Crisi climatica ed ecotransfemminismo. Il report del focus-lab

Il secondo focus-lab del Venice Climate Camp con l'Assemblea “Terra, Corpi e territori” di Non Una di Meno, Julie Coumau e Moira Millan

6 / 9 / 2019

Nella seconda giornata del Venice Climate Camp il focus lab "Crisi Climatica ed ecotransfemminismi" ha affrontato, secondo varie prospettive tematiche per alcuni versi inedite nel dibattito dei movimenti italiani, il rapporto tra capitale e vivente nella sua dimensione più ampliata. In particolare si è indagato sulle relazioni che ci sono fra le tante “nature” umane e non umane che il capitalismo sfrutta e sulle conseguenti lotte che ci sono nel pianeta. In quest’ottica il legame tra antissessismo, anticolonialismo e antispecismo è emerso attraverso diverse sfaccettature.

La relazione tra soggettività LGBTQIA+ e territori viene esplicitata nella battaglia portata avanti dall’Assemblea “Terra, Corpi e territori” di Non Una di Meno. All’interno del dibattito viene usato il termine “Ecofemminismo” con il quale si vuole indicare il parallelismo tra soggetti oppressi e natura oppressa. L’agente oppressore è anTro-centrico (capitalismo) o anDro-centrico (patriarcato) a seconda dei casi, ma in entrambi può essere identificato con l’uomo bianco.Per soddisfare i propri bisogni egli sfrutta, in egual misura, da un lato le soggettività oppresse e dall’altro la natura. Ne consegue che la devastazione ambientale non colpisce tutti i corpi allo stesso modo, ma salvaguarda proprio quelli del maschio bianco cisgender, a discapito di tutte le altre soggettività rimanenti. L’obiettivo della lotta è, dunque, mettere in discussione ed eliminare tutti i privilegi esistenti: se l’oppressione è trasversale, la lotta deve essere intersezionale.

Seguendo proprio il concetto dell’intersezionalità delle lotte il secondo contributo è stato portato Julie Coumau, ricercatrice francese che si occupa della questione antispecista. Se il legame tra ecologia e antispecismo appare immediato attraverso le lenti delle cause e delle conseguenze di tutta una serie di fenomeni climatici più recenti, Julie rifiuta di accogliere le stesse categorie all’interno della lotta per la liberazione degli altri animali. Questi subiscono una forma di oppressione sistemica che viene definita specismo, vale a dire che sono discriminati in base alla specie a cui appartengono. Considerati come esseri inferiori, i loro corpi sono trasformati e/o consumati per rispondere ai desideri delle persone umane. Lo specismo si intreccia alle altre forme di oppressione intraumane nel sistema capitalista, patriarcale e coloniale. Difendere le persone specizzate con argomenti ecologisti è, a dire di Julie, specista. L’ecologia decoloriane invita a instaurare un legame tra le persone oppresse e gli ambienti, considerandoli come un insieme del vivente colpito dall’estrattivismo coloniale.

La vastità del numero delle vite distrutte impone una reazione coesa. L’invito è a guardare dalla giusta prospettiva e di smettere con le iniziative individuali, semplici risposte inefficaci nel quadro di un sistema neoliberale che non attende altro che questo. Il rifiuto di un’ecologia depoliticizzata accompagna quello del veganesimo: le due soluzioni non apportano alcuna prospettiva rivoluzionaria né una rimessa in questione dei nostri privilegi. Contestare il sistema dominante implica la creazione di un nuovo rapporto di forza reso possibile dall’azione diretta.

Moira Millan, attivista Mapuche, autrice e scrittrice, si inserisce nel dibattito cercando un legame tra territori diversi messi a valore daal capitalismo. In particolare ha individuato un rapporto fra il nord est dell’Italia e lo sfruttamento delle terre della Patagonia, portato avanti da un’azienda come Benetton. Ad essere portato al centro dell’attenzione da Moira è tuttavia un’altra forma di estrattivismo, forse più sottile e meno immediata, quello culturale. La lotta dei mapuche  ad esempio non è una lotta per la proprietà della terra, ma per un diverso rapporto con essa. Tanto è vero che  si utilizzano addirittura leggi anti terrorismo contro i Mapuche, proprio per la paura da parte di chi governa di tale cambiamento. Moira porta anche una critica al femminismo accademico argentino che, a suo parere, non si distanzia dall’approccio coloniale classico e dall’estrattivismo culturale.  

La situazione di oppressione che hanno subito gli indigeni li porta a cercare  una relazione armonica con la terra, in cui ci sia rispetto e reciprocità tra persone e il resto della natura in contrapposizione a tutto quello che storicamente ha provocato il capitalismo. Queste lotte non sono mai state parte di un’agenda politica, nemmeno dei governi progressisti ed è per questo che non possono esserci soluzioni diverse dall’autodeterminazione.