Da maggio del 2009, con i respingimenti dei migranti verso la Libia, ha
avuto inizio una delle pratiche più violente e lesive della dignità
umana che le istituzioni italiane abbiano mai messo in atto. Donne,
uomini e bambini, per la maggior parte in fuga da guerra e persecuzione,
sono stati ricacciati verso le prigioni libiche, gli stupri e le
deportazioni nel deserto.
Pochi sanno che anche dai porti di Venezia, Ancona,
Bari e Brindisi, la polizia di frontiera respinge ogni anno migliaia di
profughi che cercano, nascondendosi dentro o sotto i tir in partenza
dai porti di Igoumenitsa e di Patrasso, di fuggire dalla Grecia, paese
dove l’asilo non esiste (o,03% delle richieste accolte) e che riserva ai
migranti un trattamento paragonabile a quello libico.
Tra di loro moltissimi minorenni e bambini ora rinchiusi nelle carceri
greche o rimandati in Turchia e da lì, molto spesso, nei loro paesi
d’origine in mezzo alla guerra.
Contro tutti i respingimenti e per la difesa del
diritto d’asilo, è partita la campagna Welcome. Indietro non si torna , che è stata
presentata l’11 luglio a Venezia nel corso di un convegno cui
hanno preso parte la Rete di associazioni veneziane
Tuttiidirittiumanipe-rtutti, L’ambasciata dei diritti di Ancona, Il
solidarity Group di Igoumenitsa, l’Associazione Kinisi di Patrasso,
oltre che l’Avvocato Marco Paggi, Don Nandino Capovilla e, del Comune di
Venezia, il vicesindaco e assessore Sandro Simionato insieme
all’assesore Gianfranco Bettin.
In apertura dell’iniziativa è stato presentato il video Indietro non si torna, che fa
vedere e racconta, meglio di ogni parola, la violenta realtà dei
respingimenti tra l’Italia e la Grecia, le condizioni dei
profughi nella Repubblica ellenica, e la militarizzazione di questa
frontiera interna ad un’Unione europea che, sull’altare della
"sicurezza", ha sacrificato nei fatti ogni prospettiva politica e
sociale basata sulla reale tutela dei diritti fondamentali e di un nuovo
modello di cittadinanza possibile.
Questo documentario, prodotto dalla Rete
Tuttiidirittiumanipe-rtutti e da Melting Pot Europa, viene messo a
disposizione come strumento di costruzione della campagna Welcome che
porterà, il 20 giugno,giornata mondiale del rifugiato, a una
mobilitazione che coinvolgerà i porti italiani dell’Adriatico e quelli
greci di Igoumenitsa e Patrasso.
Guarda il video "Indietro non si torna"
Di seguito, tutti gli interventi del Convegno
Alessandra Sciurba, Progetto melting Pot Europa e Rete di Associazioni Tuttiidirittiumanipe-rtutti, Venezia:
Cosa significa “Indietro non si torna” per noi, per
questa Rete di associazioni veneziane che da anni sta combattendo contro
la realtà dei respingimenti, “indietro non si torna” significa che
denunciando e raccontando quello che succede dai porti dell’Adriatico ci
siamo presi una responsabilità che ci sentiamo sulle spalle. Da quando
abbiamo cominciato a raccontare quello che sta succedendo non ci sono
più notizie. I giornalisti non riescono più ad avere i pochi dati che
avevano prima. Prima la polizia di frontiera o l’autorità portuale
dicevano in maniera molto disinvolta che avevano respinto dieci, venti,
trenta “clandestini”.
Da quando siamo riusciti a spiegare alle
persone l’illegalità dei respingimenti e chi erano questi “clandestini”
respinti, purtroppo quello che è successo è che il silenzio sui porti è
diventato ancora più denso e impenetrabile. Quindi per noi Indietro non
si torna vuol dire anche che abbiamo cominciato e stiamo provando ad
arrivare fino in fondo. Per
questo siamo ritornati in Grecia: per avere ancora la certezza che
nulla è cambiato e che le cose sono anzi peggiorate.
Indietro non si torna poi significa anche che i migranti, e soprattutto i
profughi che scappano da guerra e violenza, indietro non ci tornano
perché non possono tornare. Quello che sta succedendo con i
respingimenti da tutta Italia non può restare una cosa impunita e non
denunciata, non può essere assunto come qualcosa di normale. Questa
campagna, “Welcome. Indietro non si torna”, si concentra sulle frontiere
dell’Adriatico perché ci sono, sono qui, concrete e materiali. Qui a
Venezia, ad Ancona, a Bari e a Brindisi, e perché abbiamo la grande
fortuna di avere di fronte non la Libia ma la Grecia, dove ci sono dei
gruppi con cui potere lavorare su questo argomento. Ma il nostro è un
discorso molto più ampio che vuole parlare di tutti i respingimenti che
in questo momento ci sono dall’Italia. La frontiera di lampedusa ci è
stata sottratta, ma i respingimenti continuano nel mediterraneo con
forme sempre più violente e noi non possiamo restare in silenzio.
Quello che viene proposto oggi, insieme
all’analisi, alla riflessione e alla denuncia, è quindi di assumere la
frontiera dell’Adriatico come luogo di lotta contro tutti i
respingimenti che in questo momento sono effettuati dall’Italia contro
ogni legge, e l’avvocato Marco paggi ci spiegherà nel dettaglio
in che modo questi respingimenti violano le leggi stabilite.
Indietro non si torna, infine, perché si potrebbe dire, in questo
momento storico così complesso, cosa ce ne importa del diritto d’asilo?
Cosa ce ne importa di queste persone che vengono da lontano?
Siamo
in crisi. Una crisi profondissima, economica sociale e politica. E
allora il ricatto è questo: dimenticatevi la solidarietà e i valori
dell’antirazzismo, dimenticatevi tutto, siete giustificati: c’è la
crisi.
E noi invece oggi e qui vogliamo
affermare che noi indietro non torniamo rispetto a ciò in cui crediamo,
rispetto all’idea di società aperta e inclusiva che vogliamo.
Per noi è questa l’unica soluzione alla crisi, ciò da cui vogliamo
ripartire. L’Europa sta dimostrando in questo momento di essere un
contenitore vuoto, che non è in grado di avere nessuna prospettiva nuova
sulla società. E allora difendere il diritto all’asilo, il diritto a
una vita dignitosa, riappropriarci di cose come l’antirazzismo e la
solidarietà – perché oggi è crollato anche il tabù del razzismo, è
permesso in tempo di crisi dire di essere razzisti – bene, dire che noi
dai nostri valori e dai nostri prinicipi anche e soprattutto in tempo
di crisi indietro non torniamo, pensiamo che sia particolarmente
importante, fondamentale e che possa anzi rappresentare una via di fuga
in un momento di confusione e difficoltà come questo.
Valentina Giuliodori, Ambasciata dei diritti di Ancona,
L’Ambasciata dei diritti delle Marche è un’associazione
Onlus che offre servizi legali gratuiti per i migranti e anche noi come
la Kinisi facciamo corsi gratuiti di lingua. Lo scorso anno siamo andati
anche noi a Patrasso, abbiamo incontrato Kinisi, abbiamo visitato il
campo che è stato distrutto, e tornati ad Ancona abbiamo deciso di
creare un osservatorio che abbiamo nominato Faro sul porto. È lo
strumento che ci siamo dati per monitorare e denunciare tutto quello che
stava succedendo nel porto di Ancona. Non so quanti di voi conoscano la
nostra città, ma è una città di frontiera. Dopo il
2001 nel porto sono stati istallati dei sistemi di sicurezza molto
visibili. Il porto storico dove arrivano i traghetti e anche le navi
merci, da qualche anno è totalmente isolato dalla città.
Sono state istallate reti, telecamere, ed è difficile accedere. Quando
abbiamo cominciato il lavoro dell’osservatorio siamo andati a conoscere
chi lavorava dentro il porto: dal Cir che si occupa dei ricevere le
persone trovate sui traghetti che vogliono chiedere asilo o minori,
l’autorità portuale che gestisce il sistema di sicurezza, la polizia di
frontiera, e da lì si è innescato qualcosa di particolare perché chi
lavorava all’interno di strutture dentro il porto ci ha contattato per
raccontarci la sua storia, per dirci che sistematicamente e
periodicamente si assisteva a procedure irregolari da parte della
polizia di frontiera. Raccogliendo tutte queste interviste ci siamo resi
conto che era importante deunciare tutte le violazioni che venivano
commesse quotidianamente ma anche cercare di comunicarle in un modo
diverso, come diceva Alessandra, adesso siamo in un periodo in cui non
tutti riescono a condividere la sofferenza e la difficoltà di chi arriva
da paesi in guerra e cerca nell’italia un rifugio.
Allora quando
abbiamo cominciato a scrivere questo libro, Il porto sequestrato , lo abbiamo strutturato
cercando di dedicare la prima parte alla frontiera del porto di Ancona,
per far capire ai marchigiani che il mancato rispetto dei diritti di
accoglienza per le persone che arrivavano da fuori si traduceva a
livello locale nell’espropriazione della parte del porto che era comune a
tutti. Con le reti, con i sistemi di controllo, non era più possibile
per le persone abituate normalmente ad andare a visiatare il porto, ad
andare a vedere il tramonto al posrto, riuscire a fare quello che
avevano sempre fatto. Questo sistema di sicurezza pensato per
“difendere” la città nel 2001, dopo gli attacchi terroristici, in realtà
si era solamente tradotto in una separazione del porto dalla città e
aveva costruito ulteriori barriere per le persone che avevano cercato di
trovare accoglienza ad Ancona.
All’inizio andavamo a intervistare
il Cir e la polizia di frontiera, ma adesso non riusciamo più a farlo,
perché indietro non si torna vuol dire anche che dopo
tutte le azioni di denuncia e l’attenzione mediatica rivolta sul porto
di Ancona adesso ci troviamo nella difficoltà di non riuscire più ad
ottenere dati e informazioni. Non ci concedono più interviste
perché quello che diciamo è molto scomodo: è
scomodo dire che il Cir dovrebbe accogliere le persone ma che in realtà
con la Bossi Fini è diventato solo strumento che serve a controllare il
flusso di migranti che arrivano al porto ed è uno strumento
fatto per respingere e non accogliere, a prescindere dalle persone che
ci lavorino dentro. Quello che verrà fuori anche in altri interventi è
che comunque per tutti quelli che cercano di arrivano ai porti
dell’Adriatico, il fatto di riuscire o meno a fare ingresso nel
territorio italiano è discrezionale e dipende esclusivamente dalla
persona che si trovano in quel momento di fronte. Se gli operatori del
Cir sono in ufficio, c’è una maggiore probabilità di entrare in contatto
con un mediatore e forse di riuscire a raccontare la propria storia, ma
molte volte le persone arrivano in orari in cui gli uffici non sono
aperti o magari gli operatori non sono reperibili. Quello che abbiamo
scoperto durante la nostra inchiesta è che i migranti che arrivano al
porto di Ancona non hanno solo la difficoltà di riuscire a trovare
l’operatore del Cir che viene rintracciato dalla polizia di frontiera,
ma devono anche essere molto fortunati: nell’arco di un’ora o un’ora e
mezza, prima che il vettore riparta e li riporti in Grecia, devono fare
una serie di coloqui alla presenza del mediatore linguistico, e avolte i
minori devono acnhe fare l’esame radiologico del polso per stabilire se
siano effettivamente minori o meno, e si sa che l’esame del polso ha un
margine di errore che va dai 16 ai 24 mesi anche se è la data stabilita
che permette o meno a quel ragazzo di restare sul territorio italiano.
Lo scorso anno quando siamo andati a Patrasso abbiamo conosciuto tre
ragazzi minorenni che erano stati “respinti” (anche se di fatto tra
Italia e Grecia si dovrebbe parlare di “riammissione” tanto è che le
persone che vengono riammesse non risultano da nessuna parte), e questi
tre ragazzi ci raccontavano di essere arrivati ad Ancona una domenica,
la giornata in cui il Cir è chiuso. Ripeto, non dipende dagli operatori
del Cir, ma è proprio questione di come è strutturato il srevizio,
questi ragazzi che ci hanno descritto la stanza della polizia di
frontiera dove erano stati portati e ci hanno raccontato come era fatto
il porto di Ancona non avevano nessun documento in mano.
Quando
siamo andati a chiedere al Cir e alla polizia di frontiera se ci fossero
dei dati su di loro ci hanno detto che non risultavano da nessuna
parte. Era una domenica di marzo. Stessa cosa succede continuamente, è
successa anche lo scorso dicembre con un gruppo molto numeroso di
ragazzi afghani che si dichiaravano minorenni e alcuni sono stati
accolti e altri no, ed è una pena vedere queste
persone che cercano di rimanere in Italia, e si vede dalla faccia che
sono dei bambini, che vengono ripresi e portati indietro sulla nave dopo
avere affrontato un viaggio nascosti. Quello che ci troviamo a
vivere adesso oltre tutto è che da quando abbiamo cominciato a
denunciare quello che stava acacdendo, ad Ancona ci sono le comunità di
accoglienza dei minori sono vuote, c’è stato un brusco calo delle
accoglienze.
Noi sappiamo che queste persone
continuano ad arrivare al porto, ma non riesconoa d uscirne e arrivare
fino in fondo al loro viaggio.
L’altra cosa che ho voglia
di raccontare anche ai ragazzi greci, è che per cercare di far togliere
queste reti di protezione che impediscono l’accesso al porto abbiamo
lanciato una raccolta firma in città. Quando i camionisti greci che ad
ancona hanno un punto di riferimento in un bar del porto hanno visto la
petizione, hanno cominciato loro stessi a raccogliere firme e ci
dicevano che secondo loro ultimamente l pratca del ritrovamento delle
persone dentro i tir è cambiata: adesso le persone viaggiano
principalmente all’interno dei tir, vengono trovate tutte attravesro lo
scanner a raggi x – pericoloso per le persone che vengono passate sotto
scannere e per gli operatori che lo utilizzano quotidianamente. Secondo
quello che di raccontano i camionisti la polizia di frontiera e la
dogana sanno già quali sono i camion da andare a sottoporre allo
scanner, come se ci fosse già una segnalazione dalla Grecia.
Un’altra particolarità dle libro è che dei poeti di Ancona si sono
interessati al nostro lavoro e hanno scritto delle poesie ch lamentavano
il fatto che ilm porto non fosse più accessibile alla gente e da una di
queste, Il porto sequestrato, ha preso il titolo la nostra
pubblicazione.
Quello che abbiamo visto è che tutti i sistemi che sono stati messi in
campo servono solo per fare confusione e per rendere ancora più
invisibili le persone che arrivano al posrto di Ancona.
I dati che
abbiamo tra il 2008 e il 2009 cambiano tutti a seconda che le fonti
siano la polizia di frontiera, il cir o i comunicati stampa diramati
dall’autorità portuale.
I conti non tornano
mai, i numeri sono sempre diversi e oltre tutto restano solo numeri: non
si parla mai delle storie delle persone. Quello che si diece è la
provenienza, l’età – più o meno vera – il sesso. Non si dice mai perché
queste persone arrivano, perché fuggono dal loro paese e cosa vorrebbero
trovare qua in Europa.
Haris Kostoulas, Solidaritu Group, Igoumenitsa, Gr.
Prima di tutto volevo ringraziarvi a nome del Solidarity
group di Igoumenitsa per l’invito. È molto importante per noi
confrontarci e parlare di azioni comuni da poter fare insieme.
La
situazione che i migranti vivono a Igoumenitsa è molto dura e il nostro
gruppo è nato dopo l’omicio da parte della polizia nel porto di un
giovane migrante afghano, l’anno scorso. Ci siamo solo da pochi mesi,
non abbiamo un’esperienza consolidata come quella di Kinisi a Patrasso.
Quello
che stiamo facendo per i migranti di Igoumenitsa è cercare innanzitutto
di farli sopravvivere: loro vivno nascosti sulle montagne e una vola a
settimana andiamo e gli portiamo cibo e vestiti, andiamo lì con un
dottore e tramite questo cerchiamo anche di capire i problemi che hanno
queste persone.
Il governo greco, nonostante stia partecipando alla
guerra in Aghanistan, quando poi i migranti afghani arrivano in Grecia
non gli concede l’asilo. E del resto il governo
greco non concede l’asilo a nessuno. Il governo greco non rispetta i
diritti umani. Sulle montagne vivono tre o quattrocento persone senza
una casa, senza nulla, a chilometri dalla città. Ci sono anche
altri migranti senza documenti dtenuti in quello che la polizia greca
chiama “chiosco” ma che è una vera
prigione, dentro il porto. Non c’è uno statuto giuridico per questo
porto. Lì dentro potete vedere anche bambini di otto, nove, dieci anni.
Quando parliamo con i migranti ci dicono che tutti hanno
provato a venire in Italia nei tir almeno tre o quattro volte e che
tutti sono stati rimandati indietro in Grecia. Loro restano dai
tre mesi a un anno in Grecia continuando a provare. Stiamo lottando
perché il governo greco dia a queste persone un permesso di
soggiorno,perché si decida a concedergli l’asilo, a trattarle come
persone. Stiamo cercando di convincere la gente di Igoumenitsa che i
migranti non sono un problema, ma hanno dei problemi.
In questa
crisi economica stiamo cercando di spiegare alle persone che tutti i
problemi che affrontano quotidianamente possono essere messi in comune
con quelli dei migranti e che si può cercare di combattere tutti
insieme.
Lo scorso mercoledì c’è stato il più grande scippero che la
Grecia ha visto negli ultimi trent’anni e moltissimi migranti vi hanno
preso parte insieme ai greci.
È molto importante per il nostro gruppo creare azioni comuni con altri
in Grecia e in Italia per capire come affrontare tutto questo insieme. Un passo importante potrebbe essere il 20 giugno costruire
delle manifestaizoni nei porti e anche nel nostro porto.
Vi ringrazio ancora per questo invito e spero che potremo collaborare
insieme nel futuro.
Mariani Papanikolaou. Ass. Kinisi, Patrasso, Gr.
Io sono mariani di Kinisi, un’associazione che difende i
diritti die migranti e dei rifugiati a Patrasso. La nostra associazione
esiste da tre anni e quindi abbiamo un po’ di esperienza in più ma è
ugualmente altrettanto importante per noi essere qui oggi e di
incontrare altri gruppi che si occupano delle stesse cose.
La
situazione per i rifugiati e i migranti è molto dura in tutta la
Grecia, ma Igoumenitsa e Patrasso vivono una
condizione particolare perché sono città che hanno dei porti da cui le
persone possono partire verso l’Italia e quindi le nostre due
città sono due luoghi di transito per tutte le persone che vogliono
lasciare la Grecia per raggiungere altri paesi europei.
Quasi tutte
le persone che arrivano a Igoumenitsa e Patrasso sono potenziali
rifugiati, vengono da paesi in guerra come l’Afghanistan la Somalia o il
Sudan, ma il goverbo greco non rispetta in alcun modo il diritto
d’asilo e quindi queste persone non hanno altra scelta che arrivare
nelle nostre città e cercare di raggiungere altri paesi europei.
Quando
arrivano in grecia nessuno li accoglie, si interessa a loro, cerca di
capire se sono minori o rifugiati e semplicemente li prendono e
limettono in progione almeno per tre mesi.
Trattano tutti
indistintamente come migranti senza documenti. Quando
i migranti arrivano in Grecia capiscono presto che per loro non ci sono
diritti umani ed è questo il motivo per cui li vedete arrivare in
Italia e povare e provare finché non riescono: è l’unico modo di avere
l’asilo politico.
A Patrasso i primi migranti sono arrivati
all’inizio degli anni novanta e ancora oggi provano ad arrivare in
Italia. Fino allo scorso luglio la maggior parte di loro erano afghani e
avevano creato un “campo” vicino al porto dove vivevano. Quel campo
non era un nuon posto dove stare, non c’era acqua o bagni, ma era il
loro posto, l’unico dove potevano trovare rifugio e organizzarsi
aspettando di partire per l’Italia. Come gruppo abbiamo cercato di
sostenere queste persone chiedendo alle autorità locali di dare loro
l’asilo ma anche un posto dove poter vivere perché ne avevano diritto.
Andavamo al campo spesso, portavamo vestiti, cibo, cure mediche. Dopo il
campo è stato distrutto dalla polizia che, come aveva fatto con il
campo di Calais in Francia, è arrivata alle cinque del mattino, ha
arrestato molti membri della nostra associazione, ha scacciato i
migranti e ha dato fuoco a tutto. Quando hanno distrutto il campo le
persone ostili ai rifugiati e le autorità locali hanno pensato di avere
risolto il problema e che non ci sarebbero più stati rifugiati a
Patrasso.
Quel che sta accadendo è invece che ci sono ancora molti
afghani in città ma vivono nascosti nei campi ed è molto più difficile
trovarli e aiutarli, la situazione per loro è molto peggiorata.
Molti altri rifugiati somali o sudanesi vivono adesso nei treni
abbandonati alla stazione e stanno iniziando ad affrontare gli stessi
problemi che avevano gli afghani nel loro campo.
La polizia arriva e
li arresta tutti i giorni perché l’obiettivo è quello di portarli via
anche da lì e dicono di volere fare un parcheggio dove ora ci sono
questi profughi.
L’unica cosa positiva è che questi migranti africani si stanno auto
organizzando e stanno inziando a rivendicare dalle autoritàò locali il
loro diritto a un alloggio, il loro diritto all’asilo, il loro diriottoa
da vere diritti.
Noi stiamo cercando di incoraggiarli in questa direzione perché anche
noi siamo convinti che i problemi non sono così diversi: oggi il governo
è così ostile con loro e domano lo sarà sicuramente anche con noi.
Se il governo non rispetta i diritti di persone che
fuggono dalla guerra e da condizioni così terribili, perché mai
dovrebbe rispettare i diritti di tutti gli altri?
Questo è quello che abbiamo fatto negli ultimi mesi ed è la ragione per
cui staimo cercando di organizzarci con altri gruppi in Grecia contro
queste leggi nazionali e comunitarie che vogliono che i migranti e i
greci vivano entrambi senza diritti.
Alla fine di maggio avermo un festival antirazzista di tre giorni a
Patrasso nella piazza centrale dove ci saranno dibattiti sulla
situazione dei migranti e dei rifugiati, ma anche concerti e iniziative
per combattere contro tutto questo e racconatre alla popolazione quale è
la situaizone.
Abbiamo anche dei corsi di lingua greca per migranti e un posto dove
cerchiamo di farli sentire almeno un po’ accolti nella nostra società.
Stiamo cercando di organizzare un programma di azioni che sia
continuativo, non solo manifestazioni una volta ogni tanto, qualcosa che
possa durare nel tempo e cambiare veramente le cose.
Grazie ancora per questo invito.
Gianfranco Bettin, Assessore alle Politiche giovanili e pace, Comune di Venezia
Rubo solo due parole, sarà poi Sandro Simionato a
entrare nel merito di un lavoro che come dicevi dura da anni e che
vorrebbe fare della nostar città un luogo cui guardare con speranza e
con meno timore di come solitamente si guarda all’approdo di chi arriva
per questa via.
Noi con le strutture del Centro Pace di Venezia cerchiamo di affiancare
il grosso del lavoro che viene svolto dalle politiche sociali e in
particolare dalle associazioni che stanno sul campo.
Pensavo prima
alla giovane età e ai luoghi di conflitto da cui vengono molte delle
persone che cercano di sbarcare e di trovare altre strade, e riflettevo
sul fatto che è di questo che ci dovremmo occupare parlando di
politiche giovanili e di politiche della pace.
Non
esiste la possibilità di una vera pace se da molte parti del mondo la
gente continua a scappare per trovare la propria strada e questa strada
sono spesso le rotte del mare.
Il lavoro delle vostre
associazioni, affiancate dal Comune per come ha potuto fin’ora, è stato
volto a rendere consapevole la nostra comunità, la nostra città e il
nostro paese di questa faccenda, perché in realtà
su tutta questa faccenda grava il peso di una menzogna ripetuta che
tende a criminalizzare la vita stessa, ma ancora di più tende a celare
queste storie e quando emergono a trasformarle in esperienze a cui
guardare con timore.
Oggi la cosiddetta presidente della
Provincia di Venezia, Zaccarioto, ha detto che bisognerebbe incriminare
per tentato omicidio i venditori ambulanti che a volte scappano via e
incocciano contro le persone. Siccome questi vendtori sono terrorizzati a
loro volta dalla paura dell’intervento pesante nei loro confronti,
quando capiscono che c’è questa possibilità scappano anche in fretta e
può succedere il fatto spiacevole che travolgano qualcuno. Ma, su un
problema reale, produrre un salto di qualità linguistico di questo
genere, che punta a un salto di qualità culturale, perché indica come
potenziali assassini costoro, significa esattamente la
criminalizzazione di un’intera categoria. Non è la prima volta e non
sarà neanche l’ultima, non ci spaventa questo tipo di cose nel senso che
non disarma la nostar volontà di continuare a lavorare su una strada
totalmente diversa.
Quel che credo debba invece spaventare sono i
veleni che sparge intorno, l’intossicazione dell’opinione pubblica e
della testa della gente che produce, ed è una ragione in più per
rafforzare il nostro impegno che è fatto di informazione, di
contro-informazione, di divulgazione di materiali come quelli che
abbiamo visto oggi che tendono a ripristinate la verità e tentano di
raccontare la storia vera del mondo contemporaneo, di tutte queste
persone, e anche la storia vera della nostra città, che è la storia di
un incontro magari difficile, ma nel solco di una tradizione che fa
della nostra città una città degna di avere un grande porto non solo
commerciale, industriale e passeggeri, ma di un grande porto del mondo,
come è stata sempre Venezia.
È una storia di cui bisogna essere
degni, e quando si sentono cose come quelle ascoltate oggi ci si sente
indegni. Per fortuna però la nostra città è molto più che questo e
quindi c’è spazio per lavorare e chiedere
all’autorità portuale di rispettare fino in fondo ciò che chiedono la
nostra Costituzione e la Dichiarazione Universale dei diritti umani, per
chiederlo a noi stessi, come amministrazione, di essera
all’altezza di questa visione che condividiamo ma che non sempre siamo
all’altezza di rispettare per limiti nostri e per limiti oggettivi, per
tante ragioni che però non possono rappresentare un’alibi, ma che devono
anzi essere elementi in più per spronarci a fare di questa città e del
suo porto una città di pace, ma anche una città combattiva per i
diritti.
Una città di pace ma non pacificata di fronte a un mondo
sconvolto da guerre di ogni genere e a componenti stesse della nostra
città e del nostro paese stravolte nella xenofobia, nella
disinformazione nell’ignoranza.
Non possiamo essere pacificati di
fronte a questo, ma serve una città combattiva contro tutto questo.
Questo è ciò che io penso che dovremmo impegnarci a fare, che abbiamo
già fatto, ma bisogna fare di più e ci proveremo.
Marco Paggi, Avvocato, Asgi
Cercherà di fare un intervento tecnico e nei temini più
sintetici possibile.
Il diritto di asilo viene da lontano. Chi è che
non ha sentito parlare della Convenzione di Ginevra del 1951? questa
Convenzione nasce in un contesto politico evidente, in piena guerra
fredda, quando si immaginava che pochi riuscissero a sfuggire dalle
maglie della repressione nei paesi del cosiddetto socialismo reale e,
giungendo qui in Italia, meritassero una protezione e quindi un diritto
riconosciuto di restare sul territorio con un particolare status
giuridico.
Sappiamo benissimo che negli anni Settanta questo diritto
d’asilo riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra, e peraltro
riconosciuto anche dalla nostra Costituzione come diritto fondamentale
all’articolo 10, è stato esercitato anche da persone che non erano
soltanto oppositori politici braccati dalla repressione poliziesca, ma
anche da tantissime persone che sfuggivano da una situazione in cui non
vedevano prospettive e che cercavano delle opportunità.
Insomma, il
mix tra motivazioni economiche e motivazioni politiche non è mai stato
una novità.
L’approccio a questo fenomeno è molto cambiato nel corso
del tempo, perché appunto quando arrivava la fatidica corriera di
polacchi a piazza san Pietro che nulla avevano dello status di rifugiati
politici, il riconoscimento dello status di rifugiato avveniva
praticamente d’ufficio e senza particolari cavilli e restrizioni, e
questo è giusto dirlo.
Che cosa è cambiato nel tempo? È cambiato il
contesto politico, indubbiamente, ma poi è cambiato anche l’immaginario.
L’arrivo dei cosiddetti “boat people”, delle
persone che cercano di attraversare, con tutti i rischi che sono ben
noti, con le vittime che sono note, il Canale di Sicilia, viene
rappresentato da parte dei media,quasi generalmente ormai, come
un’invasione. Ebbene, questa “invasione”
riguarda nelle punte massime poco più di 30.000 persone l’anno.
L’anno scorso in Italia sono state presentate, considerando sia quelli
che sono arrivati con le navi che quelli che sono arrivati con altri
mezzi, 17.000 domande di asilo. Pensate che con l’ultima sanatoria per
le sole colf e badanti nel giro di una settimana sono state presentate
300.000 domande e 300.000 persone hanno avuto la possibilità di
soggiornare liberamente, di circolare liberamente e non incorrere in
misure repressive, salvo poi ulteriori problemi che ci sono
nell’applicazione della sanatoria ma questo poi è un altro discorso.
Quindi, anche soltanto rapportando le cifre, si
capisce come il fenomeno della richiesta d’asilo, da un punto di vista
numerico non possa intimidire o preoccupare uno Stato.
Le
domande di asilo presentate in un anno, nell’anno di massima quantità,
non sfiorano neanche la metà delle domande di ingresso decretate dal
governo per il solo lavoro stagionale.
In altre parole, quello che voglio dire è che si tratta di quantitativi che
possono essere amministrati senza allarme, senza terrorismo, senza
sindrome da invasione che viene alimentata naturalmente per altri
motivi, per fare commercio elettorale.
Ora, il fenomeno
degli sbarchi e dei tentativi di sbarco nel canale di Sicilia è in
qualche modo più noto e anche più eclatante: si vedono queste persone in
mezzo al mare in pericolo di vita, moltissimi annegano, moltissimi
stanno per giorno appesi alle reti delle tonnare sperando che arrivi
qualcuno. Quando arriva qualcuno che è sopravvissuto e sempre
felicissimo perché è sopravvissuto e perché è riuscito ad arrivare qua, e
rispetto al lutto dei tanti compagni di avventura annegati, morti,
vittime di sfruttamento, di soprusi e di sevizie, comunque è ancora più
grande la gioia di essere giunti sul territorio italiano.
Pensate il
percorso che fanno queste persone e rispetto a queste persone ormai si
sprecano i documenti di condanna, l’ultimo cronologicamente è un documento presentato nel 2009 dal Comitato Contro la
Tortura del Consiglio d’Europa che condanna l’Italia per lesione dei
diritti umani fondamentali, e in particolare mette a fuoco come questa
politica muscolare di respingimento in mare verso la Libia - che
comporta l’assoggettazione di queste persone a ulteriore repressione e
sfruttamento sia da parte di contrabbandieri e passeurs che da parte
delle forze di polizia locali in condiizioni disumane - costituisca una
violazione dei diritti umani di cui l’Italia è complice.
Rispetto a questa situazione, denunciata più volte anche dall’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite e che è stata oggetto anche di ricorsi
alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, concretamente si è fatto
molto poco.
In particolare, aspetti legali e formali hanno fino ad
ora impedito alla Corte europea dei Diritti dcell’Uomo di condannare
l’Italia per gravissime violazioni dei diritti umani e per violazione
del diritto d’asilo e del diritto di non essere respinti alla frontiera
quando si presenta una domanda di asilo - il diritto di non refoulement,
sancito dalla Convenzione di Ginevra - per il semplice motivo che i
“clienti”, i migranti che hanno fatto ricorso, non sono più reperibili
una volta ricondotti in Libia.
Anche l’Asgi ha presentato
recentemente un ennesimo ricorso alla Corte europea dei diritti
dell’uomo e ci auguriamo che almeno uno dei mandanti, dei soggetti che
hanno conferito la procura, sia ancora rintracciabile nel momento in cui
questo procedimento, che è rubricato ufficialemente alla Corte giungerà
all’esame di merito.
La situazione con la Grecia è diversa dal
punto di vista strettamente giuridico perché la Grecia fa parte
dell’Unione europea, e facendo parte dell’Ue si applica in ambito
europeo una normativa che è definita molto banalmente come normativa
Schengen.
Come si sa, la Convenzione Schengen ha soppresso le
frontiere interne tra gli Stati membri, stabilendo delle regole preposte
alla vigilanza e al controllo delle frontiere esterne a cautela e a
garanzia di tutti gli Stati membri, sicché, una volta liberate le
frontiere esterne tutti gli Stati membri dovrebbero sentirsi più
garantiti da un sistema di scambio di informazioni che si sintetizza
nel Sistema Informativo Schengen, e di regole anche per quanto riguarda
l’individuazione del paese competente all’esame della domanda di asilo -
o di protezione internazionale che dir si voglia - secondo il
cosiddetto regolamento Dublino.
Ma, appunto, le norme europee
riconoscono il diritto di asilo e lo hanno ulteriormente sviluppato. La
Direttiva 84 del 2003, la cosiddetta Direttiva
Qualifiche, recepita nel Decreto Legislativo 251 del 2007,
garantisce il diritto di asilo sotto due forme: il diritto allo status
di rifugiato che riguarda le persone individualmente perseguitate dalle
autorità o da altri enti non governativi che hanno il controllo del
territorio nei paesi di provenienza, e il diritto alla cosiddetta
protezione sussiddiaria, che una volta si chiamava protezione
umanitaria, che riguarda tutti coloro che rischiano un grave pregiudizio
del loro diritto alla vita o di altri diritti fondamentali nel loro
paese a causa di una situazione di violenza generalizzata, ed è
attualmente la situazione dell’Afghasnitan, dell’Iraq, del Sudan, della
Somalia e di altri paesi.
Si tratta di persone che quindi hanno
diritto di accedere al territorio, o quanto meno, nella misura in cui
riescono ad accedere al territorio europeo, hanno diritto di presentare
una domanda di asilo e che questa sia ricevuta ed esaminata da organi
competenti.
Per quanto riguarda l’Italia, nonostante i problemi che
anche qui ci sono rispetto al diritto d’asio, a partire dai
respingimenti in mare che ne impediscono l’esercizio, per coloro che
riescono ad arrivare e a presentare una domanda di protezione
internazionale che venga esaminata dalle commissioni competenti, che
badate bene non sono commissioni di facinorosi no global, ma sono
commissioni a prevalente composizione ministeriale, ebbene per costoro
la percentuale di accoglimento delle domande supera il 40%.
Pure
spuntando tantissime posizioni che si disperdono sul territorio, perché
magari si tratta di persone senza fissa dimora e senza recapito per le
comunicazioni, pure tralasciando le tante persone che poco fidandosi,
forse a ragione, si recano verso altri paesi del Nord Europa, pure
tralasciando altri problemi applicativi delle norme in materia, la
percentuale è alquanto significativa se rapportata alla percentuale di
accoglimento delle domande di protezione internazionale che invece
troviamo in Grecia.
In Grecia abbiamo una
percentuale che definirei eufemisticamente omeopatica: lo 0,04% dei
richiedenti protezione internazionale ottiene in prima istanza il
riconoscimento della protezione stessa.
Se consideriamo la
cosiddetta fase di appello, sempre in ambito amministrativo e sempre su
decisioni di organi ministeriali, e se consideriamo l’ulteriore fase
giudiziaria del riscorso al tribunale, arriviamo a mala pena al 2%.
Questo dovrebbe bastare per non chiedersi quali siano i problemi che
concretamente producono questo tasso ridicolo e che sono stati
denunciati ufficialmente dall’Acnur in maniera circostanziata: le
condizioni di detenzione che non consentono la presentazione della
domanda di protezione internazionale, e delle procedure bizantine che
praticamente producono l’interruzione del procedimento nel momento in
cui il soggetto diventa irreperibile (ma il soggetto è irreperibile per
definizione perché non si garantisce alcuna misura di accoglienza,
quindi non ha nessun recapito e non è rintracciabile da nessuna parte).
Senza
contare poi le motivazioni che nella migliore delle ipotesi, e comunque
sempre prestampate, non raggiungono le due righe nei provvedimenti di
diniego.
Ma la cosa ancora più carina è che andando poi a vedere i
fascicoli, l’Acunr scopre che non c’è un’istruttoria, non si dà contezza
di un’audizione dell’interessato per sentire quali sarebbero stati i
suoi problemi nel paese di provenienza e quali sarebbero le motivazioni
della sua richiesta. Insomma delle procedure false, diciamolo pure.
Torno
a dire, però, che la Grecia ha di diverso rispetto alla Libia che fa
parte dell’Unione europea e qualcuno potrebbe dire che quindi abbiamo
delle garanzie. Effettivamente la Grecia è sottoposta come gli altri
paesi europei dello spazio Schengen all’applicazione del regolamento
Schengen che disciplina il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di
allontanamento e la tutela delle frontiere esterne, è sottoposta al
regolamento Dublino, ma rispetto al regolamento Dublino c’è stato un
recente procedimento di infrazione perché appunto di fatto questo non
risulta rispettato ele persone che avrebbero diritto di accedere alla
procedura di asilo in Grecia di fatto non ci riescono.
Cosa succede
nel rapporto tra Italia e Grecia? Le persone intervistate nel vidoe lo
hanno detto in manera più comprensibile di quanto possa dirlo io ora: i
fatti parlano chiaro.
Ma dal punto di vista
giuridico quello che va sottolineato è che la prassi utilizzata dalla
polizia di frontiera italiana e di cui si lamenta la stessa polizia
greca è una prassi che non corrisponde alle norme vigenti. Si
parla di provvedimenti di riaccompagnamento, di respingimento.
Ma il
respingimento alla frontiera, termine un po’ cacofonico, significa che
quando una persona si presenta a una frontiera e non ha i titoli per
entrare viene rimandata indietro. È un provvedimento che peraltro non ha
carattere sanzionatorio: la stessa persona due minuti dopo potrebbe
presentarsi alla stessa frontiera munita di titoli per l’ingresso ed
entrare senza che ciò comporti nessun tipo di interdizione, inibizione o
sanzione. Ma, in realtà, il provvedimento di
respingimento si giustifica solo quando c’è una frontiera esterna allo
spazio Schengen perché il Regolamento 562 del 2006 ha abolito le
frontiere interne e di fatto non consente più di adottare
provvedimenti di respingimento all’interno dello spazio Schengen. Per
fare un esempio banale, se una persona è per ipotesi irregolare in
Francia, transitando liberamente all’ex frontiera con L’Italia viene
intercettata in Italia, deve essere colpita da una provvedimento di
espulsione e non di respingimento per tanti motivi e principalmente
perché non c’è più una frontiera.
Il
respingimento è un provvedimento che per legge deve essere adottato nei
confronti di chi si presenta al valico di frontiera o tenta di
sottrarsi ai controlli di frontiera.
Qui la frontiera non c’è più, e
capite bene che manca proprio il presupposto per l’applicazione di
questo provvedimento. Ma, appunto, nella prassi con la Grecia
si pretende di continuare ad applicare un accordo del 1999, un accordo
di riammissione, che prevede il rinvio verso i paesi di provenienza, a
parte poi l’applicazione della Convenzione di Dublino che non c’è. Ma
l’accordo non prevede quale tipo di provvedimento debba essere adottato
per attuare la riammissione.
Il provvedimento non può essere il
respingimento perché c’è solo una frontiera interna e alla fontiera
interna non ci dovrebbero essere, sono impediti dei
controlli sistematici di frontiera e dovrebbero essere svolti soltanto
dei controlli a campione o in caso di particolari situazioni segnalate
in modo contingente e peraltro nemmeno dalla polizia di frontiera ma dai
normali organi di polizia.
Queste cose che sto dicendo
sono tutte cose che avevo già scritto per un parere richiestomi dal
Comune di Venezia nel 2007 proprio con riferimento alla prassi nel porto
di Venezia.
Peraltro, obiettivo delle norme Schengen che presiedono
alla tutela delle frontiere esterne è anche quello di non avere
all’interno dello spazio Schengen degli stranieri che sono "in orbita",
che vengono palleggiati da un paese all’altro e verso i quali non si
riesce di fatto, per mancanza di provvedimenti formali nemmeno a
individuare la giuridizione.
A chi compete, all’Italia, giudicare
sui diritti o doveri di queste persone o su eventuali violaizoni, o alla
Grecia, o a chi altro?
Con le norme Schengen, che sono norme
vigenti per lo Stato italiano - il regolamento 562 del 2006 è legge
dello Stato a tutti gli effetti, e non ha nemmeno bisogno di essere
recepito per essere vigente - l’unico provvedimento
che potrebbe essere adottato nei confronti di un irregolare che giunge
privo di titoli dalla Grecia come da qualsiasi altro paese di frontiera
interna dovrebbe essere l’espulsione.
Qualcuno potrebbe
dire: ma allora ci butti dalla padella alla brace, ci proponi
l’espulsione al posto del respingimento o della riammissione ai sensi
dell’accordo tra Italia e Grecia. Non è così perché il
provvedimento di espulsione, per essere adottato, comporta la
necessaria convalida davanti a un giudice, il diritto dell’interessato
di avere una difesa e - una recente sentenza sentenza della Corte di
Cassazione lo ha ulteriormente sottolienato ma doveva essere pacifico
già da prima - davanti al giudice di pace non si può attuare un mero
controllo formale o notarile dei presupposti all’espulsione, ma si deve
anche verificare se vi sono i presupposti per applicare uno dei
possibili divieti di espulsione e tra questi prima di tutto il diritto
di rimanere per chi rischia di essere sottoposto a trattamenti inumani o
degradanti nel apese di destinazione o di essere perseguitato o di
essere rinviato verso paesi dove rischia persecuzione, secondo
l’art. 19 T.U sull’immigrazione.
Per altro lo stesso articolo
prevede il diritto dei minori non accompagnati di essere tutelati da
parte delle istituzioni locali e anche questo diritto, come abbiamo
visto, sembra essere messo in serio pericolo.
Innazitutto c’è la
scarsa affidabilità dell’esame di densimetria ossea, che è un esame che
permette di stabilire la minore età di un bambino o la maggiore età di
un soggetto palesemente adulto, ma è chiaro che ci interessa fare un
esame del genere per un soggetto che è border line tra la minore e la
maggiore età, e da questo punto di vista è un esame palesemente
inaffidabile.
In base al provvedimento di espulsione ci sarebbe la
possibilità di accedere effettivamente all’esercizio del diritto di
asilo, perché queste persone avrebbero la possibilità di dichiarare la
loro provenienza, di dichiarare le ragioni della fuga dal loro paese e
di accedere alla protezione internazionale sotto forma del conferimento
dello status di rifugiato o della protezione sussiddiaria, mentre i
minori non accompagnati avrebbero diritto di essere trasferiti presso i
servizi sociali nel caso dei minori non accompagnati.
Ma questo è
appunto quello che non avviene perché alla frontiera portuale di
Venezia, e scusate se ho detto frontiera perché non dovrebbe essere
considerata una frontiera, di fatto questo accesso non c’è.
Si
attuano questi provvedimenti “ruspanti” di respingimenti alla frontiera
che non sono nemmeno formalizzati secondo la modulistica che ancora il
Regolamento alle frontiere Schengen imporrebbe nel caso in cui da una
frontiera esterna si trattasse di respingimenti, e quindi non c’è un
controllo.
Ricordo che qualche anno fa abbiamo avuto un incontro con
il comandante della polzia di frontiera del porto di Venezia e abbiamo
chiesto i dati, era il periodo in cui non c’era ancora la guerra in
Iraq ma c’era la persecuzione verso i curdi. Ricordo che abbiamo chiesto
i dati sui respingimenti e il funzionario molto gentilmente ci ha dato
dei dati numericamente poco importanti, parliamo di migliaia di
respingimenti dichiarati, censiti come, di fatto non era controllabile.
Quando abbiamo chiesto la composizione su base nazionale dei respinti
ci è stato detto che la quasi totalità erano cittadini iracheni e
turcgi, abbiamo osservato che forse erano prevalentemente curdi, magari
richiedenti asilo. Ci è stato risposto che non lo sapevano e che nessuno
di questi aveva chiesto asilo.
Come facevamo a dimostrare il
contrario?
È ben dura se non c’è nessuno che
controlli il controllore. D’altra parte è quello che sta continuando a
succedere, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, non succede solo a
Venezia ma succede anche ad Ancona, Bari e Brindisi e nella stessa
Marghera. È chiaro quindi che il diritto non è rispettato. Viene
viuolato il divieto di non refoulement, viene violato l’obbligo di
garantire un effettivo accesso alla procedura di asilo, viene violata la
Convenzione europa dei diritti dell’uomo, viene violata la procedura
che legalmente dovrebbe essere adottata in questi casi e viene
pregiudicato l’esercizio dio un diritto fondamentale là dove poi si
rinvia questa gente in un paese che la Corte europea dei diritti
dell’uomo, ma anche la giurisprudenza italiana, in quei rari casi dove è
possibile tutelare la persona perché era rimasta sul territorio, hanno
considerato un paese non sicuro dal punto di vista dell’effettiva
applicazione delle norme in materia di protezione internazionale.
Per concludere ritengo che certo un intervento politico e non solo
dall’alto nei confronti della grecia meriti di essere
fatto. Se non lo fa in manieria sufficientemente efficace l’Unione
europea, che pure tramite la Commissione ha avviato un procedimento di
infrazione come dicevo prima, anche dal basso merita di essere
caldeggiato. Questo da solo non basta, anche se raggiungere una minima
praticabilità delle procedura di asilo anche in Grecia sarebbe in ogni
caso un risultato importante. Ma certo è che un
intervento meriterebbe di essere fatto anche in Italia, porto per porto e
credo che sia ormai evidente, numeri alla mano, testimoni alla mano, un
intervento sul modello sperimentato dal Cir fino ai nostri giorni non
si sia dimostrato efficace e abbia prodotto un approccio forse troppo
timido a una così grande problematica.
Don Nandino Capovilla, Cappellano della Diocesi di Venezia per il porto.
Welcome. Welcome non è solo un indovinato slogan, non è
solo un logo: tutti gli interventi precedenti sono il segno di un
impegni straordinario che deve continuare.
Welcome, scusate per il
riferimento al quotidiano, me lo ritrovo tutte le mattine quando esco da
casa: mi hanno regalato uno zerbino con scritto Welcome e quindi tutte
le mattine e tutte le sere ritrovo questo allegro richiamo a qualcosa
che è una scelta: l’accoglienza, il rifiuto forte, chiarissimo di tutte
le intolleranze e di tutti i respingimenti, e che vorrei che diventasse
davvero lo zerbino del porto di Venezia.
Poi esco di casa e mi
capita di andare con gli amici della Stella Maris friends sulle navi che
arrivano al porto, e di incontrare in modo molto semplice persone che
hanno storie di enormi sofferenze, che appartengono a questa categoria
dei marittimi, che sono in una specie di schiavitù, legati a un lavoro
molto duro sulle navi commerciali.
Ma c’è ben altra accoglienza,
come abbiamo sentito questa sera, per le persone che non per gentile
concessione del governo hanno dei diritti che sono loro innati come
esseri umani e come persone.
Questa è la decisione da prendere, da
rilanciare, da verificare. Io non lo vedo con i
miei occhi perché queste vicende che ora hanno anche le prove, prove che
noi dobbiamo divulgare sempre di più, sono storie nascoste anche a me
che vado sulle navi. Immagino questa situazione di degradazione
umana nascosta, perché il porto è un posto dove nessuno può entrare, ci
vuole un tesserino e un’identificazione, tutte cose che nascondono la
vera realtà: le persone con i loro diritti innati di cui sono titolari
vengono dopo. Vengono dopo queste prassi di respingimenti e di
espulsione, e l’avvocato ci ha detto che bisogna essere attenti anche
alle parole, ai concetti.
In realtà i documenti ci sono tutti,
pensate che lavoro dovrei fare io da prete se andassi in giro per le
chiese a ricordare ai miei confratelli che ci sono documenti
straordinari già scritti. Nel 2000 è stata anche fatta una carta
ecclesiale dei diritti dei profughi. Ve ne leggo solo un passaggio che
dice:
“noi rifugiati e richiedenti asilo presentiamo questa
carta dei diritti. Il primo è il diritto di non essere respinti alle
frontiere presso le quali chiediamo protezione e di ricevere un agiusta e
tempestiva risposta alla domanda di essere riconosciuti come rifugiati e
di ottenere asilo. Il secondo è il diritto di essere ascoltati da
un’autorità competente e ben disposta. Di non subire i trattamenti di
detenzione durante l’esam della domanda...”.
Parole precisissime
che poi però non arrivano forse ad essere parte delle prediche
domenicali.
Ma ritorno sul mio incarico al porto, e credo che la considerazione da
fare sia anche di tipo culturale, è già stato accennato.
È la
cittadinanza universale come concetto che purtroppo è diventato
fragilissmo come concetto, anche se negli anni Cinquanta era il
presupposto della Costituzione italiana ed era condiviso da tutti in
ogni riflessione, mentre oggi viene vinta da quello che è lo strumento
politico per eccellenza, che è la paura.
La
paura viene usata in modo ormai esplicito dai nostri politici. La nave
della nostra città e del nostro paese naviga ormai su questa melma
schifosa che è il razzismo, come questa onda nera che nessuno
ferma più nella Lousiana.
È un’onda nera che nessuno ferma più
questo razzismo, ormai così viscido e così nausenate che ci fa talmanete
schifo, ma che ce lo ritroviamo dappertutto.
Come per questo
petrolio non riusciamo a trovare la barriera giusta anche al razzismo
non si riesce a trovare una barriera, se non questo lavoro della rete
Tuttiidirittiumanipe-rtutti che però deve diventare un lavoro culturale
per reagire a tutto questo.
Allora se dovessimo dare un voto al
nostro governo daremmo uno zero in condotta rispetto a questa
accoglienza che è parola ormai assolutamente in disuso.
Sono andato a
riascoltare, perché sapevo che ne aveva parlato anche Gentilini in Riva
dei Sette Martiri a Settembre, quel discorso sullo zero, e mi è venuto
male.
Lui diceva così: “se il ministro Maroni parla di tolleranza
zero allora io vi dico che noi useremo la tolleranza doppio zero”. Ho
poi partecipato a un convegno della Caritas che parlava ancora di zero
ma che diceva invece “zero poverty”, dava zero alla povertà e zero al
razzismo.
Credo che questo sia un lavoro che si muove su un livello
diverso da quello della Rete, ma che entrambi siano fondamentali per
affrontare questa onda nera che sembra avvolgerci, ma che non ci ha
sommerso assolutamente.
Sandro Simionato, Vice Sindaco e Assessore alle Politiche Sociali e al Bilancio
Vi ringrazio davvero per l’iniziativa che avete fatto
qui oggi. Ci siamo visti circa un anno fa e abbiamo parlato di
queste cose ed era presente l’allora Sindaco Massimo Cacciari, mentre
era appena partita questa vostra operazione di ricorso.
Io vi
ringrazio perché ci aiutate a tenere sempre vivo questo sguardo di
attenzione su questo tema così forte che è quello del rispetto dei
diritti umani che qui si traducono nel diritto all’accoglienza e nel
diritto ad avere una propria vita dignitosa in un paese che non è il
proprio, lasciandosi alle spalle grandi difficoltà, ma anche affetti
cari e spazi in cui il radicamento c’era.
Dicevate prima che
parliamo di numeri eccetera, ma dietro questi numeri ci sono uomini e
donne, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, e ognuno si porta dietro il
proprio bagaglio di vita vissuta di rapporti, di sofferenze quasi
sempre, di relazioni, di dolori. E queste cose spariscono, sembrano
volatilizzarsi.
Io quindi vi ringrazio di questa costanza che viene
evidentemente da una motivazione forte che è quella di mettere al centro
della propria attenzione le persone.
E naturalmente questo si
incarna poi in politiche, è questo il tema vero. Noi
mettiamo al centro della nostra riflessione gli uomini e le donne, e
questi uomini e queste donne e i loro diritti fanno sì che le nostre
azioni acquisiscano una valenza politica di un certo tipo piuttosto che
un altro.
Certo non abbiamo noi la pretesa, credo, di
essere risolutori di questo problema. Ci sono problematiche di carattere
giuridico e internazionale che riguardano in nostro paese, i paesi
vicini, la comunità europea, riguardano il rispetto dei diritti umani a
livello internazionale. Non abbiamo la pretesa di risolvere questo
problema, ma di essere sul pezzo sì, di esser coloro che tengono viva
questa attenzione su questi temi sì.
Io vi ringrazio del lavoro che
fate e vi ringrazio di avere scelto Venezia che ha fatto da sempre il
suo lavoro come amministrazione comunale.
Dal porto ci hanno di
fatto fatto uscire, non siamo andati via per scelta. Sei messo a volte
nella condizione di non potere svolgere con la modalità che tu ritieni
opportuna e senza poi sostanzialmente essere anche presi in giro per il
lavoro che si fa, il mandato che ci era stato dato anche dagli accordi
presi con la Prefettura. Noi siamo presenti sul pezzo dal 1997, e nel
2007 era stato fatto anche un protocollo con la Prefettura che però non è
durato nemmeno un anno e questo ci ha messo tutti in grave difficoltà e
in grave crisi anche di coscienza da questo punto di vista, perchè
sappiamo che è calata una cappa di disinformazione dentro i porti in cui
non sappiamo più che cosa accade se non andando poi a recuperarlo come
avete fatto voi in quei paesi in cui le persone vengono respinte.
Quindi
dicevo, non è che noi siamo venuti meno, la nostra responsabilità di
essere sul pezzo c’è stata e c’è ancora, con lo Sprar il nostro sostegno
ai rifugiati e ai richiedenti asilo viene dato qui, nel nostro
territorio, investiamo risorse importanti nonostante le difficoltà che
abbiamo nell’accoglienza e nella tutela dei minori non accompagnati,
cosa che ci viene affidata dalle normative nazionali e internazionali,
ma rispetto alla quale siamo in assoluta solitudine. Noi ci stiamo a
questo percorso, da questo punto di vista Indietro non si torna. Ci
siamo, vogliamo esserci, continuare a fare quello che abbiamo fatto in
questi anni ed essere con voi megafono di questa situazione.
Naturalmente c’è un clima politico nel nostro paese che non facilita
questi percorsi. Solo la Chiesa in alcuni momenti sembra essere dalla
parte dei più deboli mantenendo la propria matrice, ma sicuramente non
lo è questo governo, non lo sono nemmeno gli amministratori locali che
fanno riferimento alle forze politiche che governano in questo momento
l’Italia. Prima sono state ricordate le dichiarazioni della Zaccarioto,
che fanno assolutamente pendant con quelle che ha fatto ieri il Sindaco
di Mialno.
Quando si pensa di fare un sillogismo per cui chi non ha
documenti è sicuramente un potenziale delinquente, è evidente che c’è
quel seminare quel veleno che non aiuta sicuramente a far crescere la
consapevolezza della necessità di difendere i diritti di tutti, e in
particolare di queste persone che sono più deboli e che, come
ricordavano i ragazzi greci, significa difendere anche i nostri.
Noi
il 28 giugno faremo la presentazione di un libro che è stato curato da
Melting Pot che si intitola Tracce e che vuole dare un nome, una storia,
fisionomia a queste persone che sono passate, magari non direttamente
attraverso il porto di Venezia, anche se qualcuna sì, am che hanno avuto
la possibilità di afer quella famosa richiesta che poi ha dato il via a
un percorso asilo.
Spero che questa presentazione possa essere uno
dei pezzi del lavoro che possiamo fare insieme nella prospettiva di
questo percorso che vi siete dati.
Naturalmente questo comporta una
sensibilizzazione forte nei confronti dei nostri concittadini, ma anche
nei confronti delle autorità preposte a svolgere determinati compiti:
credo che sia necessario un confronto forte con l’autorità portuale, ma
anche con il prefetto che rappresenta comunque l’autorità dello Stato e
del Governo.
Indietro non si torna e l’impegno che ci siamo assunti
nel passato e che credo questa sera di potere assumere anche a nome
dell’intera amministrazione è di stare al vostro fianco. Indietro non si
torna davvero.