque anni fa ha iniziato la sua esperienza con il contingente internazionale di medici specializzati in situazioni di disastro e gravi epidemie Henry Reeve. Mi racconta che oggi i dispositivi di protezione sono rinforzati: oltre alla muta da sub, alla maschera, agli occhiali, agli stivali e ai guanti, usa anche una visiera, un cappello, un abito lungo e un soprabito.

L’idea di scrivere queste parole nasce dalla necessità di condividere una narrazione differente da quella che giornalmente leggiamo nei mass-media. Una narrazione lontana dall’immagine a cui siamo abituati quando siamo spettatori di calamità che avvengono lontano dal nostro paese.

Una narrazione che ha solo una lingua ed è potenzialmente destinata a tutti. Per creare nella coscienza dei lettori, esposti a drammi provenienti da ogni parte, un punto di vista specifico, necessario per trasmettere e ritrasmettere quotidianamente frammenti delle sequenze su questo conflitto. Abbiamo scoperto in mezzo a tutto ciò che è difficile usare le parole per tollerare i nostri pensieri. La pandemia ha esaurito le parole; si sono indebolite, si sono deteriorate. In questo scenario il governo utilizza la psicologia sociale per sfruttare e persino aumentare il sentimento di paura, insicurezza e confusione che genera nella popolazione una crisi o un disastro. Questa teoria machiavellica è supportata da concetti sociologici come l'alienazione o il controllo delle masse attraverso i mass media. Per alcuni influencer sembra l’effetto di un'illusione cospirante, una pratica troppo utilitaria e macabra per essere vera, divenendo sempre più aridi, privi di amore, di vera solidarietà, più immuni da ogni sensibilità dell’uno verso l’altro, diverso da noi o che può togliere qualche briciola del nostro benessere.

Le spesse lingue dei politici, i cui pori sono enormemente allargati, leccano le labbra secche e piene di cenere, sperimentano la disperazione relazionale, occultando il fluire ordinario del tempo.

Le espressioni sul viso di José e le facce intorno a lui sembrano apprensive. La realtà ha alterato l'immagine secondo le esigenze della memoria, ma quello che sta succedendo in Italia ha una risonanza così enorme: il fallimento del sistema industriale, la caduta dell’etica personale, la sospensione dei diritti, l’esondazione delle peggiori attitudini violente delle cosiddette “forze dell’ordine” a dimostrazione della forma propria del governo, il suo sistema normativo e il controllo politico militare sul territorio, con l'unico scopo di distruggerci completamente, applicati come arma di guerra.

La conversazione si apre con una semplice e profonda domanda: “La storia non ci ha insegnato forse a chiederci il perché delle cose che accadono nel mondo?”.

Mettiamo da parte la formazione di partiti o fazioni epidemiologiche, divise tra loro. Ci concentriamo su un percorso teorico e pratico che ci guida alla nostra salute, una salute “degna”, una “salute naturale”, non tralasciando l’importanza della ricerca scientifica. 

Conveniamo che il livello di salute pubblica corrisponde al grado in cui i mezzi e la responsabilità per affrontare la malattia sono distribuiti tra la popolazione totale. Quella capacità di far fronte può essere aumentata ma mai riutilizzata dall'intervento medico. A che serve la conoscenza se, per combattere questo nemico potente e invisibile, dobbiamo possedere la micro medicina di laboratorio riservata solo ai suoi esperti? Possiamo solo abbandonarci al capriccio del destino e rivolgerci allo specialista della scienza microbica per liberarci dalla minaccia del nuovo demone. 

È possibile codificare la base necessaria per un'azione etica umana senza dipendere dal riconoscimento condiviso di alcuni dogmatismi ecologici attualmente in voga. Le procedure politiche orientate al valore della sopravvivenza nell'equità distributiva e partecipativa sono l'unica risposta razionale alla crescente manipolazione totale in nome dell'ecologia. E precipitando contro la autonomia, ci sarà sempre più sofferenza personale e dissoluzione sociale. Il recupero dell'autonomia personale deve essere concepito come il risultato di un'azione politica che rafforza un risveglio etico. Tuttavia, come spesso accade non c’è una sola risposta esatta - dipende dai nostri obiettivi. I computer e i ricercatori adorano i numeri. La maggior parte di noi, però, pensa usando le parole e non i numeri. Ci siamo abituati a un mondo che ci chiedeva di scegliere velocemente tra un si e no - quantificare un predatore in modo troppo dettagliato comporta il rischio di essere mangiati. Di nuovo, però, c’è un’insidia nascosta. O meglio, diverse insidie. Gli usi e costumi in giro per il mondo variano troppo drasticamente nel tempo, nello spazio e da una cultura a un’altra per poterci fornire una soluzione adeguata al problema della normalità. Ognuno di noi si sente inerme, incapace di dare un senso a quello che sta accadendo, condannato come nessun altro, solo nel momento presente e senza speranze per il futuro.

Il caffè è pronto, iniziamo a parlare della situazione attuale e del sistema di salute italiano. 

Il Paese, le Istituzioni si sono dimostrate inefficienti ed impreparate di fronte a questa pandemia. Sono state attuate varie procedure restrittive confuse, senza senso. Il personale sanitario, i lavoratori delle fabbriche si sono ritrovati in prima linea, senza dispositivi di protezione e senza mai una sosta. Penso agli operatori della sanità che sono morti per la mancanza di dispositivi di protezione. In dieci anni sono stati tagliati 37 miliardi alla sanità pubblica, persi 70.000 posti letto e chiusi 359 reparti. Da tale scenario vengono colpiti i malati, con poche difese e pieni di antibiotici, quelli che hanno un rischio maggiore di vedere il collasso della loro salute. Ecco come si presenta l’economia e il sistema sanitario italiano in questo momento: malato.

Oggi si corre il rischio di annullare la funzione e il ruolo dello Stato sul tema del benessere; pare che la passione violenta delle questioni aziendali in termini di welfare e prestazioni socio-sanitarie faccia perdere di vista gli aspetti internazionali delle persone stesse, faccia dimenticare che i nostri doveri, di mediatori e custodi dei diritti fondamentali, possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi della comunità mondiale tutta. 

L’attuale situazione di disorientamento, condiviso con il bisogno di una restaurazione del legame umano, rappresenta la necessità di rivendicare il bisogno personale di appellarsi, di trovare un appiglio o delle certezze durante un periodo di crisi. 

Il rischio è quello di un approccio materialista a problemi che invece possono e devono essere affrontati mettendo in discussione le quantità di risorse, le loro fonti, le loro capacità di aiutare. Ogni persona rivendica dignità e capacità, l’unico modo per ripartire appare il riconoscimento di ogni persona. La strada, invece, è bloccata dai piani di azioni settoriali e inconcludenti, con pianificazione pensate per misure da erogare e non per problemi da affrontare.

Le persone non ci sono, sostituite da obiettivi di processo e di risultato organizzativo. Non una domanda su quante persone sono povere di assistenza e/o del necessario per vivere, considerando che tra i determinanti di salute ci sono le condizioni di vita delle persone per reddito, lavoro, abitazione, alimentazione.

Le cure primarie non possono fare a meno di considerare questi aspetti, in particolare evitando la bulimia delle scelte organizzative e l’anoressia clinica del non considerare i bisogni delle persone. Il passaggio dalle idee astratte all’esperienza concreta può fare la differenza e liberare i problemi dalle ricette, dalle seduzioni culturali e poterli affrontare.

José interviene, riprendendo una una frase di Martì: «mai senza un dolore profondo l'uomo ha prodotto opere veramente belle» - continua - «Il contingente internazionale di medici Henry Reeve specializzato in catastrofi e gravi epidemie è stato creato il 19 settembre 2005 da Fidel Castro in onore di Henry Reeve, dopo il disastro provocato dall’uragano Katrina, negli Stati Uniti, anche se Washington ha disprezzato l’offerta di assistenza e medicinali, lasciando abbandonate le persone senza cure. Questa brigata è sempre pronta ad andare dove esiste più necessità. Prende il nome da un cittadino newyorkese che difese l’indipendenza di Cuba. La sua specialità è quella di affrontare le emergenze, di arrivare dove nessuno arriva, di portare cure dove tutti fuggono, di vincere guerre che tutti ritengono, visti i rischi da correre, è preferibile perdere. I suoi galloni, la Brigada Henry Reeve, se li è conquistati sul campo – anzi sui diversi campi – in ogni dove dall’Africa all’America Latina». Apparentemente gli argomenti sono gli stessi della produzione etica, politica, critica della filosofia occidentale “dominante” – in realtà, il taglio è più globale perché è divenuto più locale, i concetti sono più radicali, cioè rivolti alla radice delle cose, all'uomo, alla sua vita, alla riproduzione di questa e al suo miglioramento. Naturalmente non si è perduta per meglio dire la localizzazione latinoamericana, ma il mondo dagli anni Settanta ad oggi si è ristretto, si è appunto globalizzato, e di conseguenza, la localizzazione è divenuta apertura al mondo; se si parla del proprio luogo, si finisce per parlare del mondo intero, vista l'analogia delle situazioni e la similitudine dei problemi. Se la produzione teorica e il dibattito politico degli anni Settanta erano ancora concentrati sull'Europa e sugli Stati Uniti, adesso dall'America latina provengono non soltanto le novità politiche più clamorose di liberazione o di emancipazione ma anche le teorie politiche più innovatrici e radicali. 

Facciamo una breve pausa e butto giù un’altra giusta dose di caffè. 

Penso ad una situazione paradossale, quindi, come è la loro vocazione, trasformare la morte in vita. Perché non ci sono isole e la realtà non è divisa, motivo per cui la brigata cubana mira a fare e non rimanere nel "modello di efficienza-inefficace" della professione. 

Non sarebbe altrettanto urgente chiedersi dei legami umani prima della pandemia: quanto sono lontani da oggi? 

Cosa vediamo ora: il collasso dello Stato con la sua struttura sanitaria o l'affermazione della sua forza per amministrare l'estrazione della vita e l'approvvigionamento della morte che riproduce necessariamente questo sistema. Se la politica vuole rendere la vita in comune, cosa e chi dimentichiamo?

Le nuove soggettività che irrompono sulla scena politica – e che potrebbero dare effettivamente corpo a un’innovazione radicale dell’intero campo politico – sono irriducibili all’unità, all’interno della figura del “popolo sovrano”. Si pensi all’impatto radicale del femminismo, e a quello delle migrazioni, sulla concezione classica del soggetto e della cittadinanza, che viene totalmente spiazzata e resa inutilizzabile alla luce dell’incrocio delle lotte di genere, di razza e di classe. Al neoliberalismo i discorsi populisti rispondono, in fin dei conti, riattivando categorie di una politica statuale già consumata e in ritardo. Non serve perciò opporsi ai populismi barricandosi dentro i confini di grammatiche usurate, mentre è urgente e necessario sviluppare discorsi e pratiche nel segno di una radicalizzazione della democrazia, a cominciare innanzitutto dall’abbandono della centralità del suo soggetto tradizionale, quel “cittadino”, apparentemente neutro ma che in realtà non lo è. Per questo appare necessario anche re-concettualizzare il ruolo della medicina contro la medicalizzazione della vita, della psicologia oggettivante e astratta dalla soggettività, nonché della politica che deve approdare a una “nuova visione del mondo” per una sua rifondazione come antro-politica che vede nella partitocrazia la vera anti-politica, al fine di un rinnovamento radicale del sistema sociale adeguato alle esigenze di ogni gruppo umano, per liberare le potenzialità espressive, creative e relazionali che rimandano a quell'unità mitica tra uomo e natura, tra uomo e uomo, al punto che il mondo sia veramente il nostro mondo. È necessario prendere di mira, innanzitutto, l’ipocrita affermazione che siamo tutti uguali. Ipocrita, per molti versi, oltre al fatto che è, sostanzialmente, ancora una volta un modo per cercare di semplificare la realtà.

Com’è la situazione a Cuba? 

I dati aggiornati a venerdì 17 aprile dicono che a Cuba i casi registrati di persone affette da COVID-19 sono 862 e 27 persone sono morte. I primi casi sono stati rilevati a metà marzo, e già dal 20 marzo (con 21 casi registrati) il governo aveva deciso di chiudere il paese ai turisti, nonostante il turismo sia una delle fonti di guadagno più importanti per i cittadini e le casse dello Stato.

Con l’aumento dei casi nelle settimane seguenti, poi, il governo ha allestito alcune strutture pubbliche per mettere velocemente in quarantena i casi sospetti, mentre i casi confermati sono stati subito ricoverati e i loro contatti tracciati e isolati; tra le misure per le fasce più deboli della popolazione, il governo cubano ha messo a disposizione pasti gratuiti per chi ha un reddito basso e da tempo, da prima dell’inizio dell’epidemia, c’è un sistema per cui lo stato fornisce pasti a prezzi agevolati alle persone anziane, particolarmente esposte al coronavirus: l’età media della popolazione cubana è tra le più alte di tutto il continente. Il punto di forza della sanità cubana è l’abbondanza di personale medico, avendo uno dei più alti numeri di medici al mondo in rapporto alla popolazione- 8 ogni mille persone- quattro volte in più degli Stati Uniti. 

José mi spiega che a Cuba migliaia di medici, infermieri e altri operatori sanitari hanno portato luce, speranza e un futuro per il suo popolo.

«Dallo stesso aeroporto di Cuba, prima di volare qui, abbiamo ricevuto molto affetto, non posso dimenticare il lungo applauso da parte degli italiani che viaggiavano con noi.  La scena è stata ripetuta all'arrivo a Roma, dove ci siamo fermati e siamo rimasti per circa un'ora. Lo stesso applauso ci è stato profuso quando siamo partiti per Milano. La gente mostra segni di apprezzamento, perfino dentro casa in quarantena: grida “grazie Cuba”, vedere le bandiere ed i manifesti sui balconi mi commuove», dice.

Meritato è il riconoscimento internazionale dell'esempio di Cuba nella conservazione del principale diritto umano, che è il diritto alla vita, quando per questi giorni storici di continuità e impegno per il futuro rivoluzionario e socialista del paese, le nuove generazioni e tutti i patrioti si uniscono ancora di più per preservare le sacre conquiste che la Centenaria Generazione, guidata dal comandante Fidel Castro Ruz, ha dato con la loro impresa. Raggiungere l'accesso alla salute gratuita per tutti è stato un miracolo che ha portato milioni di persone alla loro veglia, a cui sono abituati e che a volte non viene data tutta l'importanza al suo significato storico o al costo che ha avuto e ha dovuto difendere quel diritto per il paese. La volontà politica di Fidel e la leadership storica della Rivoluzione erano ferme da prima del trionfo e non sono cessate nonostante le difficili prove a cui la Nazione è stata sottoposta a seguito di oltre cinque decenni di blocco economico e commerciale, di aggressioni, persecuzioni e guerre per cercare di distruggere la comunità cubana. «Quando lo sviluppo del sistema sanitario era ancora incipiente, a partire dagli anni '60, immense file di contadini con i loro bambini in braccio e persino durante la notte, di fronte alla consultazione privata di uno dei pochi dottori della mia città». Lo sforzo è stato immenso e meteorico per cancellare quell'immagine e offrire alle persone i servizi che meritavano, fino a raggiungere i livelli attuali.

Questa testimonianza permette di risaltare l’importanza dell’esperienza cubana in termini di pluriculturalità, uno dei fini possibili che la globalizzazione permette di raggiungere. L’incontro di culture che hanno voglia di conoscersi, che si riconoscono non come eguali, ma come reciprocamente altre. L’alterità non è mai superiorità, ma eguaglianza nella differenza. Condizione indispensabile per la conoscenza reciproca è la libertà e la veridicità dell’informazione che si cerca e si fornisce. Le culture si possono conoscere, se gli individui si conoscono e si riconoscono.

Però, d’un tratto José stringe i pugni, si irrigidisce, mi dice: «la politica deriva dall’economia e serve alla gestione dei rapporti strutturali dell’umanità». Parla di rapporti politici che sono innanzitutto economici: la riproduzione della vita, o per meglio dirla con il lessico marxista, il ricambio organico della vita con la natura. 

Metto a confronto le comunità nazionali europee con quella cubana, mi rendo conto di quanto fallace sia il concetto europeo di nazione e quanto sia ipocrita ogni appello a sentimenti di patria o di appartenenza ad una nazione, visto che i presunti nemici della “patria” vivono fianco a fianco da secoli, abitando la stessa terra, appartenendo allo stesso suolo. Mi rendo conto che per José, per i cubani in generale, vale più che il concetto di nazione quelli di comunità, di vita in comune nello stesso suolo.

Era già chiaro che la disuguaglianza sociale fa crollare il sistema sanitario, che la mercificazione di tutte le relazioni umane non serve per affrontare una crisi, che l'essere umano deve tornare ad essere un essere collettivo, andare oltre la concorrenza, dall’individualismo al cooperativismo, era già chiaro?

La fine della normalità, sembra già indiscutibile, siamo ad una svolta senza precedenti nella nostra storia contemporanea e, soprattutto, in quella di un capitalismo globalizzato che si era imposto come unico sistema possibile. Ora è questo che deve essere messo in discussione con ragioni più forti e ci vuole pazienza, tanta pazienza. La vita è diventata l'aldilà della soggettività, che arriva a superare i limiti del soggetto individuale, a strapparla dal campo dell'esperienza, a slogare il campo della sua coscienza, a svuotare la sua interiorità, a irrigidirsi violentemente.

José mi racconta la storia di un suo paziente, una dottoressa italiana infetta, ricoverata all'ospedale da campo e poi trasferita in una delle stanze di terapia intensive: «Andava in quell'ospedale con pareti di legno ogni giorno ed aiutava i malati. Gli preparava da mangiare, aiutava gli infermieri a sistemare i letti, raccontava storie per alleviare la sofferenza dei pazienti. Suo marito l'ha sempre accompagnata, ma quando è iniziato la pandemia, lui e suo figlio si sono ammalati. Entrambi sono morti. Oggi è in fase di riabilitazione respiratoria, in un'ala dell'ospedale».

Gli chiedo: «hai mai pensato alla reale possibilità di ammalarti».

Risponde: «Sì, ma scarto subito il pensiero. Mi concentro sul pensiero positivo e faccio tutto ciò che è indicato in modo che ciò non accada».

Aggiunge: «È dimostrata la forza della vita nella natura e nella comunità di fronte alle pandemie. È stato dimostrato che il crollo è iniziato anche in coloro che si sono rifiutati di vederlo, quando sono cadute le maschere di uomini d'affari e politici. Nel mezzo della crisi hanno continuato a rubare anche con la vendita di forniture mediche». 

Per tale ragione, è necessario rafforzare la comunità verso l'interno del territorio, lavorando su progetti di promozione della vita, per scongiurare la morte e la fragilità della mente umana in materia di salute, produzione ed educazione autonoma. Abbiamo visto come, in molti paesi, i governi bugiardi nascondono persino il numero effettivo di morti e infetti. Abbiamo visto che la corruzione è presente anche in una crisi umanitaria. Abbiamo visto anche i politici fare campagna elettorale nell'emergenza, inviare le loro foto e video sui social network, pubblicare i loro tweet e scattarsi selfie con una maschera. 

Con rabbia, indignazione e saggezza, sentiamo la necessità di esercitare la democrazia comunitaria, di costruire realtà in cui la corruzione non ha spazio e nemmeno i leader o coloro che rimangono al potere, cercando la legittimazione del potere popolare. 

Questo significa lotta per un equità dei servizi “con le persone” perché è possibile solo con il loro coinvolgimento attivo e ripartire dalla speranza di sperare. Per innovare bisogna esaminare e coltivare la speranza, con tenacia e pazienza, consapevoli che l’impegno per realizzarla non basta mai. Materiale e immateriale sono condizioni strategiche a disposizione: il materiale è concreto, l’immateriale è ancora più concreto, nasce e si fa strada negli spazi di vita, mette radici nel concorso al risultato, se è liberato e non scoraggiato.

Non siamo “esseri per la morte”, come sostiene Heidegger, siamo, invece, “esseri portatori d volontà di vivere”, vogliamo vivere; l’essere per la morte è un’irrazionalità, un rovesciamento retorico di una situazione ontologica incontestabile: l’uomo nasce per vivere. 

Il caffè è finito, saluto e ringrazio José. 

Prima di abbandonare la stanza, José mi guarda, sorride, alza il pugno sinistro: “hasta la victoria hermano Vito... Siempre!”

** Pic Credit: D. Rojo