Dar da bere agli assetati (di potere!)

“In Italia l'acqua non è un bene comune, ma è di Dio.” Pierluigi Bersani

22 / 9 / 2012

Era il 18 settembre 2008 quando Bersani, responsabile economico del Pd allora guidato da Veltroni, interviene a Carpi, nell'Emilia Romagna, per illustrare i benefici di una possibile gestione privata dell’acqua pubblica.

Intervento volto ad appoggiare la scelta del PD locale di sostenere la privatizzazione di Aimag (società che gestisce acqua, gas e rifiuti a Carpi e in altri 20 comuni tra la provincia di Modena e Mantova) in occasione della campagna elettorale per il referendum comunale voluto da un gruppo di cittadini per fermare la privatizzazione. 

Per convincere la riluttante società civile carpigiana della bontà del progetto, Bersani cerca di spiegare come antichi valori debbano trovare spazio in contesti economici che impongono cambiamenti.

Per la precisione, afferma che se l'acqua per lui rimane un bene pubblico, il discorso cambia per la gestione in quanto, quelle attuali, sono causa di enormi sprechi ed è necessario, così, l'ingresso di privati esperti nel ramo che sappiano superare le inefficienze del pubblico.

E infine, per ribadire il concetto espresso all'origine del suo intervento, chiude affermando che “l'acqua non è solo un bene pubblico, ma è di Dio”.

Nel novembre 2010, a distanza di due anni dalla dichiarazione dal vago sapore mistico, Bersani, insieme ad altri quarantanove deputati, presenta una proposta di legge con l'obiettivo di superare il precedente decreto Ronchi in tema di gestione delle risorse idriche dove, nel secondo articolo comma 4, l'acqua viene descritta come un bene di rilevanza economica.

In parole povere, è un bene che passa dall'essere considerato pubblico ad essere oggetto di profitto, quindi da gestire in maniera industriale.

Al buon “Dio”, precedentemente citato, non resta, evidentemente, che entrare nel Cda di qualche società multiservizi quotata in Borsa per mantenerne il possesso.

A distanza di pochi mesi, quando il clima in vista del referendum nazionale lasciava presagire un magro risultato per i supporters della privatizzazione, Bersani si affrettava a correggere il tiro.

Il 24 maggio 2011, a poco più di tre settimane dalla consultazione referendaria, dichiarava che, seppur fosse a capo di un partito con sensibilità diverse e che, quindi, fosse giusto non dare un'indicazione nella scelta del voto, la linea maggioritaria nel Pd era quella del “Si”, quindi contraria alla privatizzazione.

Non solo, chiedeva anche ai comitati promotori di non mettere il cappello sul referendum, invocando, da parte loro, un atto di pubblica gratitudine al Pd, sostenendo che militanti e simpatizzanti avevano raccolto, nei mesi precedenti, centinaia di migliaia di firme contro la privatizzazione.

In realtà, ci credettero in pochi. Addirittura su facebook nacque un gruppo dal titolo “ma Bersani ha firmato?”, a testimonianza che il suo tentativo di salire sul carro dei vincitori prima dello tsunami referendario che di li a poco si andò a verificare era chiaramente fallito.

Dopo la travolgente vittoria del “Si” e, quindi, della sconfitta dei teorici della privatizzazione, l'euforia per tale successo da parte del Partito Democratico (più in chiave strumentale contro l'allora governo Berlusconi che nei fatti) venne ben presto accantonata.

D'altronde, è molto difficile per un partito gioire per una scelta espressa da 27 milioni di persone che contrasta nei fatti, con l'enorme conflitto d'interessi rappresentato da uomini presenti nei Cda delle aziende multiservizi indicati proprio dai democratici, in particolar modo nelle regioni di Liguria, Toscana ed Emilia Romagna.

Proprio in ques'ultima regione tale conflitto d'interesse appare molto più evidente, dove i servizi idrici sono affidati alle mani di Hera, azienda pubblica di stampo Pd, che alla vigilia dei referendum, affermò che se avesse vinto il sì avrebbe smesso di investire.

Tuttavia, Il 16 giugno del 2011, appena tre giorni dopo dalla data del referendum, l'azienda deliberò un piano di investimenti per ben 26,5 milioni di euro, smentendo, di fatto, la precedente dichiarazione.

In questi ultimi giorni, Hera torna al centro delle cronache per il tentativo di acquisizione di Acegas-Aps, azienda impegnata nella gestione dei servizi nel territorio triestino-padovano.

Dalla fusione dovrebbe nascerà una multiutility che sarà la prima per quanto riguarda il business dei rifiuti, seconda per quanto concerne l'acqua erogata.

Un processo che va nel senso esattamente opposto dell'indicazione referendaria dello scorso anno, con i cittadini (fin'ora quasi tutti all'oscuro dell'operazione, tenuta sotto banco ad arte dai media locali) che ben presto, vedranno recapitarsi bollette sempre più care per i servizi erogati.

Tra i sostenitori più agguerriti di tale operazione troviamo in prima fila i sindaci delle due città interessate, Padova e Trieste, entrambi, neanche a dirlo, iscritti al Partito Democratico.

Sia Zanonato che Cosolini, infatti, parlano di un treno che non può essere perso, un processo di innovazione che porterà sicuri benefici alla cittadinanza e alla qualità della vita.

Di che tipologia di qualità si tratta non è dato sapere dato che, fin ora, gli unici dati certi sono che sia Hera che Acegas-Aps sono due aziende profondamente indebitate (a dispetto dei loro manager, lautamente pagati!) e che, in caso di riuscita fusione, hanno già promesso un drastico taglio al personale.

Quindi, oltre ad un probabile aumento dei costi dei servizi offerti, tale operazione avrà anche ricadute negative dal punto di vista occupazionale.

Insomma, una operazione vantaggiosa per pochi, ma profondamente negativa per tutti gli altri, avvallata da un partito, il Pd, che, evidentemente, del concetto “acqua bene comune” se ne serve solo in chiave anti-berlusconiana quando è all'opposizione, per poi dimenticarsene quando governa sui territori.

In politica, si sa, si cambia idea con una certa facilità, ma l’atteggiamento del Partito Democratico e, in modo particolare, del suo segretario Bersani in merito a questo tema è a dir poco sconcertante.

I continui salti carpiati prodotti nel giro di pochi anni hanno dell'incredibile, quasi da record olimpico.

Forse, il buon “Dio” citato da Bersani, in mancanza di un benché minimo accenno di coerenza, ha deciso di dare loro altre doti, magari nel campo atletico.

Le vie del Signore, si sa, sono spesso misteriose.