Crisi-lampo o crisi di logoramento?

9 / 8 / 2019

Matteo Salvini apre la crisi d’agosto, staccando di fatto la spina a un governo che ab origine ha avuto l’instabilità come tratto distintivo. Il contratto di governo, accordo fondativo dell’attuale esecutivo, aveva già svuotato da tempo il proprio traino, sempre più mediatico che politico. Le elezioni europee e gli ultimi sondaggi hanno completamente ribaltato i rapporti di forza tra le due compagini governative.

Che Salvini sarebbe andato all’incasso era già scritto il 27 maggio, solo che aveva una missione da completare: la conversione in legge del decreto sicurezza bis. A soli tre giorni dal voto di fiducia in Senato, il ministro dell’Interno tenta il 18 brumaio chiedendo al Paese - lo ha detto realmente! - di concedergli «pieni poteri».

In realtà le cose non sono andate proprio come si aspettava. Nei due colloqui con il premier Conte, Salvini aveva chiesto le sue dimissioni, senza passare dal parlamento: una crisi-lampo, che non desse tempo alle altre forze di riorganizzarsi e mettere così in discussione il proprio attuale dominio assoluto. Il primo ministro sveste per un attimo i panni dell’utile idiota e chiede con forza di parlamentarizzare la crisi. Salvini si assuma le proprie responsabilità in Senato, non è lui che può dettare i tempi della crisi: questo il senso di un’asciutta conferenza stampa tenuta nella serata di ieri.

Con i passaggi in parlamento i tempi si dilatano e non è detto che la crisi-lampo non possa trasformarsi in una crisi di logoramento, per usare una nefasta metafora bellica. Il pallino passa nelle mani di Mattarella, ma i tempi avranno un carattere non secondario sul quadro politico che potrà aprirsi verso le prossime eventuali elezioni, considerato soprattutto la volatilità del consensual system.

I contrasti - veri o presunti - tra le due forze di governo vertevano principalmente su tre temi: le grandi opere, la riforma del sistema giudiziario e, soprattutto, la questione dell’autonomia differenziale. Su questi tre temi Matteo Salvini aveva proposto a Giuseppe Conte una precisa agenda dopo le elezioni europee. La sua intenzione sarebbe stata quella di subordinare i voti parlamentari alle sole proposte della Lega. Ha incassato, senza troppa fatica, il “sì” dello stesso premier e dei 5 Stelle sulla Torino-Lione, con tanto di patetica pantomima culminata nel voto in Senato dello scorso 7 agosto. Il primo dei tre tavoli a saltare è stato quello dell’autonomia.

Salvini sa che su quel tema si gioca un pezzo del priprio ceto dirigente e una gran fetta del consenso elettorale al Nord. Ed è questa una delle ragioni che gli hanno suggerito di accelerare i tempi della crisi.

Ma il nodo più grosso è, in realtà, legato alla prossima legge di Bilancio. Il leader della Lega si è sbilanciato troppo sulla flat tax - per inciso, una delle proposte fiscali più sbilanciate a favore dei ricchi mai concepite nella nostra storia parlamento- per potersi permettere un infinito tira e molla con Luigi Di Maio e il ministro Tria.

Fallita la “rivoluzione sovranista” di maggio, Salvini si sarebbe trovato a fare una battaglia contro l’Unione Europea in una condizione di estrema debolezza e isolamento. Puntare i piedi per un bilancio in perdita ,che avesse il puro scopo di finanziare una tassazione non certamente “popolare”, sarebbe stato troppo rischioso. Gli ultimi dati sulla recessione, soprattutto al Sud, hanno fatto il resto: la crisi è servita ed è stata ampiamente anticipata e retorizzata nelle spiagge di mezza Italia.

E il MoVimento 5 Stelle? C’è stata una narrazione, in quest’ultimo anno, che lo ha visto totalmente subordinato alla Lega. Una narrazione reale solo in parte, perché sottrae i 5 Stelle a precise responsabilità politiche. La chiusura dei porti, i due decreti “sicurezza e immigrazione” e altri provvedimenti, attuati o in cantiere, di carattere patriarcal-xenofobo fanno parte di una strategia ha visto i pentastellati abbracciare con convinzione un impianto politico di stampo reazionario. Non si tratta solo di ingenua incompetenza, perché il MoVimento 5 Stelle ha scelto consapevolmente che la partita tra populismi reazionari si giocasse esclusivamente sul terreno delle migrazioni. Questa identità svelata spiega anche la scelta, anche questa consapevole, di non inserire le tematiche ambientali nell’agenda governativa, di prostrarsi completamente a una multinazionale dell’acciaio nella gestione della crisi dell’ILVA, di agire solo per finta sulle tante questioni sociali aperte nel Paese. D’altronde, affrontare l’emergenza sociale in ottica resistributiva sarebbe stato impossibile per questo governo, che sulla difesa degli interessi di classe si è mosso in completa continuità rispetto a quelli precedenti.

Completa il quadro un’opposizione - mai stata realmente tale - che gongola, si dice pronta ad affrontare le elezioni, ma che in realtà deve costruire da zero la propria linea politica. In particolare il PD, preso tra antiracial washing e lotta sfrenata pro grandi opere, non può che accontentarsi di coltivare quanto - in termini di voti assoluti realmente poca roba - raccolto alle ultime elezioni europee. Può sembrare una barzelletta, ma a questo si aggiunge anche la “croce” del ritorno in campo di Renzi, annunciata proprio nelle ultime convulse ore.

Per concludere, la situazione politica appare meno scontata rispetto a quanto si potrebbe immaginare. Gli scenari possibili sono ancora molteplici e la temporalità che ci separa dall’autunno - soprattutto per i tempi della politica contemporanea - può essere ancora molto intensa. Ne vedremo delle belle, stando sempre dall’altro lato della barricata...