Gli affari del Expo di Milano e delle Olimpiadi a Roma

Cosa succederà in città

di Daniele Nalbone

2 / 11 / 2010

Cosa succede in città è il titolo di un libro uscito nella primavera scorsa. Un libro “per addetti ai lavori” curato da “uno del giro”: Paolo Verri, già mente organizzativa del Salone del libro di Torino e membro del Comitato Torino 2006, oggi direttore del Comitato per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Cosa succede in città. Olimpiadi, Expo e Grandi Eventi: occasioni per lo sviluppo urbano (ed.Gruppo 24 Ore) è l’applicazione, tutta italiana, di uno studio effettuato da Greg Clark, consulente per lo sviluppo del sindaco di Londra, su commissione dell’Ocse Leed per lo sviluppo locale. Ebbene, l’obiettivo di questo volume, come spiega lo stesso curatore e ribadiscono i tre illustri prefattori, Alessandro Barberis (presidente Camera di Commercio di Torino), Carlo Sangalli (presidente Camera di Commercio di Milano) e Sergio Chiamparino (sindaco di Torino), è ridare spessore politico, giornalistico, manageriale, economico ai Grandi Eventi «in un momento in cui alla parola Grande Evento – spiega Verri - si associa perlopiù un connotato negativo».

In questo scenario, i dieci anni che verranno (2011-2021) saranno l’occasione «per riposizionare il paese» in quanto quello che sta per aprirsi è un decennio «dalle grandi potenzialità». Un decennio che inizierà (2011) con il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, prima grande occasione per lanciare un piano di intervento decennale capace di coinvolgere almeno sei delle maggiori aree metropolitane del paese, ideale «per lanciare in maniera sistematica la dorsale Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli legata alla nuova infrastruttura dell’alta velocità ferroviaria» e “giustificare” così questa grande (devastante) opera. Un decennio che terminerà (2021) con i settecento anni dalla morte di Dante: ricordando il sommo poeta renderà possibile, per i fautori dei global events, iniziare a pensare «al riassetto urbano non solo di Firenze (che allora sarà già “in bilico” a causa del sottoattraversamento Tav, ndr) ma anche di Verona e di Firenze, le altre due città principali della storia della vita di Dante».

Tra il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia e i settecento anni dalla morte di Dante, i prossimi dieci anni saranno quelli della corsa di Roma alle Olimpiadi del 2020 (da oggi al 2013, quando si deciderà la sede per la trentaduesima Olimpiade), del Forum delle Culture di Napoli (2013), dell’Expo di Milano (2015),  della Capitale europea della cultura di una città tra Bari, Matera, Rimini, Ravenna o Venezia (2019), del 500esimo anniversario della morte di Leonardo da Vinci (2019). Anni in cui si potrà instaurare, dopo quella delle “grandi opere”, un nuovo modello di governance: quella dei grandi eventi.

Delineata la cornice politico-manageriale della governance dei global events, ora possiamo scendere nel particolare di due grandi eventi: l’Expo di Milano 2015 e la corsa all’oro olimpico di Roma 2020.

Milano – la città del cemento a pioggia

Nella città Gabriele Albertini prima, di Letizia Brichetto Arnaboldi in Moratti ora, a decidere delle sorti di Milano è sempre stato l’assessorato all’Urbanistica guidato, negli ultimi anni, da personaggi come Maurizio Lupi prima e da Carlo Maria Giorgio Masseroli oggi. Cioè, sempre e comunque da Comunione e Liberazione. È questa realtà ecclesiastico-politica, questo gruppo, allo stesso tempo, di potere e di pressione che sta tentando, dietro Expo, di instaurare un’egemonia. Ecco perché Expo è diventata, in poco tempo, “la” partita politica milanese. Una partita in cui, a colpi di nomine in consigli di amministrazione, si è aperta una sfida tra tutte le forze del centrodestra: CL da una parte, Lega Nord dall’altra, i forzisti morattiani nel centro. Una partita nella quale se incerto è l’esito del vincitore (forse, lo capiremo dalle comunali del 2011) è scontato chi ne uscirà sconfitta: la metroregione Milano.

Per capire cosa sarà la Milano di Expo, il modo migliore è immaginare, come hanno fatto dal Comitato No Expo, cosa sarebbe potuta essere a Maggio del 2015, nel giorno dell’inaugurazione dell’Esposizione Universale.

Il primo grande evento “a impatto zero” grazie a un grande lavoro di recupero, riutilizzo e valorizzazione del patrimonio urbano esistente. Nessuna nuova speculazione e gli annunciati 200mila visitatori giornalieri che si sposteranno solo con mezzi di trasporto pubblico a emissione zero. Quindi, al posto del vecchio quartiere fieristico, un bosco urbano «simbolo della prima città mondiale» “sognano” i No Expo «ad aver risolto i problemi energetici e della mobilità con un ricorso totale a energie rinnovabili». Volendo speculare meno di quanto sta avvenendo, e che racconteremo come triste finale di questa storia che narra di “come sarebbe potuto essere e non sarà”, i quartieri periferici da qui a cinque anni si sarebbero potuti trasformare in tante cittadelle «dove cultura, socialità e vivibilità sono le nuove parole d’ordine, con un Parco sud diventato il principale fornitore di alimenti biologici della città». In poche parole, Expo avrebbe potuto rappresentare un nuovo “Rinascimento Ambrosiano”. Non, però, in questo modello di sviluppo che è riuscito nel finanziarizzare anche il suolo. È questo il vero risultato che si sta ottenendo con il Piano di Governo del Territorio, necessario in nome di Expo. Un piano che parte dai capannoni abbandonati della zona di Triboniano, nei pressi di un campo rom per il quale è stata fatta scattare da tempo la strumentale “sirena sicurezza”. Da lì a Milano, ben ventisei nuovi quartieri. Peccato, però, che proprio tra quei capannoni dovranno sorgere i padiglioni di Expo accompagnati, tra via di Triboniano e via Stephenson, da 1,2 milioni di metri quadrati di palazzi concessi dal Comune di Milano, con un aumento di ben 800mila metri quadrati “acquistati” al mercato delle volumetrie introdotto dal Pgt. Già, perché anziché regolamentare l’urbanistica fino ad oggi “contrattata”, con il “registro delle volumetrie” si potranno annotare spostamenti di diritti edificatori che, un giorno, potranno scambiarsi come avviene a Piazza Affari. Uno scambio che porterà, come detto, a cementificare 1,2milioni di metri quadrati di aree, “casualmente” adiacenti ad Expo, laddove se ne potevano cementificare “solo” 400mila. Non male questo Expo abbinato al Pgt, il “costruttori pensiero”. Così laddove oggi ci sono caserme, aree industriali e binari ferroviari dismessi, anziché pensare a “centralità pubbliche” o, perché no, a reindustrializzazion-i sostenibili per affrontare la crisi, ecco piovere cemento. Cemento che porterà Milano ad avere (o a subire, lo vedremo in futuro) 490 mila abitanti in più. Risultato finale: 8milioni di metri quadrati saranno ricoperti da circa 5milioni di costruzioni. Tradotto, come ha fatto il Pd milanese che (troppo tardi?) si è reso conto dell’impatto devastante del Pgt abbinato ad Expo (e viceversa), significano 161 Pirelloni. Cioè una mole di cemento pari a 161 volte i 127 metri di altezza del palazzo simbolo di Milano. In questo quadro, si può capire benissimo il ruolo svolto da Expo, applicazione perfetta di governance dei grandi eventi per dar vita a una riassetto urbanistico (e speculativo) delle città.

Prima della crisi, come spiega il movimento No Expo, «l’esposizione universale serviva per ristrutturare, ridefinire e ricomporre centri di potere economici, politici e finanziari. A perpetuare modello e profitti». Oggi, in piena crisi, «serve a drenare le poche risorse pubbliche rimase e a privatizzare i beni comuni, scaricando, secondo la logica della schock economy, la crisi sui territori e la collettività». Come? Lasciando libera di agire la mano della speculazione immobiliare e finanziaria. Così, laddove gli sponsor si sono ritirati per evidenti ragioni commerciali, venuti meno i soldi privati, è toccato al pubblico garantire, sotto forma di diritti edificatori e denaro, la stabilità di un’impalcatura traballante.

Roma – la città del cemento a macchia d’olio

Se a Milano il cemento pioverà dall’alto su aree “da valorizzare” ma prim’ancora da “riqualificare”, nella Roma in corsa vero le Olimpiadi il cemento continuerà a espandersi a macchia d’olio. Oltre le periferie, abbandonati i confini del Grande Raccordo Anulare, verso l’agro romano, lungo le sponde del Tevere, fino al mare, Ostia o Fiumicino non fa differenza.

Ma per rendere ancor più appetibile la torta, prima di espandersi i costruttori avranno la possibilità di conquistare ben 82 ettari, tra terreni ed edifici, una volta pubblici. Stiamo parlando delle caserme, transitate dal ministero della Difesa nella disponibilità del Comune di Roma. Caserme da “valorizzare” o da “riqualificare”. La partita, è sempre la stessa. E per chi si chiede cosa centri tutto questo con un grande evento come l’Olimpiade, il consiglio è di studiarsi la partita milanese per comprendere come, in uno scenario di crisi, finanziarizzare il territorio destrutturando le regole tramite l’emergenzialità dei grandi eventi è il nuovo modus operandi della speculazione.

Così, con la delibera 60 approvata dalla maggioranza capitolina, Alemanno è riuscito, nel suo governo “di discontinuità”, laddove non era riuscito nemmeno Veltoni e il suo “modello Roma”. Lo scorso 4 giugno, infatti, un Protocollo d’intesa passato quasi inosservato ai media tra il ministro Ignazio La Russa e il sindaco Alemanno ha trasferito quindici caserme «non più strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali» dal Ministero della Difesa nella disponibilità del Comune di Roma: così Roma avrebbe trovato i soldi per le nuove infrastrutture necessarie per la corsa alle Olimpiadi del 2020.  Tra il 4 giugno e il 28 ottobre, data della votazione della “delibera delle caserme”, Alemanno è intanto diventato sindaco non più “di Roma” ma “di Roma Capitale”: un atto che ha conferito nelle mani del primo cittadino dei “superpoteri” e che ha fatto dell’ex ragazzo a capo del Fronte della Gioventù “un uomo solo al comando”. Ora Alemanno può non solo stabilire ex imperio varianti al piano regolatore e concedere sua sponte cambi di destinazione d’uso, ma addirittura bypassare il controllo regionale e derogare ai piani paesistici, arrivando ad annullare i vincoli per le aree protette. Superpoteri ovviamente molto utili quando si tratterà di cementificare aree in prossimità del Tevere sulle quali costruire residenze per gli atleti di Roma 2020 e poi trasformare in abitazioni ma che già ora hanno sortito i primi, devastanti effetti.

Prendendo il caso specifico della Caserma Antonio Gandin nella zona Pietralata, si può comprendere come, nel concreto, potrebbe (potrà?) agire Alemanno: la struttura che sorge in un’area sconfinata lungo le sponde del fiume Aniene, infatti, è talmente pregiata da essere vincolata come area protetta dalla regione Lazio. Ebbene, grazie a “Roma Capitale” Alemanno potrà non solo cambiarne la destinazione d’uso (come avverrà per le altre 14 strutture) ma svincolare l’immobile e l’area. Così le caserme potranno trasformarsi in abitazioni o centri commerciali con, unico vincolo, il mantenimento del 20% di ogni struttura di finalità pubblica.

E per quanti pensano che con i soldi dei costruttori derivanti dall’alienazione del patrimonio pubblico Roma potrà finalmente dotarsi di quelle opere infrastrutturali necessarie per una città che punta alle Olimpiadi del 2020, presto il bluff dovrà scoprirsi: da questa operazione, come dalle altre quattordici alienazioni, il Comune di Roma guadagnerà per sé un misero 20% mentre l’80% tornerà nelle casse del Ministero della Difesa. In pratica, il comune di Roma agirà come una qualsiasi agenzia immobiliare.  

Ulteriore beffa: quel 20%, poi, non sarà mai messo a disposizione della cittadinanza ma andrà a finanziare “grandi opere” come la Nuvola di Fuksas, futuro punta di diamante di un quartiere, l’Eur, destinato secondo la governance dei grandi eventi ad ospitare il Gran premio di Formula Uno. Per finanziare le infrastrutture cosiddette “primarie”, come strade o collegamenti con le metropolitane, l’assessore all’Urbanistica di Roma, Marco Corsini, ha spiegato di aver già dato mandato agli uffici, con una memoria di giunta, di raddoppiare le cubature previste nelle otto centralità in via di pianificazione, da La Storta alla Romanina, da Acilia a Ponte Mammolo. Chiaro l’obiettivo: dare ancora di più ai privati e cementificare a macchia d’olio quanto più possibile dietro la scusa di raccogliere fondi per le infrastrutture necessarie per la corsa olimpica. Una cosa già sentita quando, mesi fa, si parlava di vendere le caserme…