dal sito del Progetto MeltingPot

Contro tutti i respingimenti ha inizio la campagna "Welcome. Indietro non si torna"

Il video sui respingimenti e tutti gli interventi del convegno di Venezia verso la data internazionale del 20 giugno

18 / 5 / 2010

Da maggio del 2009, con i respingimenti dei migranti verso la Libia, ha avuto inizio una delle pratiche più violente e lesive della dignità umana che le istituzioni italiane abbiano mai messo in atto. Donne, uomini e bambini, per la maggior parte in fuga da guerra e persecuzione, sono stati ricacciati verso le prigioni libiche, gli stupri e le deportazioni nel deserto.
Pochi sanno che anche dai porti di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi, la polizia di frontiera respinge ogni anno migliaia di profughi che cercano, nascondendosi dentro o sotto i tir in partenza dai porti di Igoumenitsa e di Patrasso, di fuggire dalla Grecia, paese dove l’asilo non esiste (o,03% delle richieste accolte) e che riserva ai migranti un trattamento paragonabile a quello libico.
Tra di loro moltissimi minorenni e bambini ora rinchiusi nelle carceri greche o rimandati in Turchia e da lì, molto spesso, nei loro paesi d’origine in mezzo alla guerra.
Contro tutti i respingimenti e per la difesa del diritto d’asilo, è partita la campagna Welcome. Indietro non si torna , che è stata presentata l’11 luglio a Venezia nel corso di un convegno cui hanno preso parte la Rete di associazioni veneziane Tuttiidirittiumanipe-rtutti, L’ambasciata dei diritti di Ancona, Il solidarity Group di Igoumenitsa, l’Associazione Kinisi di Patrasso, oltre che l’Avvocato Marco Paggi, Don Nandino Capovilla e, del Comune di Venezia, il vicesindaco e assessore Sandro Simionato insieme all’assesore Gianfranco Bettin.

In apertura dell’iniziativa è stato presentato il video Indietro non si torna, che fa vedere e racconta, meglio di ogni parola, la violenta realtà dei respingimenti tra l’Italia e la Grecia, le condizioni dei profughi nella Repubblica ellenica, e la militarizzazione di questa frontiera interna ad un’Unione europea che, sull’altare della "sicurezza", ha sacrificato nei fatti ogni prospettiva politica e sociale basata sulla reale tutela dei diritti fondamentali e di un nuovo modello di cittadinanza possibile.
Questo documentario, prodotto dalla Rete Tuttiidirittiumanipe-rtutti e da Melting Pot Europa, viene messo a disposizione come strumento di costruzione della campagna Welcome che porterà, il 20 giugno,giornata mondiale del rifugiato, a una mobilitazione che coinvolgerà i porti italiani dell’Adriatico e quelli greci di Igoumenitsa e Patrasso.

Guarda il video "Indietro non si torna"

Di seguito, tutti gli interventi del Convegno


Alessandra Sciurba, Progetto melting Pot Europa e Rete di Associazioni Tuttiidirittiumanipe-rtutti, Venezia:

Cosa significa “Indietro non si torna” per noi, per questa Rete di associazioni veneziane che da anni sta combattendo contro la realtà dei respingimenti, “indietro non si torna” significa che denunciando e raccontando quello che succede dai porti dell’Adriatico ci siamo presi una responsabilità che ci sentiamo sulle spalle. Da quando abbiamo cominciato a raccontare quello che sta succedendo non ci sono più notizie. I giornalisti non riescono più ad avere i pochi dati che avevano prima. Prima la polizia di frontiera o l’autorità portuale dicevano in maniera molto disinvolta che avevano respinto dieci, venti, trenta “clandestini”.
Da quando siamo riusciti a spiegare alle persone l’illegalità dei respingimenti e chi erano questi “clandestini” respinti, purtroppo quello che è successo è che il silenzio sui porti è diventato ancora più denso e impenetrabile. Quindi per noi Indietro non si torna vuol dire anche che abbiamo cominciato e stiamo provando ad arrivare fino in fondo. Per questo siamo ritornati in Grecia: per avere ancora la certezza che nulla è cambiato e che le cose sono anzi peggiorate.
Indietro non si torna poi significa anche che i migranti, e soprattutto i profughi che scappano da guerra e violenza, indietro non ci tornano perché non possono tornare. Quello che sta succedendo con i respingimenti da tutta Italia non può restare una cosa impunita e non denunciata, non può essere assunto come qualcosa di normale. Questa campagna, “Welcome. Indietro non si torna”, si concentra sulle frontiere dell’Adriatico perché ci sono, sono qui, concrete e materiali. Qui a Venezia, ad Ancona, a Bari e a Brindisi, e perché abbiamo la grande fortuna di avere di fronte non la Libia ma la Grecia, dove ci sono dei gruppi con cui potere lavorare su questo argomento. Ma il nostro è un discorso molto più ampio che vuole parlare di tutti i respingimenti che in questo momento ci sono dall’Italia. La frontiera di lampedusa ci è stata sottratta, ma i respingimenti continuano nel mediterraneo con forme sempre più violente e noi non possiamo restare in silenzio.
Quello che viene proposto oggi, insieme all’analisi, alla riflessione e alla denuncia, è quindi di assumere la frontiera dell’Adriatico come luogo di lotta contro tutti i respingimenti che in questo momento sono effettuati dall’Italia contro ogni legge, e l’avvocato Marco paggi ci spiegherà nel dettaglio in che modo questi respingimenti violano le leggi stabilite.
Indietro non si torna, infine, perché si potrebbe dire, in questo momento storico così complesso, cosa ce ne importa del diritto d’asilo? Cosa ce ne importa di queste persone che vengono da lontano?
Siamo in crisi. Una crisi profondissima, economica sociale e politica. E allora il ricatto è questo: dimenticatevi la solidarietà e i valori dell’antirazzismo, dimenticatevi tutto, siete giustificati: c’è la crisi.
E noi invece oggi e qui vogliamo affermare che noi indietro non torniamo rispetto a ciò in cui crediamo, rispetto all’idea di società aperta e inclusiva che vogliamo. Per noi è questa l’unica soluzione alla crisi, ciò da cui vogliamo ripartire. L’Europa sta dimostrando in questo momento di essere un contenitore vuoto, che non è in grado di avere nessuna prospettiva nuova sulla società. E allora difendere il diritto all’asilo, il diritto a una vita dignitosa, riappropriarci di cose come l’antirazzismo e la solidarietà – perché oggi è crollato anche il tabù del razzismo, è permesso in tempo di crisi dire di essere razzisti – bene, dire che noi dai nostri valori e dai nostri prinicipi anche e soprattutto in tempo di crisi indietro non torniamo, pensiamo che sia particolarmente importante, fondamentale e che possa anzi rappresentare una via di fuga in un momento di confusione e difficoltà come questo.


Valentina Giuliodori, Ambasciata dei diritti di Ancona,

L’Ambasciata dei diritti delle Marche è un’associazione Onlus che offre servizi legali gratuiti per i migranti e anche noi come la Kinisi facciamo corsi gratuiti di lingua. Lo scorso anno siamo andati anche noi a Patrasso, abbiamo incontrato Kinisi, abbiamo visitato il campo che è stato distrutto, e tornati ad Ancona abbiamo deciso di creare un osservatorio che abbiamo nominato Faro sul porto. È lo strumento che ci siamo dati per monitorare e denunciare tutto quello che stava succedendo nel porto di Ancona. Non so quanti di voi conoscano la nostra città, ma è una città di frontiera. Dopo il 2001 nel porto sono stati istallati dei sistemi di sicurezza molto visibili. Il porto storico dove arrivano i traghetti e anche le navi merci, da qualche anno è totalmente isolato dalla città.
Sono state istallate reti, telecamere, ed è difficile accedere. Quando abbiamo cominciato il lavoro dell’osservatorio siamo andati a conoscere chi lavorava dentro il porto: dal Cir che si occupa dei ricevere le persone trovate sui traghetti che vogliono chiedere asilo o minori, l’autorità portuale che gestisce il sistema di sicurezza, la polizia di frontiera, e da lì si è innescato qualcosa di particolare perché chi lavorava all’interno di strutture dentro il porto ci ha contattato per raccontarci la sua storia, per dirci che sistematicamente e periodicamente si assisteva a procedure irregolari da parte della polizia di frontiera. Raccogliendo tutte queste interviste ci siamo resi conto che era importante deunciare tutte le violazioni che venivano commesse quotidianamente ma anche cercare di comunicarle in un modo diverso, come diceva Alessandra, adesso siamo in un periodo in cui non tutti riescono a condividere la sofferenza e la difficoltà di chi arriva da paesi in guerra e cerca nell’italia un rifugio.
Allora quando abbiamo cominciato a scrivere questo libro, Il porto sequestrato , lo abbiamo strutturato cercando di dedicare la prima parte alla frontiera del porto di Ancona, per far capire ai marchigiani che il mancato rispetto dei diritti di accoglienza per le persone che arrivavano da fuori si traduceva a livello locale nell’espropriazione della parte del porto che era comune a tutti. Con le reti, con i sistemi di controllo, non era più possibile per le persone abituate normalmente ad andare a visiatare il porto, ad andare a vedere il tramonto al posrto, riuscire a fare quello che avevano sempre fatto. Questo sistema di sicurezza pensato per “difendere” la città nel 2001, dopo gli attacchi terroristici, in realtà si era solamente tradotto in una separazione del porto dalla città e aveva costruito ulteriori barriere per le persone che avevano cercato di trovare accoglienza ad Ancona.
All’inizio andavamo a intervistare il Cir e la polizia di frontiera, ma adesso non riusciamo più a farlo, perché indietro non si torna vuol dire anche che dopo tutte le azioni di denuncia e l’attenzione mediatica rivolta sul porto di Ancona adesso ci troviamo nella difficoltà di non riuscire più ad ottenere dati e informazioni. Non ci concedono più interviste perché quello che diciamo è molto scomodo: è scomodo dire che il Cir dovrebbe accogliere le persone ma che in realtà con la Bossi Fini è diventato solo strumento che serve a controllare il flusso di migranti che arrivano al porto ed è uno strumento fatto per respingere e non accogliere, a prescindere dalle persone che ci lavorino dentro. Quello che verrà fuori anche in altri interventi è che comunque per tutti quelli che cercano di arrivano ai porti dell’Adriatico, il fatto di riuscire o meno a fare ingresso nel territorio italiano è discrezionale e dipende esclusivamente dalla persona che si trovano in quel momento di fronte. Se gli operatori del Cir sono in ufficio, c’è una maggiore probabilità di entrare in contatto con un mediatore e forse di riuscire a raccontare la propria storia, ma molte volte le persone arrivano in orari in cui gli uffici non sono aperti o magari gli operatori non sono reperibili. Quello che abbiamo scoperto durante la nostra inchiesta è che i migranti che arrivano al porto di Ancona non hanno solo la difficoltà di riuscire a trovare l’operatore del Cir che viene rintracciato dalla polizia di frontiera, ma devono anche essere molto fortunati: nell’arco di un’ora o un’ora e mezza, prima che il vettore riparta e li riporti in Grecia, devono fare una serie di coloqui alla presenza del mediatore linguistico, e avolte i minori devono acnhe fare l’esame radiologico del polso per stabilire se siano effettivamente minori o meno, e si sa che l’esame del polso ha un margine di errore che va dai 16 ai 24 mesi anche se è la data stabilita che permette o meno a quel ragazzo di restare sul territorio italiano.
Lo scorso anno quando siamo andati a Patrasso abbiamo conosciuto tre ragazzi minorenni che erano stati “respinti” (anche se di fatto tra Italia e Grecia si dovrebbe parlare di “riammissione” tanto è che le persone che vengono riammesse non risultano da nessuna parte), e questi tre ragazzi ci raccontavano di essere arrivati ad Ancona una domenica, la giornata in cui il Cir è chiuso. Ripeto, non dipende dagli operatori del Cir, ma è proprio questione di come è strutturato il srevizio, questi ragazzi che ci hanno descritto la stanza della polizia di frontiera dove erano stati portati e ci hanno raccontato come era fatto il porto di Ancona non avevano nessun documento in mano.
Quando siamo andati a chiedere al Cir e alla polizia di frontiera se ci fossero dei dati su di loro ci hanno detto che non risultavano da nessuna parte. Era una domenica di marzo. Stessa cosa succede continuamente, è successa anche lo scorso dicembre con un gruppo molto numeroso di ragazzi afghani che si dichiaravano minorenni e alcuni sono stati accolti e altri no, ed è una pena vedere queste persone che cercano di rimanere in Italia, e si vede dalla faccia che sono dei bambini, che vengono ripresi e portati indietro sulla nave dopo avere affrontato un viaggio nascosti. Quello che ci troviamo a vivere adesso oltre tutto è che da quando abbiamo cominciato a denunciare quello che stava acacdendo, ad Ancona ci sono le comunità di accoglienza dei minori sono vuote, c’è stato un brusco calo delle accoglienze.
Noi sappiamo che queste persone continuano ad arrivare al porto, ma non riesconoa d uscirne e arrivare fino in fondo al loro viaggio.
L’altra cosa che ho voglia di raccontare anche ai ragazzi greci, è che per cercare di far togliere queste reti di protezione che impediscono l’accesso al porto abbiamo lanciato una raccolta firma in città. Quando i camionisti greci che ad ancona hanno un punto di riferimento in un bar del porto hanno visto la petizione, hanno cominciato loro stessi a raccogliere firme e ci dicevano che secondo loro ultimamente l pratca del ritrovamento delle persone dentro i tir è cambiata: adesso le persone viaggiano principalmente all’interno dei tir, vengono trovate tutte attravesro lo scanner a raggi x – pericoloso per le persone che vengono passate sotto scannere e per gli operatori che lo utilizzano quotidianamente. Secondo quello che di raccontano i camionisti la polizia di frontiera e la dogana sanno già quali sono i camion da andare a sottoporre allo scanner, come se ci fosse già una segnalazione dalla Grecia.
Un’altra particolarità dle libro è che dei poeti di Ancona si sono interessati al nostro lavoro e hanno scritto delle poesie ch lamentavano il fatto che ilm porto non fosse più accessibile alla gente e da una di queste, Il porto sequestrato, ha preso il titolo la nostra pubblicazione. Quello che abbiamo visto è che tutti i sistemi che sono stati messi in campo servono solo per fare confusione e per rendere ancora più invisibili le persone che arrivano al posrto di Ancona.
I dati che abbiamo tra il 2008 e il 2009 cambiano tutti a seconda che le fonti siano la polizia di frontiera, il cir o i comunicati stampa diramati dall’autorità portuale.
I conti non tornano mai, i numeri sono sempre diversi e oltre tutto restano solo numeri: non si parla mai delle storie delle persone. Quello che si diece è la provenienza, l’età – più o meno vera – il sesso. Non si dice mai perché queste persone arrivano, perché fuggono dal loro paese e cosa vorrebbero trovare qua in Europa.


Haris Kostoulas, Solidaritu Group, Igoumenitsa, Gr.

Prima di tutto volevo ringraziarvi a nome del Solidarity group di Igoumenitsa per l’invito. È molto importante per noi confrontarci e parlare di azioni comuni da poter fare insieme.
La situazione che i migranti vivono a Igoumenitsa è molto dura e il nostro gruppo è nato dopo l’omicio da parte della polizia nel porto di un giovane migrante afghano, l’anno scorso. Ci siamo solo da pochi mesi, non abbiamo un’esperienza consolidata come quella di Kinisi a Patrasso.
Quello che stiamo facendo per i migranti di Igoumenitsa è cercare innanzitutto di farli sopravvivere: loro vivno nascosti sulle montagne e una vola a settimana andiamo e gli portiamo cibo e vestiti, andiamo lì con un dottore e tramite questo cerchiamo anche di capire i problemi che hanno queste persone.
Il governo greco, nonostante stia partecipando alla guerra in Aghanistan, quando poi i migranti afghani arrivano in Grecia non gli concede l’asilo. E del resto il governo greco non concede l’asilo a nessuno. Il governo greco non rispetta i diritti umani. Sulle montagne vivono tre o quattrocento persone senza una casa, senza nulla, a chilometri dalla città. Ci sono anche altri migranti senza documenti dtenuti in quello che la polizia greca chiama “chiosco” ma che è una vera prigione, dentro il porto. Non c’è uno statuto giuridico per questo porto. Lì dentro potete vedere anche bambini di otto, nove, dieci anni.
Quando parliamo con i migranti ci dicono che tutti hanno provato a venire in Italia nei tir almeno tre o quattro volte e che tutti sono stati rimandati indietro in Grecia. Loro restano dai tre mesi a un anno in Grecia continuando a provare. Stiamo lottando perché il governo greco dia a queste persone un permesso di soggiorno,perché si decida a concedergli l’asilo, a trattarle come persone. Stiamo cercando di convincere la gente di Igoumenitsa che i migranti non sono un problema, ma hanno dei problemi.
In questa crisi economica stiamo cercando di spiegare alle persone che tutti i problemi che affrontano quotidianamente possono essere messi in comune con quelli dei migranti e che si può cercare di combattere tutti insieme.
Lo scorso mercoledì c’è stato il più grande scippero che la Grecia ha visto negli ultimi trent’anni e moltissimi migranti vi hanno preso parte insieme ai greci.
È molto importante per il nostro gruppo creare azioni comuni con altri in Grecia e in Italia per capire come affrontare tutto questo insieme. Un passo importante potrebbe essere il 20 giugno costruire delle manifestaizoni nei porti e anche nel nostro porto. Vi ringrazio ancora per questo invito e spero che potremo collaborare insieme nel futuro.


Mariani Papanikolaou. Ass. Kinisi, Patrasso, Gr.

Io sono mariani di Kinisi, un’associazione che difende i diritti die migranti e dei rifugiati a Patrasso. La nostra associazione esiste da tre anni e quindi abbiamo un po’ di esperienza in più ma è ugualmente altrettanto importante per noi essere qui oggi e di incontrare altri gruppi che si occupano delle stesse cose.
La situazione per i rifugiati e i migranti è molto dura in tutta la Grecia, ma Igoumenitsa e Patrasso vivono una condizione particolare perché sono città che hanno dei porti da cui le persone possono partire verso l’Italia e quindi le nostre due città sono due luoghi di transito per tutte le persone che vogliono lasciare la Grecia per raggiungere altri paesi europei.
Quasi tutte le persone che arrivano a Igoumenitsa e Patrasso sono potenziali rifugiati, vengono da paesi in guerra come l’Afghanistan la Somalia o il Sudan, ma il goverbo greco non rispetta in alcun modo il diritto d’asilo e quindi queste persone non hanno altra scelta che arrivare nelle nostre città e cercare di raggiungere altri paesi europei.
Quando arrivano in grecia nessuno li accoglie, si interessa a loro, cerca di capire se sono minori o rifugiati e semplicemente li prendono e limettono in progione almeno per tre mesi.
Trattano tutti indistintamente come migranti senza documenti. Quando i migranti arrivano in Grecia capiscono presto che per loro non ci sono diritti umani ed è questo il motivo per cui li vedete arrivare in Italia e povare e provare finché non riescono: è l’unico modo di avere l’asilo politico.
A Patrasso i primi migranti sono arrivati all’inizio degli anni novanta e ancora oggi provano ad arrivare in Italia. Fino allo scorso luglio la maggior parte di loro erano afghani e avevano creato un “campo” vicino al porto dove vivevano. Quel campo non era un nuon posto dove stare, non c’era acqua o bagni, ma era il loro posto, l’unico dove potevano trovare rifugio e organizzarsi aspettando di partire per l’Italia. Come gruppo abbiamo cercato di sostenere queste persone chiedendo alle autorità locali di dare loro l’asilo ma anche un posto dove poter vivere perché ne avevano diritto. Andavamo al campo spesso, portavamo vestiti, cibo, cure mediche. Dopo il campo è stato distrutto dalla polizia che, come aveva fatto con il campo di Calais in Francia, è arrivata alle cinque del mattino, ha arrestato molti membri della nostra associazione, ha scacciato i migranti e ha dato fuoco a tutto. Quando hanno distrutto il campo le persone ostili ai rifugiati e le autorità locali hanno pensato di avere risolto il problema e che non ci sarebbero più stati rifugiati a Patrasso.
Quel che sta accadendo è invece che ci sono ancora molti afghani in città ma vivono nascosti nei campi ed è molto più difficile trovarli e aiutarli, la situazione per loro è molto peggiorata.
Molti altri rifugiati somali o sudanesi vivono adesso nei treni abbandonati alla stazione e stanno iniziando ad affrontare gli stessi problemi che avevano gli afghani nel loro campo.
La polizia arriva e li arresta tutti i giorni perché l’obiettivo è quello di portarli via anche da lì e dicono di volere fare un parcheggio dove ora ci sono questi profughi.
L’unica cosa positiva è che questi migranti africani si stanno auto organizzando e stanno inziando a rivendicare dalle autoritàò locali il loro diritto a un alloggio, il loro diritto all’asilo, il loro diriottoa da vere diritti.
Noi stiamo cercando di incoraggiarli in questa direzione perché anche noi siamo convinti che i problemi non sono così diversi: oggi il governo è così ostile con loro e domano lo sarà sicuramente anche con noi.
Se il governo non rispetta i diritti di persone che fuggono dalla guerra e da condizioni così terribili, perché mai dovrebbe rispettare i diritti di tutti gli altri?
Questo è quello che abbiamo fatto negli ultimi mesi ed è la ragione per cui staimo cercando di organizzarci con altri gruppi in Grecia contro queste leggi nazionali e comunitarie che vogliono che i migranti e i greci vivano entrambi senza diritti.
Alla fine di maggio avermo un festival antirazzista di tre giorni a Patrasso nella piazza centrale dove ci saranno dibattiti sulla situazione dei migranti e dei rifugiati, ma anche concerti e iniziative per combattere contro tutto questo e racconatre alla popolazione quale è la situaizone. Abbiamo anche dei corsi di lingua greca per migranti e un posto dove cerchiamo di farli sentire almeno un po’ accolti nella nostra società. Stiamo cercando di organizzare un programma di azioni che sia continuativo, non solo manifestazioni una volta ogni tanto, qualcosa che possa durare nel tempo e cambiare veramente le cose. Grazie ancora per questo invito.


Gianfranco Bettin, Assessore alle Politiche giovanili e pace, Comune di Venezia

Rubo solo due parole, sarà poi Sandro Simionato a entrare nel merito di un lavoro che come dicevi dura da anni e che vorrebbe fare della nostar città un luogo cui guardare con speranza e con meno timore di come solitamente si guarda all’approdo di chi arriva per questa via.
Noi con le strutture del Centro Pace di Venezia cerchiamo di affiancare il grosso del lavoro che viene svolto dalle politiche sociali e in particolare dalle associazioni che stanno sul campo.
Pensavo prima alla giovane età e ai luoghi di conflitto da cui vengono molte delle persone che cercano di sbarcare e di trovare altre strade, e riflettevo sul fatto che è di questo che ci dovremmo occupare parlando di politiche giovanili e di politiche della pace.
Non esiste la possibilità di una vera pace se da molte parti del mondo la gente continua a scappare per trovare la propria strada e questa strada sono spesso le rotte del mare.
Il lavoro delle vostre associazioni, affiancate dal Comune per come ha potuto fin’ora, è stato volto a rendere consapevole la nostra comunità, la nostra città e il nostro paese di questa faccenda, perché in realtà su tutta questa faccenda grava il peso di una menzogna ripetuta che tende a criminalizzare la vita stessa, ma ancora di più tende a celare queste storie e quando emergono a trasformarle in esperienze a cui guardare con timore.
Oggi la cosiddetta presidente della Provincia di Venezia, Zaccarioto, ha detto che bisognerebbe incriminare per tentato omicidio i venditori ambulanti che a volte scappano via e incocciano contro le persone. Siccome questi vendtori sono terrorizzati a loro volta dalla paura dell’intervento pesante nei loro confronti, quando capiscono che c’è questa possibilità scappano anche in fretta e può succedere il fatto spiacevole che travolgano qualcuno. Ma, su un problema reale, produrre un salto di qualità linguistico di questo genere, che punta a un salto di qualità culturale, perché indica come potenziali assassini costoro, significa esattamente la criminalizzazione di un’intera categoria. Non è la prima volta e non sarà neanche l’ultima, non ci spaventa questo tipo di cose nel senso che non disarma la nostar volontà di continuare a lavorare su una strada totalmente diversa.
Quel che credo debba invece spaventare sono i veleni che sparge intorno, l’intossicazione dell’opinione pubblica e della testa della gente che produce, ed è una ragione in più per rafforzare il nostro impegno che è fatto di informazione, di contro-informazione, di divulgazione di materiali come quelli che abbiamo visto oggi che tendono a ripristinate la verità e tentano di raccontare la storia vera del mondo contemporaneo, di tutte queste persone, e anche la storia vera della nostra città, che è la storia di un incontro magari difficile, ma nel solco di una tradizione che fa della nostra città una città degna di avere un grande porto non solo commerciale, industriale e passeggeri, ma di un grande porto del mondo, come è stata sempre Venezia.
È una storia di cui bisogna essere degni, e quando si sentono cose come quelle ascoltate oggi ci si sente indegni. Per fortuna però la nostra città è molto più che questo e quindi c’è spazio per lavorare e chiedere all’autorità portuale di rispettare fino in fondo ciò che chiedono la nostra Costituzione e la Dichiarazione Universale dei diritti umani, per chiederlo a noi stessi, come amministrazione, di essera all’altezza di questa visione che condividiamo ma che non sempre siamo all’altezza di rispettare per limiti nostri e per limiti oggettivi, per tante ragioni che però non possono rappresentare un’alibi, ma che devono anzi essere elementi in più per spronarci a fare di questa città e del suo porto una città di pace, ma anche una città combattiva per i diritti.
Una città di pace ma non pacificata di fronte a un mondo sconvolto da guerre di ogni genere e a componenti stesse della nostra città e del nostro paese stravolte nella xenofobia, nella disinformazione nell’ignoranza.
Non possiamo essere pacificati di fronte a questo, ma serve una città combattiva contro tutto questo. Questo è ciò che io penso che dovremmo impegnarci a fare, che abbiamo già fatto, ma bisogna fare di più e ci proveremo.


Marco Paggi, Avvocato, Asgi

Cercherà di fare un intervento tecnico e nei temini più sintetici possibile.
Il diritto di asilo viene da lontano. Chi è che non ha sentito parlare della Convenzione di Ginevra del 1951? questa Convenzione nasce in un contesto politico evidente, in piena guerra fredda, quando si immaginava che pochi riuscissero a sfuggire dalle maglie della repressione nei paesi del cosiddetto socialismo reale e, giungendo qui in Italia, meritassero una protezione e quindi un diritto riconosciuto di restare sul territorio con un particolare status giuridico.
Sappiamo benissimo che negli anni Settanta questo diritto d’asilo riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra, e peraltro riconosciuto anche dalla nostra Costituzione come diritto fondamentale all’articolo 10, è stato esercitato anche da persone che non erano soltanto oppositori politici braccati dalla repressione poliziesca, ma anche da tantissime persone che sfuggivano da una situazione in cui non vedevano prospettive e che cercavano delle opportunità.
Insomma, il mix tra motivazioni economiche e motivazioni politiche non è mai stato una novità.
L’approccio a questo fenomeno è molto cambiato nel corso del tempo, perché appunto quando arrivava la fatidica corriera di polacchi a piazza san Pietro che nulla avevano dello status di rifugiati politici, il riconoscimento dello status di rifugiato avveniva praticamente d’ufficio e senza particolari cavilli e restrizioni, e questo è giusto dirlo.
Che cosa è cambiato nel tempo? È cambiato il contesto politico, indubbiamente, ma poi è cambiato anche l’immaginario.
L’arrivo dei cosiddetti “boat people”, delle persone che cercano di attraversare, con tutti i rischi che sono ben noti, con le vittime che sono note, il Canale di Sicilia, viene rappresentato da parte dei media,quasi generalmente ormai, come un’invasione. Ebbene, questa “invasione” riguarda nelle punte massime poco più di 30.000 persone l’anno.
L’anno scorso in Italia sono state presentate, considerando sia quelli che sono arrivati con le navi che quelli che sono arrivati con altri mezzi, 17.000 domande di asilo. Pensate che con l’ultima sanatoria per le sole colf e badanti nel giro di una settimana sono state presentate 300.000 domande e 300.000 persone hanno avuto la possibilità di soggiornare liberamente, di circolare liberamente e non incorrere in misure repressive, salvo poi ulteriori problemi che ci sono nell’applicazione della sanatoria ma questo poi è un altro discorso. Quindi, anche soltanto rapportando le cifre, si capisce come il fenomeno della richiesta d’asilo, da un punto di vista numerico non possa intimidire o preoccupare uno Stato.
Le domande di asilo presentate in un anno, nell’anno di massima quantità, non sfiorano neanche la metà delle domande di ingresso decretate dal governo per il solo lavoro stagionale.
In altre parole, quello che voglio dire è che si tratta di quantitativi che possono essere amministrati senza allarme, senza terrorismo, senza sindrome da invasione che viene alimentata naturalmente per altri motivi, per fare commercio elettorale.
Ora, il fenomeno degli sbarchi e dei tentativi di sbarco nel canale di Sicilia è in qualche modo più noto e anche più eclatante: si vedono queste persone in mezzo al mare in pericolo di vita, moltissimi annegano, moltissimi stanno per giorno appesi alle reti delle tonnare sperando che arrivi qualcuno. Quando arriva qualcuno che è sopravvissuto e sempre felicissimo perché è sopravvissuto e perché è riuscito ad arrivare qua, e rispetto al lutto dei tanti compagni di avventura annegati, morti, vittime di sfruttamento, di soprusi e di sevizie, comunque è ancora più grande la gioia di essere giunti sul territorio italiano.
Pensate il percorso che fanno queste persone e rispetto a queste persone ormai si sprecano i documenti di condanna, l’ultimo cronologicamente è un documento presentato nel 2009 dal Comitato Contro la Tortura del Consiglio d’Europa che condanna l’Italia per lesione dei diritti umani fondamentali, e in particolare mette a fuoco come questa politica muscolare di respingimento in mare verso la Libia - che comporta l’assoggettazione di queste persone a ulteriore repressione e sfruttamento sia da parte di contrabbandieri e passeurs che da parte delle forze di polizia locali in condiizioni disumane - costituisca una violazione dei diritti umani di cui l’Italia è complice.
Rispetto a questa situazione, denunciata più volte anche dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite e che è stata oggetto anche di ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, concretamente si è fatto molto poco.
In particolare, aspetti legali e formali hanno fino ad ora impedito alla Corte europea dei Diritti dcell’Uomo di condannare l’Italia per gravissime violazioni dei diritti umani e per violazione del diritto d’asilo e del diritto di non essere respinti alla frontiera quando si presenta una domanda di asilo - il diritto di non refoulement, sancito dalla Convenzione di Ginevra - per il semplice motivo che i “clienti”, i migranti che hanno fatto ricorso, non sono più reperibili una volta ricondotti in Libia.
Anche l’Asgi ha presentato recentemente un ennesimo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e ci auguriamo che almeno uno dei mandanti, dei soggetti che hanno conferito la procura, sia ancora rintracciabile nel momento in cui questo procedimento, che è rubricato ufficialemente alla Corte giungerà all’esame di merito.
La situazione con la Grecia è diversa dal punto di vista strettamente giuridico perché la Grecia fa parte dell’Unione europea, e facendo parte dell’Ue si applica in ambito europeo una normativa che è definita molto banalmente come normativa Schengen.
Come si sa, la Convenzione Schengen ha soppresso le frontiere interne tra gli Stati membri, stabilendo delle regole preposte alla vigilanza e al controllo delle frontiere esterne a cautela e a garanzia di tutti gli Stati membri, sicché, una volta liberate le frontiere esterne tutti gli Stati membri dovrebbero sentirsi più garantiti da un sistema di scambio di informazioni che si sintetizza nel Sistema Informativo Schengen, e di regole anche per quanto riguarda l’individuazione del paese competente all’esame della domanda di asilo - o di protezione internazionale che dir si voglia - secondo il cosiddetto regolamento Dublino.
Ma, appunto, le norme europee riconoscono il diritto di asilo e lo hanno ulteriormente sviluppato. La Direttiva 84 del 2003, la cosiddetta Direttiva Qualifiche, recepita nel Decreto Legislativo 251 del 2007, garantisce il diritto di asilo sotto due forme: il diritto allo status di rifugiato che riguarda le persone individualmente perseguitate dalle autorità o da altri enti non governativi che hanno il controllo del territorio nei paesi di provenienza, e il diritto alla cosiddetta protezione sussiddiaria, che una volta si chiamava protezione umanitaria, che riguarda tutti coloro che rischiano un grave pregiudizio del loro diritto alla vita o di altri diritti fondamentali nel loro paese a causa di una situazione di violenza generalizzata, ed è attualmente la situazione dell’Afghasnitan, dell’Iraq, del Sudan, della Somalia e di altri paesi.
Si tratta di persone che quindi hanno diritto di accedere al territorio, o quanto meno, nella misura in cui riescono ad accedere al territorio europeo, hanno diritto di presentare una domanda di asilo e che questa sia ricevuta ed esaminata da organi competenti.
Per quanto riguarda l’Italia, nonostante i problemi che anche qui ci sono rispetto al diritto d’asio, a partire dai respingimenti in mare che ne impediscono l’esercizio, per coloro che riescono ad arrivare e a presentare una domanda di protezione internazionale che venga esaminata dalle commissioni competenti, che badate bene non sono commissioni di facinorosi no global, ma sono commissioni a prevalente composizione ministeriale, ebbene per costoro la percentuale di accoglimento delle domande supera il 40%.
Pure spuntando tantissime posizioni che si disperdono sul territorio, perché magari si tratta di persone senza fissa dimora e senza recapito per le comunicazioni, pure tralasciando le tante persone che poco fidandosi, forse a ragione, si recano verso altri paesi del Nord Europa, pure tralasciando altri problemi applicativi delle norme in materia, la percentuale è alquanto significativa se rapportata alla percentuale di accoglimento delle domande di protezione internazionale che invece troviamo in Grecia.
In Grecia abbiamo una percentuale che definirei eufemisticamente omeopatica: lo 0,04% dei richiedenti protezione internazionale ottiene in prima istanza il riconoscimento della protezione stessa.
Se consideriamo la cosiddetta fase di appello, sempre in ambito amministrativo e sempre su decisioni di organi ministeriali, e se consideriamo l’ulteriore fase giudiziaria del riscorso al tribunale, arriviamo a mala pena al 2%. Questo dovrebbe bastare per non chiedersi quali siano i problemi che concretamente producono questo tasso ridicolo e che sono stati denunciati ufficialmente dall’Acnur in maniera circostanziata: le condizioni di detenzione che non consentono la presentazione della domanda di protezione internazionale, e delle procedure bizantine che praticamente producono l’interruzione del procedimento nel momento in cui il soggetto diventa irreperibile (ma il soggetto è irreperibile per definizione perché non si garantisce alcuna misura di accoglienza, quindi non ha nessun recapito e non è rintracciabile da nessuna parte).
Senza contare poi le motivazioni che nella migliore delle ipotesi, e comunque sempre prestampate, non raggiungono le due righe nei provvedimenti di diniego.
Ma la cosa ancora più carina è che andando poi a vedere i fascicoli, l’Acunr scopre che non c’è un’istruttoria, non si dà contezza di un’audizione dell’interessato per sentire quali sarebbero stati i suoi problemi nel paese di provenienza e quali sarebbero le motivazioni della sua richiesta. Insomma delle procedure false, diciamolo pure.
Torno a dire, però, che la Grecia ha di diverso rispetto alla Libia che fa parte dell’Unione europea e qualcuno potrebbe dire che quindi abbiamo delle garanzie. Effettivamente la Grecia è sottoposta come gli altri paesi europei dello spazio Schengen all’applicazione del regolamento Schengen che disciplina il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di allontanamento e la tutela delle frontiere esterne, è sottoposta al regolamento Dublino, ma rispetto al regolamento Dublino c’è stato un recente procedimento di infrazione perché appunto di fatto questo non risulta rispettato ele persone che avrebbero diritto di accedere alla procedura di asilo in Grecia di fatto non ci riescono.
Cosa succede nel rapporto tra Italia e Grecia? Le persone intervistate nel vidoe lo hanno detto in manera più comprensibile di quanto possa dirlo io ora: i fatti parlano chiaro.
Ma dal punto di vista giuridico quello che va sottolineato è che la prassi utilizzata dalla polizia di frontiera italiana e di cui si lamenta la stessa polizia greca è una prassi che non corrisponde alle norme vigenti. Si parla di provvedimenti di riaccompagnamento, di respingimento.
Ma il respingimento alla frontiera, termine un po’ cacofonico, significa che quando una persona si presenta a una frontiera e non ha i titoli per entrare viene rimandata indietro. È un provvedimento che peraltro non ha carattere sanzionatorio: la stessa persona due minuti dopo potrebbe presentarsi alla stessa frontiera munita di titoli per l’ingresso ed entrare senza che ciò comporti nessun tipo di interdizione, inibizione o sanzione. Ma, in realtà, il provvedimento di respingimento si giustifica solo quando c’è una frontiera esterna allo spazio Schengen perché il Regolamento 562 del 2006 ha abolito le frontiere interne e di fatto non consente più di adottare provvedimenti di respingimento all’interno dello spazio Schengen. Per fare un esempio banale, se una persona è per ipotesi irregolare in Francia, transitando liberamente all’ex frontiera con L’Italia viene intercettata in Italia, deve essere colpita da una provvedimento di espulsione e non di respingimento per tanti motivi e principalmente perché non c’è più una frontiera.
Il respingimento è un provvedimento che per legge deve essere adottato nei confronti di chi si presenta al valico di frontiera o tenta di sottrarsi ai controlli di frontiera.
Qui la frontiera non c’è più, e capite bene che manca proprio il presupposto per l’applicazione di questo provvedimento.
Ma, appunto, nella prassi con la Grecia si pretende di continuare ad applicare un accordo del 1999, un accordo di riammissione, che prevede il rinvio verso i paesi di provenienza, a parte poi l’applicazione della Convenzione di Dublino che non c’è. Ma l’accordo non prevede quale tipo di provvedimento debba essere adottato per attuare la riammissione.
Il provvedimento non può essere il respingimento perché c’è solo una frontiera interna e alla fontiera interna non ci dovrebbero essere, sono impediti dei controlli sistematici di frontiera e dovrebbero essere svolti soltanto dei controlli a campione o in caso di particolari situazioni segnalate in modo contingente e peraltro nemmeno dalla polizia di frontiera ma dai normali organi di polizia.
Queste cose che sto dicendo sono tutte cose che avevo già scritto per un parere richiestomi dal Comune di Venezia nel 2007 proprio con riferimento alla prassi nel porto di Venezia.
Peraltro, obiettivo delle norme Schengen che presiedono alla tutela delle frontiere esterne è anche quello di non avere all’interno dello spazio Schengen degli stranieri che sono "in orbita", che vengono palleggiati da un paese all’altro e verso i quali non si riesce di fatto, per mancanza di provvedimenti formali nemmeno a individuare la giuridizione.
A chi compete, all’Italia, giudicare sui diritti o doveri di queste persone o su eventuali violaizoni, o alla Grecia, o a chi altro?
Con le norme Schengen, che sono norme vigenti per lo Stato italiano - il regolamento 562 del 2006 è legge dello Stato a tutti gli effetti, e non ha nemmeno bisogno di essere recepito per essere vigente - l’unico provvedimento che potrebbe essere adottato nei confronti di un irregolare che giunge privo di titoli dalla Grecia come da qualsiasi altro paese di frontiera interna dovrebbe essere l’espulsione.
Qualcuno potrebbe dire: ma allora ci butti dalla padella alla brace, ci proponi l’espulsione al posto del respingimento o della riammissione ai sensi dell’accordo tra Italia e Grecia. Non è così perché il provvedimento di espulsione, per essere adottato, comporta la necessaria convalida davanti a un giudice, il diritto dell’interessato di avere una difesa e - una recente sentenza sentenza della Corte di Cassazione lo ha ulteriormente sottolienato ma doveva essere pacifico già da prima - davanti al giudice di pace non si può attuare un mero controllo formale o notarile dei presupposti all’espulsione, ma si deve anche verificare se vi sono i presupposti per applicare uno dei possibili divieti di espulsione e tra questi prima di tutto il diritto di rimanere per chi rischia di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti nel apese di destinazione o di essere perseguitato o di essere rinviato verso paesi dove rischia persecuzione, secondo l’art. 19 T.U sull’immigrazione.
Per altro lo stesso articolo prevede il diritto dei minori non accompagnati di essere tutelati da parte delle istituzioni locali e anche questo diritto, come abbiamo visto, sembra essere messo in serio pericolo.
Innazitutto c’è la scarsa affidabilità dell’esame di densimetria ossea, che è un esame che permette di stabilire la minore età di un bambino o la maggiore età di un soggetto palesemente adulto, ma è chiaro che ci interessa fare un esame del genere per un soggetto che è border line tra la minore e la maggiore età, e da questo punto di vista è un esame palesemente inaffidabile.
In base al provvedimento di espulsione ci sarebbe la possibilità di accedere effettivamente all’esercizio del diritto di asilo, perché queste persone avrebbero la possibilità di dichiarare la loro provenienza, di dichiarare le ragioni della fuga dal loro paese e di accedere alla protezione internazionale sotto forma del conferimento dello status di rifugiato o della protezione sussiddiaria, mentre i minori non accompagnati avrebbero diritto di essere trasferiti presso i servizi sociali nel caso dei minori non accompagnati.
Ma questo è appunto quello che non avviene perché alla frontiera portuale di Venezia, e scusate se ho detto frontiera perché non dovrebbe essere considerata una frontiera, di fatto questo accesso non c’è.
Si attuano questi provvedimenti “ruspanti” di respingimenti alla frontiera che non sono nemmeno formalizzati secondo la modulistica che ancora il Regolamento alle frontiere Schengen imporrebbe nel caso in cui da una frontiera esterna si trattasse di respingimenti, e quindi non c’è un controllo.
Ricordo che qualche anno fa abbiamo avuto un incontro con il comandante della polzia di frontiera del porto di Venezia e abbiamo chiesto i dati, era il periodo in cui non c’era ancora la guerra in Iraq ma c’era la persecuzione verso i curdi. Ricordo che abbiamo chiesto i dati sui respingimenti e il funzionario molto gentilmente ci ha dato dei dati numericamente poco importanti, parliamo di migliaia di respingimenti dichiarati, censiti come, di fatto non era controllabile.
Quando abbiamo chiesto la composizione su base nazionale dei respinti ci è stato detto che la quasi totalità erano cittadini iracheni e turcgi, abbiamo osservato che forse erano prevalentemente curdi, magari richiedenti asilo. Ci è stato risposto che non lo sapevano e che nessuno di questi aveva chiesto asilo.
Come facevamo a dimostrare il contrario?
È ben dura se non c’è nessuno che controlli il controllore. D’altra parte è quello che sta continuando a succedere, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, non succede solo a Venezia ma succede anche ad Ancona, Bari e Brindisi e nella stessa Marghera. È chiaro quindi che il diritto non è rispettato. Viene viuolato il divieto di non refoulement, viene violato l’obbligo di garantire un effettivo accesso alla procedura di asilo, viene violata la Convenzione europa dei diritti dell’uomo, viene violata la procedura che legalmente dovrebbe essere adottata in questi casi e viene pregiudicato l’esercizio dio un diritto fondamentale là dove poi si rinvia questa gente in un paese che la Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche la giurisprudenza italiana, in quei rari casi dove è possibile tutelare la persona perché era rimasta sul territorio, hanno considerato un paese non sicuro dal punto di vista dell’effettiva applicazione delle norme in materia di protezione internazionale.
Per concludere ritengo che certo un intervento politico e non solo dall’alto nei confronti della grecia meriti di essere fatto. Se non lo fa in manieria sufficientemente efficace l’Unione europea, che pure tramite la Commissione ha avviato un procedimento di infrazione come dicevo prima, anche dal basso merita di essere caldeggiato. Questo da solo non basta, anche se raggiungere una minima praticabilità delle procedura di asilo anche in Grecia sarebbe in ogni caso un risultato importante. Ma certo è che un intervento meriterebbe di essere fatto anche in Italia, porto per porto e credo che sia ormai evidente, numeri alla mano, testimoni alla mano, un intervento sul modello sperimentato dal Cir fino ai nostri giorni non si sia dimostrato efficace e abbia prodotto un approccio forse troppo timido a una così grande problematica.


Don Nandino Capovilla, Cappellano della Diocesi di Venezia per il porto.

Welcome. Welcome non è solo un indovinato slogan, non è solo un logo: tutti gli interventi precedenti sono il segno di un impegni straordinario che deve continuare.
Welcome, scusate per il riferimento al quotidiano, me lo ritrovo tutte le mattine quando esco da casa: mi hanno regalato uno zerbino con scritto Welcome e quindi tutte le mattine e tutte le sere ritrovo questo allegro richiamo a qualcosa che è una scelta: l’accoglienza, il rifiuto forte, chiarissimo di tutte le intolleranze e di tutti i respingimenti, e che vorrei che diventasse davvero lo zerbino del porto di Venezia.
Poi esco di casa e mi capita di andare con gli amici della Stella Maris friends sulle navi che arrivano al porto, e di incontrare in modo molto semplice persone che hanno storie di enormi sofferenze, che appartengono a questa categoria dei marittimi, che sono in una specie di schiavitù, legati a un lavoro molto duro sulle navi commerciali.
Ma c’è ben altra accoglienza, come abbiamo sentito questa sera, per le persone che non per gentile concessione del governo hanno dei diritti che sono loro innati come esseri umani e come persone.
Questa è la decisione da prendere, da rilanciare, da verificare. Io non lo vedo con i miei occhi perché queste vicende che ora hanno anche le prove, prove che noi dobbiamo divulgare sempre di più, sono storie nascoste anche a me che vado sulle navi. Immagino questa situazione di degradazione umana nascosta, perché il porto è un posto dove nessuno può entrare, ci vuole un tesserino e un’identificazione, tutte cose che nascondono la vera realtà: le persone con i loro diritti innati di cui sono titolari vengono dopo. Vengono dopo queste prassi di respingimenti e di espulsione, e l’avvocato ci ha detto che bisogna essere attenti anche alle parole, ai concetti.
In realtà i documenti ci sono tutti, pensate che lavoro dovrei fare io da prete se andassi in giro per le chiese a ricordare ai miei confratelli che ci sono documenti straordinari già scritti. Nel 2000 è stata anche fatta una carta ecclesiale dei diritti dei profughi. Ve ne leggo solo un passaggio che dice:
noi rifugiati e richiedenti asilo presentiamo questa carta dei diritti. Il primo è il diritto di non essere respinti alle frontiere presso le quali chiediamo protezione e di ricevere un agiusta e tempestiva risposta alla domanda di essere riconosciuti come rifugiati e di ottenere asilo. Il secondo è il diritto di essere ascoltati da un’autorità competente e ben disposta. Di non subire i trattamenti di detenzione durante l’esam della domanda...”.
Parole precisissime che poi però non arrivano forse ad essere parte delle prediche domenicali. Ma ritorno sul mio incarico al porto, e credo che la considerazione da fare sia anche di tipo culturale, è già stato accennato.
È la cittadinanza universale come concetto che purtroppo è diventato fragilissmo come concetto, anche se negli anni Cinquanta era il presupposto della Costituzione italiana ed era condiviso da tutti in ogni riflessione, mentre oggi viene vinta da quello che è lo strumento politico per eccellenza, che è la paura.
La paura viene usata in modo ormai esplicito dai nostri politici. La nave della nostra città e del nostro paese naviga ormai su questa melma schifosa che è il razzismo, come questa onda nera che nessuno ferma più nella Lousiana.
È un’onda nera che nessuno ferma più questo razzismo, ormai così viscido e così nausenate che ci fa talmanete schifo, ma che ce lo ritroviamo dappertutto.
Come per questo petrolio non riusciamo a trovare la barriera giusta anche al razzismo non si riesce a trovare una barriera, se non questo lavoro della rete Tuttiidirittiumanipe-rtutti che però deve diventare un lavoro culturale per reagire a tutto questo.
Allora se dovessimo dare un voto al nostro governo daremmo uno zero in condotta rispetto a questa accoglienza che è parola ormai assolutamente in disuso.
Sono andato a riascoltare, perché sapevo che ne aveva parlato anche Gentilini in Riva dei Sette Martiri a Settembre, quel discorso sullo zero, e mi è venuto male.
Lui diceva così: “se il ministro Maroni parla di tolleranza zero allora io vi dico che noi useremo la tolleranza doppio zero”. Ho poi partecipato a un convegno della Caritas che parlava ancora di zero ma che diceva invece “zero poverty”, dava zero alla povertà e zero al razzismo.
Credo che questo sia un lavoro che si muove su un livello diverso da quello della Rete, ma che entrambi siano fondamentali per affrontare questa onda nera che sembra avvolgerci, ma che non ci ha sommerso assolutamente.


Sandro Simionato, Vice Sindaco e Assessore alle Politiche Sociali e al Bilancio

Vi ringrazio davvero per l’iniziativa che avete fatto qui oggi. Ci siamo visti circa un anno fa e abbiamo parlato di queste cose ed era presente l’allora Sindaco Massimo Cacciari, mentre era appena partita questa vostra operazione di ricorso.
Io vi ringrazio perché ci aiutate a tenere sempre vivo questo sguardo di attenzione su questo tema così forte che è quello del rispetto dei diritti umani che qui si traducono nel diritto all’accoglienza e nel diritto ad avere una propria vita dignitosa in un paese che non è il proprio, lasciandosi alle spalle grandi difficoltà, ma anche affetti cari e spazi in cui il radicamento c’era.
Dicevate prima che parliamo di numeri eccetera, ma dietro questi numeri ci sono uomini e donne, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, e ognuno si porta dietro il proprio bagaglio di vita vissuta di rapporti, di sofferenze quasi sempre, di relazioni, di dolori. E queste cose spariscono, sembrano volatilizzarsi.
Io quindi vi ringrazio di questa costanza che viene evidentemente da una motivazione forte che è quella di mettere al centro della propria attenzione le persone.
E naturalmente questo si incarna poi in politiche, è questo il tema vero. Noi mettiamo al centro della nostra riflessione gli uomini e le donne, e questi uomini e queste donne e i loro diritti fanno sì che le nostre azioni acquisiscano una valenza politica di un certo tipo piuttosto che un altro.
Certo non abbiamo noi la pretesa, credo, di essere risolutori di questo problema. Ci sono problematiche di carattere giuridico e internazionale che riguardano in nostro paese, i paesi vicini, la comunità europea, riguardano il rispetto dei diritti umani a livello internazionale. Non abbiamo la pretesa di risolvere questo problema, ma di essere sul pezzo sì, di esser coloro che tengono viva questa attenzione su questi temi sì.
Io vi ringrazio del lavoro che fate e vi ringrazio di avere scelto Venezia che ha fatto da sempre il suo lavoro come amministrazione comunale.
Dal porto ci hanno di fatto fatto uscire, non siamo andati via per scelta. Sei messo a volte nella condizione di non potere svolgere con la modalità che tu ritieni opportuna e senza poi sostanzialmente essere anche presi in giro per il lavoro che si fa, il mandato che ci era stato dato anche dagli accordi presi con la Prefettura. Noi siamo presenti sul pezzo dal 1997, e nel 2007 era stato fatto anche un protocollo con la Prefettura che però non è durato nemmeno un anno e questo ci ha messo tutti in grave difficoltà e in grave crisi anche di coscienza da questo punto di vista, perchè sappiamo che è calata una cappa di disinformazione dentro i porti in cui non sappiamo più che cosa accade se non andando poi a recuperarlo come avete fatto voi in quei paesi in cui le persone vengono respinte.
Quindi dicevo, non è che noi siamo venuti meno, la nostra responsabilità di essere sul pezzo c’è stata e c’è ancora, con lo Sprar il nostro sostegno ai rifugiati e ai richiedenti asilo viene dato qui, nel nostro territorio, investiamo risorse importanti nonostante le difficoltà che abbiamo nell’accoglienza e nella tutela dei minori non accompagnati, cosa che ci viene affidata dalle normative nazionali e internazionali, ma rispetto alla quale siamo in assoluta solitudine. Noi ci stiamo a questo percorso, da questo punto di vista Indietro non si torna. Ci siamo, vogliamo esserci, continuare a fare quello che abbiamo fatto in questi anni ed essere con voi megafono di questa situazione.
Naturalmente c’è un clima politico nel nostro paese che non facilita questi percorsi. Solo la Chiesa in alcuni momenti sembra essere dalla parte dei più deboli mantenendo la propria matrice, ma sicuramente non lo è questo governo, non lo sono nemmeno gli amministratori locali che fanno riferimento alle forze politiche che governano in questo momento l’Italia. Prima sono state ricordate le dichiarazioni della Zaccarioto, che fanno assolutamente pendant con quelle che ha fatto ieri il Sindaco di Mialno.
Quando si pensa di fare un sillogismo per cui chi non ha documenti è sicuramente un potenziale delinquente, è evidente che c’è quel seminare quel veleno che non aiuta sicuramente a far crescere la consapevolezza della necessità di difendere i diritti di tutti, e in particolare di queste persone che sono più deboli e che, come ricordavano i ragazzi greci, significa difendere anche i nostri.
Noi il 28 giugno faremo la presentazione di un libro che è stato curato da Melting Pot che si intitola Tracce e che vuole dare un nome, una storia, fisionomia a queste persone che sono passate, magari non direttamente attraverso il porto di Venezia, anche se qualcuna sì, am che hanno avuto la possibilità di afer quella famosa richiesta che poi ha dato il via a un percorso asilo.
Spero che questa presentazione possa essere uno dei pezzi del lavoro che possiamo fare insieme nella prospettiva di questo percorso che vi siete dati.
Naturalmente questo comporta una sensibilizzazione forte nei confronti dei nostri concittadini, ma anche nei confronti delle autorità preposte a svolgere determinati compiti: credo che sia necessario un confronto forte con l’autorità portuale, ma anche con il prefetto che rappresenta comunque l’autorità dello Stato e del Governo.
Indietro non si torna e l’impegno che ci siamo assunti nel passato e che credo questa sera di potere assumere anche a nome dell’intera amministrazione è di stare al vostro fianco. Indietro non si torna davvero.

Welcome - indietro non si torna