Copenhagen: la favola è finita

Diario di viaggio delle mobilitazioni contro il Cop 15

21 / 12 / 2009

Arriviamo a Copenaghen alle 16 di giovedì 10 dicembre.
Il vertice COP15 è già cominciato, ma le mobilitazioni principali si vedranno solo dopo il 12.
I riflettori del mondo sono tutti puntati qui.
Il vertice, nel pieno della crisi globale, si profila come un fallimento già dal suo avvio.
L’interesse si sposta soprattutto sui movimenti di tutto il mondo che confluiranno qui in questa settimana di contestazioni.
Veniamo subito a conoscenza che nella notte fra il 9 e il 10 ci sono state varie perquisizioni alle sedi del Climate Justice Action, sedi che ospitano anche gran parte dei manifestanti che in questi giorni stanno arrivando da tutte le parti del mondo.
Con una conferenza stampa in gran stile la polizia ha mostrato il materiale sequestrato: scudi di plexiglass e decine di tenaglie; strumenti che servono all’autodifesa e a rompere le zone rosse dove qualcuno sta decidendo di distruggere il pianeta per i propri interessi.
L’attenzione mediatica attorno a questo sequestro è stata gonfiata ad arte dalla polizia per giustificare evidentemente il livello altissimo di repressione e blindatura della città che si avrà durante la settimana.
Il tentativo chiaro è quello di screditare da subito un movimento che in una settimana difficile come questa, in tema di salvaguardia dei beni comuni e di immaginario può incidere tantissimo.
Scesi dall’aereo, nella sala principale del lussuoso aeroporto di Kastrup, veniamo accolti da un banchetto del COP15 con i materiali e le locandine sull’impegno dei paesi dell’ONU alla salvaguardia del pianeta.
Ai lati del lungo corridoio che porta al ritiro bagagli ci sono cartelloni luminosi che invitano alla risoluzione dei problemi ambientali e climatici…quello che colpisce sono le firme di questi cartelloni: Shell, Samsung, e tante altre multinazionali che ogni giorno contribuiscono a distruggere il pianeta e che invece sembrano fra i maggiori promotori del vertice.
Fra questi cartelloni anche quello di Greenpeace, ma non è soltanto la grafica a renderlo simile agli altri…
Sembrano già chiare alcune cose: l’ipocrisia del vertice COP15, il lancio del capitalismo verde o green economy, il ruolo delle grandi etichette dell’ecologia internazionale in questi vertici.
Da un lato il vertice ONU su clima e ambiente vede i due paesi più inquinanti (Cina e Stati Uniti) accordarsi una settimana prima, in un patetico G2, per decidere che al COp15 non si dovranno prendere decisioni impegnative in merito a riduzioni di emissioni ecc…
Dall’altro i media internazionali e le multinazionali provano a gonfiare l’evento, usando spesso concetti e parole d’ordine dei movimenti verdi, celando la loro strategia per continuare ad arricchirsi ai danni delle pianeta e delle sue risorse.
In realtà le contestazioni sono partite già dal 9 dicembre, ma dall’interno del vertice. I delegati Onu dei paesi poveri e i delegati delle Ong hanno da subito fatto sentire la propria voce, bloccando più volte le ipocrite discussioni dei grandi potenti. Il non-accordo preventivo del G2, il boicottaggio del COP15, è determinato sicuramente anche dalla paura di una reale discussione al vertice,
che avrebbe potuto vedere prevalere la linea di tanti paesi sottosviluppati o di quelli spesso autodefinitisi in via di sviluppo, e non la loro, tanto è grande lo scontro fra le varie posizioni dentro la globalizzazione.
Questo ha determinato uno scenario di paura per gli organizzatori, perché fuori i movimenti annunciavano grandi proteste con migliaia di persone, dentro si apriva la contraddizione che esprime in pieno la frattura fra le varie aree del mondo.
Capiamo subito, già dalle prime sensazioni in aereoporto, che la Danimarca ha investito una quantità enorme di capitali per creare l’immaginario da favoletta della città progressista che si fa promotrice della salvezza del pianeta; "Hopehagen", la città della speranza.
Ma le cose non sembrano andare così, e c’è un brutto clima.
La mattina dell’11 cominciamo a capire come funzionerà Copenaghen per tutta la settimana.
Ci sono migliaia di poliziotti che fermano ogni persona sospetta.
Vengono filtrati anche i pullman, i taxi, le auto, le bici, i gruppi di persone sui marciapiedi.
Viene impedita ogni forma di spostamento collettiva. Limitata la mobilità di interi pezzi di città.
Questo determina anche la difficoltà di unire i fronti di lotta, o semplicemente di avere una visione di insieme di tutte le iniziative che contemporaneamente movimenti diversi fra loro mettono in campo in questi giorni, dai forum ai presidi dai blocchi alle azioni creative, in uno stimolante fermento politico.
E basta poco per essere fermati, e portati nelle celle speciali per 6 o 12 ore.
Basta un espressione da attivista, un cappuccio, una macchina fotografica, una mappa segnata…
Anche camminare nella direzione di un iniziativa è proibito, e nella mattina dell’11 sono previste azioni di protesta nel centro della città, contro alcune multinazionali.
Noi veniamo fermati appena usciti di casa, dopo pochi minuti.
Alcuni vengono solo identificati e perquisiti, altri portati in cella.
Le mille persone circa che sono riuscite ad arrivare al concentramento vengono circondati dalle camionette.
Questo dispositivo di sicurezza ha prodotto nella sola giornata di oggi 61 fermi. 7 gli italiani.
Per essere la prima giornata di mobilitazioni, il bilancio fa già paura…
La polizia sorride ai fermati, da indicazioni, non picchia.
L’estetica delle repressione danese è democratica e preventiva.
Veloce, funziona.
I danesi quasi non si scandalizzano, sembrano assuefatti.
Attraverso l'uso del "fermo preventivo", si è affermata l’ ”obbedienza".
Un modello di repressione subdolo, totalizzante, che colpisce prima che l’atto in se, la persona dentro, nella propria libertà di pensare di uscire, di girare, di partecipare.
Un controllo della città che è capillare, ma non da zona rossa.
Un operazione chirurgica non invasiva.
La città non è mutata nell’aspetto dalla presenza di migliaia di poliziotti, i posti di blocco quasi non si vedono, i fermi sono quasi silenziosi, senza opposizione, cordiali….
Qui è tutto perfetto, una vita che in generale appare felice, ma soltanto per chi obbedisce..
La sera torniamo al nostro campo base, e fissiamo l’assemblea ogni sera dopo cena.
Siamo circa duecento da varie parti d’Italia, attivisti, la stragrande maggioranza dei quali molto giovani, che provengono da tante realtà di lotta territoriale, dell’università.
Ci confrontiamo continuamente, ci raccontiamo le sensazioni di questi giorni, e le esperienze degli anni passati. Cerchiamo di superare insieme la paura di questa città.
Il 12 è la giornata del corteo internazionale che parte dalla piazza del parlamento danese e arriva al Bella Center, sede del Cop15.
Anche per questa iniziativa, che è autorizzata e prevede la presenza di associazioni e movimenti, la città è blindata.
Perquisizioni e filtraggi, ma siamo in migliaia a muoverci verso il concentramento e non c’è modo di fermarci tutti e controllarci.
In piazza siamo oltre 100 mila persone.
Una piazza colorata, i più sono giovani.
Ci sono le grandi associazioni (greenpeace ecc..), ci sono i movimenti verdi nordeuropei, i centri sociali, le delegazioni di oltre 60 paesi dai contadini sudamericani ai gruppi ambientalisti di Taiwan…
La presenza della polizia è pressante, sono tutti schierati e armati
Mentre il corteo va avanti, dentro il vertice si vive una situazione di stallo, il COP15 sembra essere già fallito.
La polizia prende a pretesto un piccolo vetro andato in frantumi e qualche petardo tirato da una quindicina di blackblock per mettere dentro le celle quasi un migliaio di persone, centinaia delle quali oltretutto sono state ammassate tutte insieme, costrette a restarsene sedute per ore sul marciapiedi gelido, con i polsi legati e in qualche caso anche le caviglie.
Una vera e propria deportazione. Un intero pezzo di corteo è stato circondato, cinturato, e portato via. Il resto del corteo prosegue fino al Bella Center.
In serata si parla di altri duecento arresti al presidio sotto al carcere, dove poi nella mattinata successiva cominceranno a uscire i manifestanti rilasciati.
Iniziano anche a chiarirsi le dinamiche provocatorie della polizia attuate per cercare di giustificare l'uso massiccio dei "fermi preventivi" e il tentativo di creare problemi nelle manifestazioni.
Dal corteo di oggi forse non si può parlare di un nuovo movimento globale, ma sicuramente ci sono degli ottimi spunti.
La giornata del 13 si apre con l’iniziativa dei movimenti NO OGM e dei contadini di Via Campesina.
Concentramento in piazza e assemblea pubblica; gli interventi raccontano della nuova colonizzazione dovuta alle poche aree fertili rimaste al mondo concentrate nei paesi del sud, il mercato dei macelli della carne, le multinazionali del settore alimentare, la riconversione agricola.
Ci si prepara per partire in corteo ma la polizia lo vieta e circonda la piazza.
Improvvisamente da un marciapiede laterale arriva il Samba Block.
Il ritmo della loro musica si sente da lontano, e quando arrivano accanto alla piazza tutti si buttano dietro la musica a ballare.
Diventa effettivamente un corteo, che scende dai marciapiedi e comincia a bloccare il centro cittadino ballando.
La polizia è in panico. Arrivano centinaia di poliziotti in camionette e seguono minacciosi la samba. Ma sono ridicoli.
Il corteo musicale fatto di clown, contadini, movimenti, giovani si dirige verso il KlimaForum.
La seconda parte della nostra giornata si sposta qui.
Il KlimaForum si svolge in un plesso di edifici pagato dal comune di Copenaghen, appena dietro la stazione centrale.
Duemila, tremila persone attraversano dal 7 al 18 dicembre il Forum, ogni giorno ci sono almeno 30 iniziative, dibattiti, workshop, incontri con esperti tradotti in 5 lingue, Bovè, Vandana Shiva, Naomi Klein, il rappresentante dei Navaho, le ong dell’america latina. Lì sembra di stare al centro del mondo, si incontrano nei corridoi indios, docenti, membri di comunità che difficilmente si sarebbero ritrovate tutte dentro una sola iniziativa. Alcune delle associazioni che partecipano al Forum, partecipano anche ai lavori ufficiali del COP15.
Questo è il luogo dell’elaborazione, si discute delle alternative in materia di clima e ambiente, esempi virtuosi e lotte locali.
E’ più che evidente però il distacco fra il Forum e le mobilitazioni della piazza.
Esempio lampante: quando il corteo della samba e dei contadini è stato quasi caricato fuori al forum prima di concludersi, dentro i dibattiti si svolgevano tranquillamente e nessuno è corso fuori.
Nessun grande esperto o intellettuale, ne i presidenti delle Ong, hanno aperto bocca per parlare della repressione a Copenaghen, come se la scelta di distruzione del pianeta fosse qualcosa di distaccato dalla libertà di espressione e dalla pratica del conflitto che mette in atto le alternative.
Dall’altra parte c’è da sottolineare la debolezza dei movimenti danesi che pur avendo la possibilità non hanno fatto questo lavoro di connessione.
A termine di questa giornata al Forum rimaniamo con un fermento dentro incredibile, ma restano tanti dubbi. E se questa fosse la passerella delle grandi ONG? E se questo livello di mistione fra lavori ufficiali e lavori al forum servisse a dare una facciata democratica e di partecipazione ai temi dell’ambiente, per poi favorire il capitalismo verde, la green economy?
Invece di essere base per l’organizzazione di un nuovo movimento globale, di cui tutti sentiamo l’esigenza e vediamo le potenzialità…
La mattina del 14 più di duemila persone hanno partecipato al corteo "No border".
La manifestazione è arrivata al Ministero della Difesa, passando per il centro cittadino.
Un corteo allegro e colorato, pieno di giovani circondato interamente dalla polizia danese.
Molti gli slogan lanciati dal corteo contro la "Fortezza Europa" e contro gli arresti sproporzionati degli ultimi giorni all'urlo di "Freedom of movement".
Rimaniamo sbalorditi quando capiamo che la polizia arresta, uno alla volta, tutti quelli che con il microfono dal camioncino incitano a proseguire il corteo anche nella zona non autorizzata.
Poi sequestra il camion e scioglie il corteo, che riesce a fare giusto pochi metri non autorizzati prima di essere circondato e stretto dalla polizia.
Sul tardo pomeriggio andiamo tutti in bici a Christiania
C’è il dibattito con Naomi Klein e Michael Hardt sulla crisi, e a seguire il concerto di autofinanziamento del Climate Justice Action.
Christiania è una comunità che da anni vive una situazione di informale autonomia rispetto al resto della città.
Ci sono migliaia di persone, e dopo il partecipatissimo dibattito comincia la musica e le birrerie si riempiono.
Improvvisamente, in un patetico tentativo di riot un gruppetto di persone incendia del materiale facendo una barricata all’entrata di Christiania.
Dopo pochissimo, troppo poco, all'improvviso la polizia con duemila uomini, un elicottero, una gru, arriva fuori Christiania sparando lacrimogeni dentro il quartiere ed entra iniziando a fermare tutte le persone presenti e arrestandole quasi tutte.
Sono centinaia le persone arrestate, delle quali 81 italiani.
Un operazione enorme, troppo veloce per non farci pensare che Christiania la notte fra il 14 e il 15 è stata una grande trappola.
Degli italiani Luca Tornatore, compagno di trieste e ricercatore di astrofisica, viene trattenuto e sarà processato in giornata con l’accusa di aver partecipato alle barricate.
Tutto questo succede proprio a meno di 24 ore dalla giornata del 16 dicembre in cui è prevista l'iniziativa Reclaim the power al Bella Center dove si tiene Cop15.
La mattina del 15 cominciano a uscire tutti gli italiani dalle galere danesi, tranne Luca.
Convochiamo una conferenza stampa contro la repressione nella hall del KlimaForum.
Tanti i giornalisti, le telecamere, i microfoni della stampa internazionale ma anche tante le persone di ogni nazionalità che hanno partecipato attivamente alla conferenza stampa, scandendo con voce e applausi “Freedom for all the activists”. Intervengono anche i delegati internazionali delle altre realtà presenti al Forum, come gli attivisti di Via Campesina, di Farmer Just in Action, di Accion Ecologica dall'Ecuador e Oil Watch.
Al termine della conferenza stampa è stato arrestato Tadzio Müller, uno dei portavoce dei Climate Justice Action, dopo aver presentato la mobilitazione di domani, mercoledì 16 dicembre.
Nello stesso momento la polizia danese fa irruzione al Forum: 20 attivisti francesi vengono arrestati e vengono arrestati gli attivisti che stanno preparando le biciclette per il bike block di mercoledì 16.
In tarda serata alcuni di noi incontriamo un gruppo di studenti di Copenaghen per un confronto fra le lotte universitarie italiane e quelle danesi.
Dai loro racconti emerge una situazione di generale benessere dell’istruzione pubblica, e del sistema welfaristico per i giovani (case, trasporti e cultura accessibile…). Da qualche anno però è cominciato un processo di privatizzazione dell’università e della ricerca, che ha portato all’occupazione dell’università di Copenaghen per la prima volta.
Non esistono ancora gruppi politici dentro l’università, gli studenti sono riuniti in un'unica confederazione para-sindacale che tiene dentro tutte le posizioni politiche.
Anche da questa informale chiacchierata emerge il processo di trasformazione della Danimarca dall’idea di socialdemocrazia alle direttive della nuova europa liberal-democratica.
Man mano che passano i giorni, della nostra breve permanenza qui, la favola del NordEuropa felice si dissolve sempre di più.
Beviamo una birra davanti all’Info Point, poi si cominciano a sentire decine di sirene della polizia.
Dobbiamo andare via. A Copenaghen non c’è mai pace.
Il 16 è la giornata del corteo Reclaim the Power, che dovrebbe raggiungere e superare la zona rossa per incontrarsi con i membri dei paesi dissidenti e delle associazioni che appoggiano i movimenti.
Dovevano esserci 4 blocchi da 4 piazze diverse che sarebbero confluiti tutti insieme fuori al Bella Center. Il bike block è stato decimato dagli arresti. I ledear del Climate Justice Action quasi tutti in galera, considerando anche che oltre mille persone sono state arrestate e fermate nei giorni precedenti, la situazione in piazza era difficile da prevedere e organizzare.
Ma nei giorni precedenti è maturata la convinzione e la rabbia, e il 16 sono tutti decisi ad andare avanti.
Dentro il COP15 ci si avvia alla conclusione dei negoziati e il fallimento è ormai scontato.
Il corteo arrivato davanti al Bella Center viene circondato dalla polizia che chiude ogni via di fuga.
Si spinge in direzione del vertice. La polizia carica, spruzza uno spry accecante che colpisce tutti, anche tanti giornalisti.
Il corteo resiste, e la composizione della testa è reale e significativa.
Movimenti ecologisti, contadini, gruppi creativi, giovani. Le foto delle cariche, sui giornali faranno scandalo anche per questo.
La polizia chiude sempre di più il cerchio, chi ce la fa riesce a scappare per i campi fra i torrenti e le spine. Tutto il resto del corteo rimane dentro, tutti identificati, tutti arrestati.
Nel frattempo i delegati Onu dei paesi piccoli e delle associazioni si alzano dal Cop15, interrompono i lavori e camminano fuori per raggiungere il corteo, un immagine bellissima, ma verranno a loro volta fermati dalla polizia.
Il COP15 era nato non come vertice di poche nazioni, ma come luogo di elaborazione fra associazionismo, delegati onu, rappresentanti politici ecc…
Si è trasformato in un vertice che da solo non può decidere del mondo intero, e agli occhi del mondo intero ha mostrato la sua debolezza.
Reclaim the Power è stata una giornata straordinaria dal punto di vista dei movimenti, e non era semplice viste le condizioni create dalla polizia, che fa trasparire una grande debolezza politica del Cop15.
Una grande giornata perché ha saputo cogliere questo aspetto e tramutarlo, attraverso un'azione di disobbedienza di massa, in un elemento politico concreto.
Piove dalla mattina, e riusciamo a prendere la metro e tornare.
Il 16, dopo il corteo, ci addormentiamo, esausti, tutti, per qualche ora.
Quando ci svegliamo la città è piena di neve.
Corriamo fuori, nel cortile.
Sembra una favola.
Tutte le nostre bici, i tetti di fronte, il prato del cortile, tutto ricoperto da metri di neve.
E’ la sensazione visiva più adatta a quello che sentiamo dentro: il vertice è finito, e con esso anche le tensioni e le brutture dovute alla repressione.
Infondo per un intera settimana tutto quello che è successo è stato accompagnato da pioggia, un cielo grigio e nevischio che non riusciva a posarsi.
Non è soltanto un cambiamento meteorologico, è un cambiamento di percezione dell’atmosfera della città.
Esco a fare un giro e sento il bisogno di un momento mio. Fuori la città sembra essere ritornata quella sempre immaginata.
Non nevica più, il cielo è pulito stellato e freddo, ma poche ore di neve sono bastate a ricoprire tutto.
Poso la bici e passeggio finalmente tranquillo in un atmosfera serena, entro ed esco dalle birrerie della zona centrale, le strade non sono più blindate e i ragazzi possono girare senza la paura dei fermi.
Attraverso il ponte sul fiume, i miei vestiti invernali a cui non sono abituato mi fanno fare goffi passi sul metro di neve che ricopre il marciapiede.
Copenaghen l’avevo sempre immaginata così.
Anche se nei giorni precedenti avevo visto un'altra città.
Ho la sensazione che forse non mi trovo nella favola della Danimarca innevata felice e socialdemocratica, ma forse nemmeno in uno stato di polizia.
Forse sono nel mezzo di un processo di trasformazione della Nuova Europa, dove la liberaldemocrazia si fonde con l’idea di fortezza, in una confusione di percezioni dovuta al passaggio dall’idea di una società progressista a quella vista in questi giorni.
Chi come me ha vissuto Copenaghen in questa settimana tornerà a casa profondamente cambiato.
Credo che bisognerà interrogarsi sull’immagine di nuova Europa che abbiamo visto.
Ma gli spunti di riflessione sono tantissimi, e saranno la strada da seguire nei nostri studi e nel nostro lavoro politico.
Mi passano davanti agli occhi velocemente gli arresti preventivi, il rastrellamento di Christiania, le gabbie, la scientifica negazione di ogni forma di dissenso, le centinaia di migliaia di persone che hanno distrutto il sistema di facciata che circondava il vertice Cop15.
Una sensazione, peraltro confusa, mi sembra troppo poco per analizzare adesso uno scenario così grande.
Non lo so. Forse non comprenderò mai la complessità e le contraddizioni che ha caratterizzato Copenhagen in questi giorni.
Ma questa atmosfera di favola è bellissima e cancella almeno per questa ultima sera dentro di me ogni bruttura e ogni riflessione.
Infondo sono contento che la mia ultima immagine di Copenaghen sia questa.
Davanti a me solo neve, tetti, le bici di notte, gli universitari danesi nelle birrerie, questo cielo pulito e freddo.
E’ tardi, devo ancora fare la valigia del ritorno, e per tornare al mediacenter italiano dove dormiamo bisogna attraversare quasi tutta la città.
Passo l’ultima volta davanti allo storico parco di Tivoli, giro a destra e riprendo la strada verso casa.
Sono le 8 di sera del 16 dicembre 2009, e su Christian Andersen Boulevard ricomincia già a nevicare


Il brigante,
Orientale 2.0, Napoli

Foto di logo di Alternative Visuali

Climate Justice Now.