Crisi e migrazioni - Restare, tornare, ripartire. Dall’Italia verso altre rotte in risposta alla precarietà

Lo spazio di mobilità Euromediterraneo: verso altri Stati Membri europei o verso il paese d’origine. Fallimento? No, nuove tappe per affrontare la crisi

5 / 4 / 2013

Quando davanti ad una richiesta d'aiuto per far fronte ad uno sfratto imminente, l’unica soluzione proposta è quel "ti paghiamo il biglietto per tornare al tuo paese", il tema del reinserimento nel Paese d’origine rischia di suonare ancora come una mera provocazione.
Il rimpatrio volontario, più o meno assistito, dopo un decennio di lavoro in Italia, con i figli che frequentano le scuole ed un credito di contributi accumulati che hanno mantenuto in pareggio le casse dell’INPS, rischia di sembrare semplicemente un modo per scrollarsi di dosso problemi che con la crisi sono stati scaricati su welfare e diritti.

Via dall’Italia
Certo è però che, fuori da ogni retorica e non solo legato ai programmi di rimpatrio assistito, il fenomeno dell’abbandono dell’Italia da parte di molti cittadini stranieri è all’ordine del giorno.
Non sempre si tratta di una scelta forzata. O meglio, spesso, sempre di più, ripartire risulta essere una strategia per affrontare una crisi che per primi colpisce proprio i cittadini stranieri.
D’altro canto non è una novità il fatto che chi intraprende la strada della migrazione porti spesso con sé, almeno nella fase iniziale del percorso, il pensiero e la speranza di tornare un giorno nel paese che ha lasciato per godere i frutti del "sogno europeo".
Se ci limitassimo allora a quella miserabile frase pronunciata con spietatezza tra le mura di quache ufficio comunale, rischieremmo di guardare alle "migrazioni" da una angolazione un pò troppo ristretta.
E’ fuori da ogni dubbio che nulla è più vergognoso della cancellazione del welfare e dei profili discriminatori che caratterizzano la distribuzione delle briciole che vi rimangono, ma non è certo questo che può impedirici di guardare a ciò che sta avvenendo con la voglia di scoprirne gli inediti risvolti.
A restituire la giusta dimensione ed una prospettiva meno ancorata ad una visione eurocentrica del fenomeno, quella che racconta di una migrazione uniderizionale verso l'Europa, unica meta di chi lascia altri continenti,  contribuiscono i dati sulla mobilità globale che vedono circa 250 milioni di persone spostarsi solo all’interno della Cina e numeri altrettanto spaventosi di spostamenti interni al continente africano. Questo per dire che i tempi e gli spazi della mobilità non sono certo definiti una volta per tutte ed il ritorno, così come la ripartenza, vanno collocati all’interno di questo incessante e poderoso movimento di persone che, tra le altre cose, restituisce anche la giusta dimensione ai piccoli numeri italiani.

Il ritorno non è più un tabù
Proprio la scorsa settimana Vladimiro Polchi dalle pagine di Repubblica e Cinzia Gubbini da quelle di Cronache di ordinario razzismo hanno aperto il dibattito sul tema dei "ritorni".
L’occasione è stata la presentazione della campagna per i programmi di rimpatrio assistito iniziata dalla rete RIRVA-ritornare per ricominciare. A pochi giorni di distanza contribuiscono ad aggiungere un tassello importante a questo mosaico i dati forniti dal Ministero del Lavoro sulla disoccupazione degli stranieri residenti e le trasformazioni delle loro tipologie occupazionali.
Il progressivo aumento tendenziale della disoccupazione dei cittadini stranieri, accompagnato da un parallelo aumento della stipula di forme contrattuali "precarie", disegnano in maniera piuttosto lampante lo scenario dentro al quale prende forma la scelta di intraprendere un nuovo progetto altrove.
Sbagliato sarebbe infatti leggere ciò che sta accadendo (un aumento pari almeno a 5 volte rispetto al 2012 di chi accede a programmi di rimpatrio) ancora una volta come una strada imposta, frutto di una lineare equazione tra domanda di lavoro e "scelta migratoria", spogliata di ogni capacità di scelta soggettiva.
Al contrario, non solo i programmi di rimpatrio assistito ma le tante forme in cui i percorsi migratori si rappresentano come fenomeni di circolarità, sembrano sempre più avere a che fare con strategie e risposte che i migranti metteno in campo per far fronte alla crisi.

La crisi ed un nuovo scenario
In ogni caso, piaccia o meno, la crisi sta producendo in maniera piuttosto evidente un nuovo scenario.
Restare, così come la scelta di tornare o ripartire, sono opzioni che si giocano senza una gerarchia precisa, come possibilità che si affermano anche e soprattutto di fronte alla loro utilità, all’opportunità.

Così non è certo raro ascoltare oggi, non solo il racconto della "proposta indecente" dell’ufficio casa di turno, ma anche la riflessione di chi, dopo l’ennesimo cambio d’appalto nella logistica, a fronte del licenziamento per la chiusura dell’azienda, o davanti all’opzione di accettare ancora il ricatto dell’ennesimo contratto precario, ha maturato l’idea che il suo progetto di vita vada ripreso lì, in quella terra che anni prima aveva lasciato, reinvestendo il gruzzoletto accumulato con liquidazioni e trattative in una nuova attività o semplicemente rigiocando altrove idee e competenze accumulate durante la permanenza in italia.
Allo stesso tempo si afferma in maniera sempre più importante la spinta verso la migrazione interna all’Eurozona. Chi lascia l’Italia per cercare di meglio altrove guarda alla Germania, al Regno Unito o alla Francia, combinando esigenze linguistiche con l’idea di raggiungere quei paesi dove, percezione o realtà, la crisi ha impattato in maniera meno violenta sul mercato del lavoro.

Non sempre si tratta di un fallimento del percorso migratorio. Certo, in molti casi la scelta è dettata dall’incapacità del "nostro" Paese (lo stesso si sta verificando guarda caso anche in Spagna) di offrire opportunità e diritti a causa dell’infernale combinazione tra politiche del mercato del lavoro e normativa sull’immigrazione. Sono sempre più frequenti i casi di disgregazione familiare, con parte dei nuclei che temporaneamente o in via definitiva si dividono in attesa di tempi migliori. Ma altrettanto spesso ripartire, per tornare o per raggiungere altre mete, è semplicemente una nuova tappa di un percorso che viene da lontano e che fa i conti con la sua stessa natura: sogni, desideri, ambizioni che di volta in volta si riformulano di fronte alla realtà.
In molti nonostante tutto scelgono di rimanere. Spesso le famiglie con figli in età scolare avanzata faticano a sradicare (giustamente) i ragazzi dal territorio in cui sono cresciuti e magari anche nati. Così come la crescita di nati in Italia ed in generale la presenza di stranieri generalmente più giovani dei lavoratori italiani, impongono al mercato del lavoro di fare i conti con una generazione la cui prospettiva lavorativa è molto più lunga e disinvolta della precedente. Ma l’opzione del ritorno o della ripartenza, talvolta, per chi non è ancorato a questi legami o non ha di fronte a sé questo orizzonte, rappresenta una carta in più da giocare che forse gli "indigeni" guardano con un pizzico di invidia e certo con meno coraggio di chi ha già nella sua biografica la scelta della migrazione.

Ancora la mobilità a confronto con i confini
Se non si tratta di un fallimento del progetto migratorio, non è neppure la fine dei tentativi di imbrigliare i percorsi della mobilità. Come chi resta, anche chi decide di ripartire o tornare, non si sottrae all'inaggirabile nodo delle gabbie normative, delle limitazioni alla libertà di circolazione, dello sfruttamento per il profitto.

Inutile dire che il sogno di raggiungere altri Paesi europei rischia di infrangersi contro le barriere che l’Europa di Schengen mantiene ancora ben strutturate al suo interno. Chi è titolare di un permesso rilasciato da uno Stato Membro non ha che il diritto di attraversare gli altri stati o soggiornarvi per brevi periodi che non possono superare i 90 giorni, ovviamente senza la possibilità di svolgere attività lavorativa: Né il permesso CE per lungo soggiornanti (la vecchia carta di soggiorno), né la tanto sbandierata European Blue Card, hanno dato risposte all’esigenza di libera circolazione dei migranti all’interno dell’ Europa, regalando ad ogni Stato, ancora, la possibilità di erigere frontiere e vincoli: di fatto ovunque applicati.
Ma anche il conto di chi prende la strada del ritorno verso il Paese d’ Origine rischia di essere salatissimo. Ad esclusione dei pochi paesi che hanno sottoscritto accordi bilaterali in materia pensionistica (Tunisia, Algeria e Marocco), chi abbandona l’Italia potrà contare sulla restituzione (forse) del suo credito contributivo solo al raggiungimento dell’età pensionabile, mentre i soldi versati nelle casse dello Stato con tasse e contributi, insieme a quelli degli altri stranieri residenti in Italia, permettono ancora all’INPS di pareggiare ancora i conti della previdenza.

Lo spazio Euromediterraneo
Sullo sfondo rimane invece lo sconvolgimento che la crisi dell’Europa propone anche alle traiettorie dei percorsi migratori. Crisi, circolazione europea, percorsi di ricollocazione nei Paesi d’origine, disegnano di fatto una nuova mappa dei percorsi migratori e con essa, un nuovo spazio, quello Euromediterraneo, su cui ricollocare la questione dell'esercizio del diritto di scelta.
Di nuovo c’è che, in maniera meno residuale del passato, migliaia di migranti affrontano la crisi riattingendo a quella spinta di cambiamento che un tempo li aveva incoraggiati a partire. Bene o male che sia è la realtà. A meno che il nostro non sia il semplice grido disperato che chiede loro di restare, così come diceva quell’ormai famosa frase comparsa su un muro di Genova..."immigrati, non lasciateci soli con gli italiani"....

Nicola Grigion