Convergere per la giustizia sociale e ambientale: il piano di conversione dell’Ex GKN

Al Centro Sociale Django di Treviso è stato presentato il piano per il futuro della fabbrica fiorentina. Nel frattempo il Collettivo di fabbrica ha lanciato una manifestazione a Firenze il 25 marzo

11 / 3 / 2023

Il 15 febbraio 2023 è stato presentato al Centro Sociale Django di Treviso l'ultimo numero dei Quaderni della Fondazione Feltrinelli, intitolato "Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze: Dall’ex GKN alla Fabbrica socialmente integrata”. Il libro è un prodotto della vertenza portata avanti dal Collettivo di Fabbrica GKN per la conversione della propria fabbrica a una produzione sostenibile. Si tratta della più importante esperienza di convergenza tra lotte sul posto di lavoro e movimenti climatici in Italia. È per difendere i principi espressi da questa lotta che il Collettivo ha lanciato una raccolta firme e una grande manifestazione a Firenze per il 25 marzo.

Il volume presentato al Cs Django pubblica il piano di conversione dell'Ex GKN di Campi Bisenzio per la creazione di un Polo Pubblico per la Mobilità Sostenibile, preparato dal Collettivo di Fabbrica GKN e dal gruppo di ricerca solidale GKN. Moderava il dibattito Ruggero Sorci, attivista del Centro Sociale Django e dell’ADL Cobas. Sono intervenuti Francesca Gabbriellini del gruppo di ricerca solidale GKN, Dario Salvetti del Collettivo di Fabbrica GKN e Lorenzo Feltrin, co-autore assieme a Emanuele Leonardi della postfazione del volume.

Ruggero ha aperto il dibattito notando come la presentazione di un piano di reindustrializzazione in un centro sociale sia un evento insolito. Tuttavia, il piano in questione nasce da una lotta dal basso iniziata 19 mesi fa e volta a cambiare la produzione e la società. Gli attacchi contro questa esperienza – sia economici che mediatici – sono probabilmente dovuti proprio al fatto che la vertenza è riuscita a costruire anche un potente immaginario. “L’idea di autogestione e trasformazione che anima il piano ha dunque molto in comune con noi. Dopotutto, siamo seduti in un’ex caserma occupata nel 2014 da un gruppo di compagne e compagni che hanno deciso – senza aspettare le istituzioni che l’avevano consegnata a decenni di abbandono – di convertire questo spazio in qualcosa di diverso.” Ruggero ha anche ricordato il caso di Mattia Battistetti, ragazzo morto sul lavoro in provincia di Treviso, la cui famiglia sta lottando per ottenere giustizia.

Francesca Gabbriellini ha cominciato il suo intervento con la domanda divenuta celebre nel corso della vertenza GKN: “E voi come state?”. Tale interrogativo è stato posto dagli operai a chi visitava la fabbrica occupata domandando notizie sulle loro condizioni, perché molte di queste persone probabilmente vivevano condizioni lavorative anche peggiori di quelle degli operai GKN fino al 9 luglio 2021. Questa domanda, rivolta al vasto mondo dei solidali, voleva accendere una scintilla, una presa di coscienza sulle proprie condizioni di lavoro e di vita, in modo da estendere la lotta. “Chi come me lavora nel mondo della ricerca ha pensato alla precarizzazione del settore, ma gli afferenti a discipline più ‘dure’ come l’economia e l’ingegneria si sono anche interrogati sul proprio ruolo rispetto al sistema. Abbiamo così deciso di mettere le nostre competenze al servizio della lotta e ciò che serviva in quel momento era un piano di conversione coerente con la spinta operaia e dei movimenti climatici. Quindi una fabbrica ecologica, compatibile con il territorio e in grado di salvaguardare l’occupazione e i diritti acquisiti dai lavoratori e le lavoratrici come patrimonio delle lotte passate.”

Il piano pubblicato nel volume presenta due possibilità. Una strada è la continuità della produzione di componentistica per veicoli, ma per il trasporto pubblico e a carburante non fossile. L’altra strada è invece la produzione per l’energia rinnovabile, elettrolizzatori per l’idrogeno verde e componenti per i pannelli solari. Esiste anche l’idea della conversione della Palazzina Nord della fabbrica in un centro di ricerca e sviluppo per una nuova sinergia tra accademia e mondo del lavoro, con programmi sia a beneficio della forza lavoro della fabbrica che del territorio in generale.

Con le Giornate Campali in Fabbrica tenutesi nel dicembre scorso, è cominciata una nuova fase perché il Gruppo di ricerca solidale si è convertito nel Gruppo reindustrializzazione, ampliandosi in modo significativo con nuove forze e competenze. È così entrato in funzione anche un gruppo di ricerca sulle imprese recuperate, che si occupa di mappare e facilitare esperienze di recupero e autogestione. “Si sono così moltiplicate le idee, come quella della cargobike, che potrebbe servire per un e-commerce più sostenibile. Stiamo anche studiando le comunità energetiche, per alimentare la fabbrica convertita via energia solare e distribuire poi l’eccedente ad altri siti presenti sul territorio. Si tratta insomma di un continuo ripensamento della produzione sulla base della lotta operaia e dell’integrazione sociale e ambientale con il territorio.”

Lorenzo Feltrin ha esordito con la constatazione del fallimento della “transizione ecologica dall’alto” di fatto basata su un approfondimento delle strutture del capitalismo: in trent’anni di vertici COP, le emissioni di CO2 non hanno mai smesso di crescere. In questo periodo si sono spesso viste tensioni tra lotte sui luoghi di lavoro e lotte territoriali. Tuttavia, come si legge nella postfazione, esiste un’interpretazione storiografica che vede la nascita dell’ambientalismo politico proprio nelle lotte di fabbrica contro la nocività, inizialmente all’interno dei luoghi di lavoro, poi con un allargamento al territorio. I casi più famosi sono quelli della FIAT di Torino, in cui il protagonismo è stato della FIOM con Ivar Roddone, e il Petrolchimico di Porto Marghera, in cui gli operaisti hanno dato un contributo originale, in particolare con Augusto Finzi.

Per quanto riguarda l’operaismo, Raniero Panzieri già nel primo numero dei Quaderni rossi criticava la tesi della neutralità della tecnologia. Mario Tronti, dal canto suo, sosteneva che la classe operaia – che oggi è preferibile chiamare classe lavoratrice – fosse il “motore mobile” del capitalismo, ovvero che lo sviluppo tecnologico capitalista fosse sospinto dalla lotta di classe. Infatti, ci sono molteplici traiettorie di sviluppo tecnologico possibili, quelle che si concretano sono da un lato frutto di rapporti di forza e dall’altro – nel capitalismo – devono essere in grado di garantire il profitto delle aziende che le adottano e quindi la disciplina della forza lavoro. Secondo Lorenzo questo può avvenire principalmente in due modi. Il primo sono le concessioni dirette alle lotte: modifiche agli impianti che riducono la fatica, le emissioni, lo stress, insomma la nocività in tutti i suoi aspetti. Tuttavia, un’innovazione che proceda solo su questo versante minerebbe la competitività delle imprese. Il secondo tipo di innovazione è dunque quello volto a ristabilire il controllo sulla forza lavoro a un nuovo livello di sviluppo tecnologico. Gli esempi sono molti: la catena di montaggio, le macchine a controllo numerico, l’odierno management algoritmico, ecc.

Di particolare interesse per la crisi climatica è la questione dell’energia. Andreas Malm, nel suo libro Fossil Capital, ha mostrato che la diffusione del carbone come fonte energetica è stata una risposta alle lotte operaie in Inghilterra nella prima metà dell’800. Tim Mitchell, in Carbon Democracy, ha sostenuto che il carbone è poi stato parzialmente sostituito da petrolio e gas perché trasportabili via pipeline, cosa che ha permesso al capitale di aggirare più facilmente il potere vulnerante di minatori, ferrovieri e portuali. Né Malm né Mitchell sono operaisti e Tronti non aveva certo in mente il riscaldamento globale quando parlava della classe come “motore mobile” del capitale. Tuttavia, la crisi climatica ci permette di leggere oggi il rapporto tra lotta di classe e sviluppo tecnologico sotto una luce nuova: se vogliamo far arretrare la crisi dobbiamo cambiare la tecnologia e quindi la produzione.

“Per adattare l’operaismo ai nostri tempi, proponiamo di aggiornare il metodo dell’analisi della composizione di classe.” La formulazione classica vede da un lato la composizione tecnica, ovvero il versante oggettivo, il modo in cui la forza lavoro viene organizzata e stratificata nel luogo di lavoro attraverso processi produttivi, livelli tecnologici, differenze salariali, ecc. La composizione politica è invece il versante soggettivo, costituito da forme di coscienza, lotta e organizzazione. Per far fronte alla crisi ecologica, è necessario rifarsi al patrimonio teorico del femminismo e considerare la composizione sociale della classe, ovvero le modalità in cui chi lavora si riproduce sul territorio, attraverso strutture residenziali, relazioni familiari, accesso al welfare e salute. Il versante oggettivo della composizione di classe risulta dunque biforcato tra composizione tecnica (relativa al luogo di lavoro) e composizione sociale (relativa al territorio). Si tratta di un ulteriore elemento di frammentazione della classe.

La sfida di essere contro la crisi ecologica è quella di costruire convergenza tra le lotte sul luogo di lavoro e quelle sui territori, dove si presentino le occasioni, attraverso piattaforme rivendicative che interpretino e articolino tra loro i bisogni dei diversi segmenti della classe. Si tratta dunque di scoprire le specificità di ogni caso, ma nella postfazione si propongono tre punti per orientarsi. Primo, la demercificazione della produzione e della natura, necessaria perché la produzione per il profitto richiede, dal punto di vista quantitativo, la crescita infinita dell’output materiale e, da quello qualitativo, scelte di consumo intrinsecamente individualiste e di brevissimo termine. Secondo, la riduzione del tempo di lavoro complessivo, che significa mettere lo sviluppo tecnologico al servizio della qualità della vita e di un minore impatto ambientale. Terzo, la redistribuzione della ricchezza al livello globale, necessaria affinché i due punti precedenti siano socialmente sostenibili. Giocoforza, sono obiettivi verso cui avanzare lentamente, ma demercificazione, riduzione del lavoro e redistribuzione sono gli elementi distintivi della transizione ecologica dal basso. In questo, proprio la vertenza GKN è il caso a cui ispirarsi.

Ha concluso gli interventi Dario Salvetti, raccontando la vertenza e i suoi ultimi sviluppi. La prima tappa è stata quella lo shock improvviso, del venerdì 9 luglio in cui arriva il licenziamento di tutti gli operai via mail. Il gruppo Melrose, proprietario della GKN, ha già chiuso quattro fabbriche in Europa. “Mentre per lo stabilimento di Birmingham erano stati dati diciotto mesi di preavviso, a noi non hanno dato neanche diciotto minuti.” Quello della GKN Firenze era il primo licenziamento collettivo in Italia dopo il blocco legato alla pandemia, quindi il Collettivo di Fabbrica GKN ha saputo sfruttare la circostanza per guadagnarsi visibilità.

Alla GKN Firenze esisteva un modello sindacale “rivendicativo e partecipativo”, in cui le RSU lavoravano con i “delegati di raccordo” formando un Consiglio di Fabbrica di 21 persone, un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza in più e un Collettivo di Fabbrica composto dai volontari. “Su una fabbrica di 420 dipendenti (500 con gli esternalizzati) potevamo contare su 40-45 persone attive sindacalmente e ramificate nei diversi gangli della fabbrica. Per questo hanno dovuto chiuderci senza preavviso e per questo la visibilità ce la siamo guadagnata. Non c’era altro modo di chiudere la fabbrica.”

Esattamente un anno prima, il 9 luglio 2020, era stata realizzata una campagna di scioperi articolati da 15 minuti. “Abbiamo così bloccato la fabbrica per una settimana, giocando d’anticipo perché – analizzando il magazzino – avevamo capito che stavano preparando 70 esuberi.” È stato così strappato un accordo di preavviso secondo cui non si poteva licenziare senza prima ricorrere all’ammortizzatore sociale. Accordo che è stato uno degli elementi che hanno permesso di vincere il ricorso per condotta antisindacale, facendo così annullare i licenziamenti.

I licenziamenti del 9 luglio 2021 sarebbero entrati in vigore dopo 75 giorni: “Sono i giorni in cui dobbiamo reagire in tutti i modi al trauma e dichiarare a noi stessi e alle persone attorno che non siamo la solita vertenza. Perché, se siamo la solita vertenza, perdiamo”. Il 24 luglio si tiene una manifestazione davanti ai cancelli della fabbrica e l’11 agosto un’altra manifestazione per l’anniversario della Liberazione di Firenze, insorta quando gli Alleati erano ancora lontani. È stato così stimolato un immaginario diverso ma radicato nella storia. “Quella sera, in piazza, abbiamo risposto per la prima volta a un articolo del Sole 24Ore che in sostanza diceva ‘Avete voluto Greta e quindi beccatevi i licenziamenti’.”

Il 18 settembre 2021 è il giorno della “marcia dei 40.000, quelli buoni”. Il lunedì seguente, il giudice sospende la procedura di licenziamento. “Vinciamo così il ricorso per condotta antisindacale ma avviene anche il primo tentativo di contrapporre la vittoria legale alla mobilitazione. Non solo: per la prima volta usano il termine ‘vittoria’ contro di noi. ‘Avete vinto’ e quindi la vertenza è conclusa.” In realtà, la procedura di licenziamento è sospesa solo per un vizio di forma, la mancanza di preavviso.

“Il tempo rallenta perché non c’è più una scadenza, non si sa quando riapriranno la procedura di licenziamento. Dopo il licenziamento traumatico, ci siamo guadagnati un autunno, come lo usiamo?” Il Collettivo organizza dodici bus per partecipare alla manifestazione di Roma contro il G20, dichiarando la propria disponibilità a convergere. “A settembre andiamo alla pre-COP a Milano e sviluppiamo il nostro approccio alla questione ambientale, dicendo che non ci interessa difendere la produzione dell’auto privata in quanto tale. I padroni non ci hanno mai chiesto che cosa produrre, non ci interessa metterci a difendere quella produzione ora che siamo stati licenziati. È però chiaro che la ‘insorgenza’ è ancora lontana.”

Il 5 dicembre 2021 si riunisce per la prima volta il Gruppo di ricerca solidale che inizia a lavorare sulla reindustrializzazione dal basso e l’intervento pubblico sotto il controllo operaio. “Fino a quel momento non avevamo parlato di nazionalizzazione, perché parlarne senza avere la forza di indicare il tipo di intervento pubblico che si chiede vuole dire cadere nella trappola di ILVA, Alitalia, Monte dei Paschi, ecc. In quell’occasione invece presentiamo l’idea del Polo pubblico per la mobilità sostenibile”.

Proprio a fronte della richiesta di un intervento pubblico, si presenta un soggetto privato. Francesco Borgomeo, ex advisor della Melrose, compra la fabbrica fondando la QF (Fiducia nel futuro della fabbrica di Firenze). “Non si è mai capito quanto l’ha pagata e perché l’ha comprata. Ma di fatto porta avanti un ulteriore attacco verso la nostra lotta. Noi ipotizziamo che i suoi obiettivi siano quelli di svuotare lo stabilimento e trasferire il pagamento dei nostri stipendi all’INPS attraverso la cassa integrazione (infatti, da quel 9 luglio, il capitale costante presente in fabbrica – le scorte di magazzino e i macchinari – non si è mai mosso). Lo obblighiamo a fare un accordo quadro in cui inseriamo dei ‘meccanismi anti-attesa’, perché capiamo che il suo ruolo è quello di perdere tempo.”

Borgomeo, che non ha un vero piano di reindustrializzazione, promette di presentare degli investitori entro agosto, cosa che puntualmente non si verifica. L’accordo firmato prevedeva che in questo caso l’onere di investire ricadesse sullo stesso Borgomeo il quale, non avendo le risorse finanziarie necessarie, avrebbe dovuto chiedere aiuto allo stato. “Mentre Borgomeo prova a logorarci, ci salviamo insorgendo e convergendo.” Il 26 marzo viene dichiarata una giornata di lotta collegata al Global Climate Strike, una grande iniziativa di massa che non si regge più sullo shock dei licenziamenti (apparentemente ritirati) ma sulla convergenza tra la lotta GKN e i movimenti climatici.

A fine agosto non c’è ancora nessun investitore, così il 5 settembre Borgomeo chiede – a fronte di un investimento privato di soli 5 milioni – 35 milioni d’investimento pubblico. “Comincia così una terza fase, quella della ‘Fabbrica pubblica e socialmente integrata’. Pubblica perché in GKN si spendono e si spenderanno soldi pubblici. Socialmente integrata perché quei legami che il territorio ha creato con noi devono essere resi permanenti. Questa riflessione ci porterà a fondare la Società di mutuo soccorso Insorgiamo.”

Nell’autunno del 2022 si dà inoltre un processo volto a generalizzare l’esperienza GKN ad altre città. Il primo appuntamento è la manifestazione “Convergere per insorgere” del 22 ottobre a Bologna e il secondo è il corteo del 5 novembre a Napoli. “Guarda caso, proprio quando stiamo andando a Napoli, Borgomeo annuncia che il 7 novembre arriveranno i camion per rimuovere materiali dalla fabbrica. Si organizza un presidio di emergenza che impedisce lo sfondamento ma dall’8 novembre Borgomeo cessa di pagare i nostri stipendi. Inizia così l’assedio che è tuttora in corso.” Proprio il 15 febbraio, l’azienda annuncia la liquidazione.

Dario ha concluso l’intervento presentando le prospettive attuali. “I nostri progetti vanno dalla produzione di batterie e pannelli solari, senza usare materie prime come le terre rare che comportano estrattivismo, alle cargobike, che si potrebbero collegare a cooperative di delivery urbano solidale e pubblico. Questa vicenda ci ha messo di fronte allo scarto tra quello che siamo riusciti a fare in un singolo punto e la mancanza di rapporti di forza generali, cosa che in qualche modo ci avvicina al contesto argentino. Forse noi stessi dovremo risollevare la fabbrica – in un regime capitalista, con tutte le sue difficoltà – ma con una gestione operaia. Sarebbe un’opportunità anche al livello nazionale, perché si tratterrebbe di un luogo produttivo tutto nostro dove sperimentare approcci diversi alla salute mentale, ai rapporti di genere, alla produzione, ecc. Sempre consapevoli che tutto questo avviene tra le macerie di un capitalismo che è ancora più forte di noi ma che è talmente in crisi da lasciare all’abbandono enormi spazi e risorse. Non è un caso, è la situazione del capitalismo internazionale e italiano in questo momento. Per questo il nostro esperimento è da sostenere fino a che ce ne sarà.”