da Progetto Melting Pot Europa

Coca-Cola e schiavismo a Rosarno

Finanziarizzazione e profitti. Ecco chi e come alimenta lo schiavismo

27 / 2 / 2012

Le responsabilità di Coca-Cola nello schiavismo a Rosarno e in Calabria nella raccolta delle arance e relativa produzione e utilizzo del prodotto lavorato

Ci serviva un’inchiesta di una rivista ecologista inglese “The Ecologist” poi ripresa dall’Indipendent per svelare chi si arricchisce, oltre alla malavita, dietro il lavoro schiavistico e al violento caporalato nella raccolta delle arance in Calabria.
Un’inchiesta che ha il pregio di svelare per l’ennesima volta quel meccanismo perverso della finanziarizzazione dell’economia tipica della policy delle multinazionali come Coca-Cola che non solo rappresentano una delle cause dell’attuale crisi del sistema capitalistico ma anche coloro che a vari livelli economici, politici, sociali (Marchionne e Fiat insegnano da questo punto di vista) agiscono per sfruttare questa fase con l’obiettivo di ridefinire un nuovo modello di società, a salvaguardia da una lato della speculazione e del vampirismo finanziario nonché dei profitti per pochi e, dall’altro, ad attuare una conseguente cancellazione dei diritti nel mondo del lavoro e della vita con conseguenze brutali e inaspettate anche per la ricca Europa e per i cittadini autoctoni.
I migranti oramai è un decennio che sperimentano sulla loro pelle questa arbitrarietà e sfruttamento sul bios: “volevate braccia sono arrivati uomini”.
Le forme di schiavitù, di servaggio, di violenza arbitraria imposte a migliaia di migranti nel nostro territorio e che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni grazie ai percorsi di soggettivizzazione delle e degli sfruttati, ci raccontano -infatti- di un caporalato e di uno schiavismo che in Italia si è caratterizzato per varie forme e declinazioni, saldandosi certamente con la malavita organizzata ma anche con quelle economie cosiddette legali (vocate sempre e comunque al profitto privatistico e all’evasione fiscale) che impongono politiche del lavoro anticostituzionali e al di fuori di qualsiasi CCNL.
Ora, grazie alla crisi, alle politiche di austerity e all’imposizione del pareggio di bilancio nella carte costituzionali dei vari Paesi aderenti all’UE, quelle forme di nuova schiavitù stanno divenendo pratiche diffuse e agite in tutti i settori lavorativi e su tutta la forza lavoro autoctona e non. Qualcosa, allora, che non riguarda più e solo gli altri da noi, africani, asiatici, latinos, ma qualcosa che riguarda tutti e tutte noi.
Allora questa inchiesta dell’Ecologist ha un grandissimo merito perché ci da l’occasione per riprendere una riflessione a 360° che guarda alla centralità della ricomposizione della forza lavoro e della lotta antirazzista come nuovo orizzonte per le vertenze a venire, per cercare di sperimentare ed individuare insieme nuove pratiche e alternative di uscita dalla crisi e dal lavoro gravemente sfruttato e schiavistico, che è lo scenario in cui siamo tutti e tutte immersi.
La tanto sentita, ripetuta, abusata litania sulla quale si è costruita la propaganda leghista e non solo – incarnata in un decennio di barbarie legislativa che ha il suo manifesto nella Bossi/Fini – per cui i migranti dovrebbero andarsene a casa loro, “perché ci rubano il lavoro”, “perché si fanno pagare di meno” non regge più in questa fase.
La litania razzista non regge più dal momento che le politiche sui costi dei salari, della merce, del prodotto e sulla contrattazione collettiva non sono i lavoratori e le lavoratrici migranti o comunitari ad imporla e nemmeno i sindacati, ma i diktat della finanza e delle grosse multinazionali come Coca-cola che cercando di darsi una parvenza di eticità - rispetto alle accuse mosse da Ecologist - tenta di giustificarsi sostenendo che la loro organizzazione e talmente grande che i livelli intermedi che dovrebbero controllare le aziende produttrici di materia prima (come il succo di arancia calabrese) a volte possono sfuggire. Certo senza ricordarsi però che sono proprio le multinazionali delle bevande analcoliche ad imporre al mercato - come sostiene lo stesso presidente di Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro - un abbassamento dei costi del prodotto puro (arance) e lavorato (succo). Qualcosa di analogo a quello che accade nella raccolta dei pomodori e alle aziende che lavorano il prodotto in Puglia, come ben documentato dalla vertenza di Nardò della scorsa estate.
E intanto Coca-Cola cosa fa?!
Come ogni “buona multinazionale che si rispetti” e che – naturalmente tiene più alla sua immagine e ai profitti che non ai diritti - disdice i contratti con le aziende calabresi che producono il succo di arancia, alla ricerca non solo di nuovi sfruttati meno mediatizzati (perché quelli di Rosarno come ci ricordano le cronache del gennaio 2010 non si sono solo indignati, ma si sono organizzati in una rivolta spontanea che ha fatto il giro del mondo), ma anche di una soluzione immediata per evitare una nuova campagna di boicottaggio, questa volta contro la Fanta, che farebbe diminuire i già mastodontici profitti della multinazionale.
Le persone prima dei profitti, people before profits!
Questo slogan risuona nelle piazze di tutto il mondo e in tutte le lingue del mondo, facciamolo divenire il nostro monito quotidiano, perché lo sfruttamento e lo schiavismo cesseranno solo se vi saranno diritti per tutti e tutte su questo pianeta terra.

Per approfondire:  

- "The hard labour behind soft drinks. Coca-Cola is being urged to help end exploitation in Italian orange groves" - The Indipendent

- Accuse alla Coca-cola per le arance Calabresi dal Corriere.it

- "Orange harvest: the hidden cost of Italy’s soft drinks trade" - The Ecologist

Inchiesta Arance - The Ecologist