Controcorrente

Per fare in pezzi il conformismo della sinistra che c'è

2 / 6 / 2012

«Il conformismo, che fin dall'inizio è stato di casa nella socialdemocrazia, non è connesso solo con la sua tattica politica, ma anche con le sue idee economiche. Esso è una causa del suo successivo crollo. Non c'è nulla che abbia corrotto i lavoratori tedeschi quanto la persuasione di nuotare con la corrente. Per loro lo sviluppo tecnico era il favore della corrente con cui pensavano di nuotare. Di qui era breve il passo all'illusione che il lavoro di fabbrica, che si troverebbe nel solco del progresso tecnico, rappresenti un risultato politico». (W. Benjamin, Tesi sul concetto di storia)

Quando ero liceale, negli anni '90, e leggevo ancora con un po' di fatica le tesi benjaminiane, giunto alla Tesi XI non avevo dubbi: avevo per le mani un testo di formidabile attualità! Come descrivere diversamente le socialdemocrazie europee promotrici del Trattato di Maastricht? Quali parole migliori per dare conto della terza via blairiana che in Italia prendeva le sembianze del Pds prima e dei Ds dopo? Mi sembrava, davvero, che Benjamin nel '39, in fuga dal nazismo, aveva già capito tutto ciò che c'era da capire. Certo lo avevano aiutato il Marx critico del programma di Gotha e il Weber dello spirito del capitalismo, ma queste cose le ho imparate più tardi.

Oggi, nell'epoca in cui la tecnica, quella degli economisti neoliberali, si è fatta governamentalità, il conformismo socialdemocratico è ancora più insopportabile. Un conformismo comprensibile, ma mai giustificabile, vent'anni fa, in piena fase espansiva della globalizzazione; un conformismo servile e intollerabile ora che la globalizzazione neoliberale è travolta dalla seconda Grande Contrazione. Non c'è più alcuna ragione per essere conformisti con le idee economiche! Ma il problema è che la sinistra socialdemocratica ha dismesso completamente la propria capacità di pensare. E la testardaggine della realtà non può nulla contro il vuoto.

Per quanto di queste ultime affermazioni, nel movimento, ne siamo più che consapevoli, succede a volte di pensare, mossi un pochino dall'affetto per Mario Tronti, che in fondo, seppur di segno diverso dal nostro, ci sia un pensiero strategico nella segreteria del Pd o delle sinistre minori. Come dire, noi non siamo d'accordo, ma loro, i partiti, comunque qualcosa la stanno pensando. D'altronde le affermazione hollandiane (revisione del Fiscal Compact, tassazione delle transazione finanziarie, patrimoniale) e il coraggio di Syriza ci danno un briciolo di speranza: non è vero che la sinistra europea può essere solo montiana (anche perché Monti è di destra, un cristiano-democratico molto austero passato per la finanza americana, penso che per lui sia un'offesa sentirsi considerare uomo di sinistra), c'è anche una sinistra che vuole uscire dalla crisi pensando ai salari, al reddito, alla redistribuzione della ricchezza.

Sono le notizie di queste ore, invece, che ci fanno perdere nuovamente speranza, soprattutto quando i nostri occhi si appuntano sulla scena italiana. Nessuno più ne parla, ma lo spread tra i nostri titoli di Stato e i bund tedeschi ieri ha sfiorato i 500 punti per poi attestarsi a 467. Non è più una notizia, così come non è una notizia che il nostro Parlamento sta approvando una riforma costituzionale che introduce il pareggio di bilancio in Costituzione. La disoccupazione in Europa cresce (11%), sono i dati Eurostat ad informarci, e l'Istat ci dice che in Italia la disoccupazione giovanile ha superato il 35%. Anche in America la disoccupazione cresce e Obama se la prende con la Merkel e la crisi dell'Eurozona. Tra l'altro, forse il dato più significativo, non ci sono più locomotive orientali che trainano il mondo fuori dalla crisi, la crescita di Cina e India rallenta e il motivo è semplice: il crollo dei consumi in Europa, oltre che negli Us.

Insomma, mentre la catastrofe si abbatte in tutte le sue forme su di noi, dal terremoto che martorizza l'Emilia Romagna alla crisi economica che come una scure colpisce l'occupazione, imponendo nuove e sempre più radicate povertà, il Pd e le sinistre italiane, sono convinte di poter seguire la corrente. Con Monti pensano di tenere a bada la Merkel, con Draghi di salvare l'euro, con la Cgil di comprimere o mettere a tacere il malcontento che serpeggia nella società impoverita, con Manganelli e De Gennaro di sventare il pericolo anarco-insurrezionalista. Tra gli strateghi c'è Re Giorgio che, con i suoi moniti funesti, conferma la «dittatura commissaria», per utilizzare l'espressione schmittiana, che ormai tiene in scacco la nostra sfortunata penisola. Poi c'è Scalfari, un pensatore raffinato, che giustamente pensa di tenere a bada il grillismo con una lista civica giustizialista capeggiata dall'«eroe nazionale» Saviano. Già la immagino, una lista di eroi nazionali, nella quale non mi stupirebbe la presenza di Caselli, di Della Valle, di Benigni, di Fiorello. Che bello, no?

A me sembra così chiara una cosa. Le parole di Obama esprimono preoccupazione, ma anche rabbia. Obama ha capito che le sue pedine europee (avendo in conto che l'interesse americano rimane comunque quello di tenere a bada l'autonomia monetaria ed economica europea), da Monti a Hollande, non riescono a frenare la fuga tedesca. La fuga tedesca dall'euro che abbiamo conosciuto dal 2002 in poi esibisce ulteriormente la fine dell'egemonia americana nella scena globale. Non esistono sostituti, questo è altrettanto evidente, ma in assenza di sostituti nuove combinazioni prendono corpo: l'asse geo-strategico Germania-Russia-Cina è una di queste combinazioni. Se ne creeranno e se ne stanno già creando altre, indubbiamente, ma di tutto questo, la segreteria del Pd, non ha capito nulla. Dimostrazione: il sostegno «senza se e senza ma» al governo Monti. Il governo Monti è un governo americano, pensato per tenere a freno la spinta centrifuga tedesca. Chi non vede questo, semplicemente non legge i giornali la mattina, niente di male, ma evitiamo di perder tempo con discussioni inutili. Se nel Pd esistesse un pensiero, un pensiero riformista, si capirebbe che Monti ha rotto i coglioni, che la Merkel non lo sta a sentire e che la «gabbia d'acciaio» del Fiscal Compact va rotta. Per procedere dove? Verso una nuova Europa, quanto meno keynesiana, con una moneta comune, come dice Marazzi, e non unica, accompagnata dunque da monete nazionali vincolate alla moneta comune ma con un margine di autonomia espansiva, con una banca centrale analoga alla Fed e alla Banca d'Inghilterra, con il debito pubblico mutualizzato, con una durissima tassazione delle transazioni finanziarie e con una legge, di sapore roosveltiano, in grado di separare banche d'investimento e banche commerciali. Obiezione tipica del “democratico”: come la mettiamo con la fuga dei capitali? Bella obiezione. Ma basterebbe leggere Rampini per sapere che la fuga dall'euro non riguarda più solo gli hedge fund, ma che oramai riguarda corporation e multinazionali. A forza di salvaguardare l'interesse del capitale, i nostri grandi strateghi democratici faranno in pezzi l'Europa, e i capitali, che sanno badare da soli ai loro interessi, non hanno bisogno di Bersani o Letta, se ne saranno andati già da un pezzo.

D'altronde, pensandoci bene, e nonostante le parole di Tronti, è almeno dagli anni '60 che i dirigenti della sinistra non sono più le teste migliori che ci sono sulla piazza. Per quanto mi ricordo io, al liceo come all'università, i meno brillanti erano quelli che facevano già politica nei partiti di sinistra. Di certo non è un caso che siamo nella merda.

Allora da dove si riparte? Si riparte dalle costituenti o coalizioni sociali, da questa istanza trasversale e marxiana che mette al centro la tutela del lavoro contro lo sfruttamento, del reddito contro la rendita, della felicità contro la malinconia. Ci vuole una coalizione sociale che chiarisca senza timidezze un programma d'alternativa, un programma semplice, per il momento, ma non per questo meno radicale: farla finita con il Fiscal Compact, con il debito illegittimo (la tematica del default selettivo) e con la dittatura finanziaria! Da qui in poi si discute, il resto sono chiacchiere. Altrettanto: farla finita con l'attacco ai salari e ai diritti delle riforme del lavoro prescritte dalla Deutsche Bank (in Germania anticipate di un decennio dal governo Schröder) e dalla Bce! Prima mettiamo all'angolo Marchionne e Fornero e poi, solo poi, ne riparliamo. Fatte queste premesse programmatiche, la costituente sociale, che da subito deve procedere lungo una linea di sviluppo europea, può discutere e condizionare le forze politiche che, a sinistra, vogliono evitare la catastrofe. Ma l'autonomia programmatica e delle pratiche di lotta, oltre che del metodo organizzativo, per il movimento oggi è tutto, a maggior ragione se la sinistra, soprattutto quella italica, rimane quella descritta dalla XI Tesi di Benjamin.

Occorre ritrovare l'ebrezza di risalire il fiume, controcorrente, nella consapevolezza che il percorso è lungo e che gli orsi non mollano.

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