Con Nichi Vendola per costruire cooperazione politica

20 / 1 / 2011

Dopo dodici anni ho scelto di non rinnovare la tessera dei Verdi, un’associazione con la quale ho condiviso i percorsi, in particolare, nella sua declinazione regionale veneta. La crisi dei Verdi è ormai datata, ma prima di distaccarmi ho cercato di sperimentare tutti i processi di allargamento messi in atto dai vari esecutivi nazionali, dal «Patto per il clima» fino alla «Costituente ecologista».  Non mi sono mai sottratto a questi sforzi, perché riconoscevo in tali passaggi il tentativo di riallineare i Verdi italiani alle esperienze dei Verdi europei, il cui peso politico-elettorale è sotto gli occhi di tutti. Ora però bisogna riconoscere che non ci sono più le condizioni e che i percorsi individuati non sono adeguati alla fase e alle prospettive che si stanno delineando. Insistere su questa strada, equivarrebbe a un accanimento terapeutico di natura politica.  La crisi finanziaria esplosa nell’estate del 2008 ha trascinato con sé quella produttiva e sociale, intrecciando inevitabilmente quella ecologica. Gli scricchiolii che si avvertono in Europa, le contraddizioni di un’America destinata al declino e l’espansione dei paesi asiatici, stanno ridefinendo la geografia della governance mondiale. Ostinarsi nei vecchi percorsi, significa non comprendere la portata dell’attacco portato dalle nuove forme di capitalismo e le dinamiche del conflitto sociale in cui siamo coinvolti. Anche la crisi ecologica, come riaffermato nel vertice di Cancun, rientra in quest’attacco. Ciò impone la necessità di una radicale conversione ecologica della produzione e dell’economia, strettamente connessa con la difesa dei diritti, dei redditi e della gestione democratica e partecipata dei beni comuni.  Abbiamo di fronte quindi una problematica ampia e complessa, dov’è in gioco la necessità/possibilità di rovesciare il segno della crisi. Pensare di affrontarla e risolverla con lo strumento del partito o partitino, diventa anacronistico se non ingenuo. Dobbiamo quindi muoverci in mare aperto, liberi dai lacci e i laccioli delle appartenenze, disponibili al confronto. «Uniti contro la crisi», ad esempio, può rappresentare un modello di riferimento, poiché ha dimostrato la capacità di mettere in rete realtà e soggetti diversi, al fine di costruire un’opposizione su una progettualità condivisa.  Chi sul piano della rappresentanza oggi meglio interpreta questo passaggio è sicuramente Nichi Vendola. Ma prima che qualcuno arrivi a facili conclusioni, ritengo utili un paio di premesse. La prima è che la personalizzazione della politica continua a rappresentare un limite, la seconda riguarda la convinzione che la forma partito non sarebbe in grado di sussumere la ricchezza sociale rappresentata dai movimenti e dalle reti associative. Proviamo allora a tracciare un ragionamento diverso in quanto Nichi Vendola non è e non deve essere l’emblema di un partito, grande o piccolo che sia. Oggi Nichi Vendola può diventare un “soggetto collettivo”, in cui possano confluire le aspirazioni, le rivendicazioni, i progetti di un mondo e di una rete complessa. L’obiettivo potrebbe essere la costruzione di un network che esca dai confini della sinistra, capace di coniugare la resistenza all’attacco ai diritti con la costruzione delle alternative sociali, capace di ripensare la pratica politica partendo dai soggetti del lavoro, dell’ambientalismo e della formazione. Il nostro impegno andrà in questa direzione auspicando di trovare attenzione e tanti soggetti disponibili a mettersi in gioco per ridare un senso vero alla “cooperazione politica”.  Noi partiamo dalla nostra realtà della Bassa padovana, dove con proporzioni ed esiti certamente non paragonabili a quelli pugliesi, abbiamo testato la nostra iniziativa nelle Primarie, continuando poi a operare per il consolidamento di un’esperienza che mantiene un ruolo importante nello scenario sociale e politico.

Francesco Miazzi - Consigliere Comunale di Monselice (Padova)

Articolo apparso il 19 gennaio in Il Mattino di Padova